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Terze Rime 9-10

Post n°784 pubblicato il 11 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Terze Rime di Veronica Franco
Abdelkader Salza, Bari, Laterza 1913

IX

D'incerto autore

[Altro lamento d'un amante di Veronica, durante un'assenza di lei.]

Donna, la vostra lontananza è stata
a me, vostro fedel servo ed amante,
morte tanto crudel quanto insperata.
Nel gentil vostro angelico sembiante
abitar l'alma e 'l mio cor vago suole,
e ne le luci sì leggiadre e sante:
queste fùr risplendente unico sole
sovra i miei dì, senza lor tristi e negri,
e di quel pieni, ond'uom via più si duole,
come sono a me adesso orbati ed egri,
in questa sepoltura de la vita,
che non fia, senza voi, che si reintegri.
Con voi l'anima mia s'è dipartita,
anzi 'l mio spirto e l'anima voi sète,
e tutta la virtù vitale unita:
e, s'uom morto parlar vien che si viete,
non io, ma di me parla in cambio quella,
che ne le vostre man mia vita avete.
Questa non pur vi scrive e vi favella
per miracol d'Amor, in cotal guisa,
che, ne l'esser io morto, in voi vive ella;
ma, stando dal cor vostro non divisa,
vi susurra a l'orecchie di segreto,
e 'l mio misero stato vi divisa.
Né perciò del mio male altro ben mieto,
se non ch'agli occhi vostri ei si figura
con spettacolo a voi gioioso e lieto;
e, mentre meco ognor v'innaspra e indura,
superate ne l'essermi crudele
le fiere mostruose a la natura.
Lasso, ch'io spargo ai venti le querele,
anzi è un percuoter d'onde a duro scoglio,
quanto mai di voi pianga e mi querele.
Mosso s'insuperbisce il vostro orgoglio,
sì come 'l mar a l'impeto de' venti,
mentre a ragion con voi di voi mi doglio:
ed or, per far più gravi i miei tormenti,
per levarmi 'l ristoro, ch'io sentia
nel formarvi propinquo i miei lamenti,
n'andaste a volo per diversa via,
quando men sospettava, a dimostrarvi
in tutti i modi a me contraria e ria.
Qual neve sotto 'l sol, piangendo sparvi
con quest'orma di vita, e con quest'ombra
vana e insufficiente a seguitarvi;
anzi, da' miei sospir caccia e sgombra,
col vento, ch'a voi venne, si risolse,
che spirando al bel sen fors'or v'ingombra.
Empio destin, ch'altrove vi rivolse
dal mirar lo mio strazio e quella pena,
che infinita al mio cor per voi s'accolse!
Troppo era la mia vita alta, serena,
darvi in presenzia de la mia gran fede
col vicin pianger mio certezza piena,
e riceverne asprissima mercede
di presenti minacce e di ripulse,
contrario a quel ch'a la pietà si chiede.
Ben certo allor benigno il ciel m'indulse:
e troppo chiara ancor nel sommo sdegno
la luce de' vostr'occhi a me rifulse.
Di gustar quel piacer non era degno,
ch'io sentia, nel vedervi, aspro e mortale
far più sempre 'l mio duol, con ogni ingegno:
or lasso piango il mio passato male,
quando a le mie d'amor gravi percosse
non fu in dolcezza alcun diletto eguale.
Amor d'acerbo colpo mi percosse,
di quel che di piacer è in tutto privo,
quando da me, madonna, vi rimosse.
Dianzi fu 'l viver mio lieto e giulivo,
ed or, a prova del mio mal cotanto,
sento 'l mio ben, mentre di lui mi privo.
Deh tornate a veder il mio gran pianto;
venite a rinovar l'aspre mie piaghe,
senza lasciarmi respirar alquanto:
di ciò contente fian mie voglie e paghe,
che 'l mio duol, da voi fatto ancor maggiore,
mirin da presso lame luci vaghe.
A me fia d'alta gioia ogni dolore;
e in gran pietà riceverà lo strazio,
e in dolce aita ogni aspra offesa il core,
pur ch'a noi ritorniate in breve spazio.

X

Risposta della signora Veronica Franca per l'istesse rime

[Non potendo ella, invaghita d'un uomo a lei caro su tutti, corrispondere ad altro affetto, s'è allontanata da Venezia, perché nella sua assenza si mitighi l'ardore di chi l'ama senza speranza.]

In disparte da te sommene andata,
per frastornarti da l'amarmi, avante
ch'unqua mostrarmi a tanto amore ingrata:
né mia colpa fia mai ch'alcun si vante
giovato avermi in opre od in parole,
senza mercede assai più che bastante;
ma s'uom, seguendo ciò che 'l suo cor vuole,
di quel m'attristi, ond'ei via più s'allegri,
meco non merta, e mi sprezza, e non cole.
Quei sì, che son d'amor meriti intègri,
quando, per far a me cosa gradita,
per me ti sono, i tuoi dì tristi, allegri:
e nondimeno tu con infinita
doglia sentisti che mai cose liete
non m'incontrár dal tuo amor disunita.
Che mi prendesti a l'amorosa rete,
presa da un altro pria, vietò mia stella;
non so se per mio affanno, o per quiete:
basta che, fatta d'altro amante ancella,
l'anima, ad altro oggetto intenta e fisa,
rendersi ai tuoi desir convien rubella.
Con tutto questo, e ch'al mio ben precisa
la strada fosse, e fattomi divieto,
dal tuo seguirmi poco men che uccisa,
con giudicio amorevole e discreto
tanto stimai 'l tuo amor senza misura,
quanto più al mio voler fosti indiscreto:
e, di te preso alcuna dolce cura,
bench'a me tu temprasti amaro fele
col tuo servirmi, in ciò non ti fui dura:
e, per te non avendo in bocca il mele
di quell'affetto, ch'entro 'l sen raccoglio,
che in altrui pro convien che si rivele,
liberamente, come teco soglio,
ti raccontai ch'altrove erano intenti
i miei spirti; e mostraiti il mio cordoglio.
Or, perché teco ad un non mi tormenti,
tentando invan ch'a mio gran danno io sia
pietosa a te, con tuoi dogliosi accenti,
da te partimmi; e, non potendo pia
esserti, almen veridica t'apparvi :
non rea, qual da te titol mi si dia.
Quanto è 'l peggio talvolta il palesarvi,
effetti d'alma di pietate ingombra,
dov'altri soglia male interpretarvi!
Benché, se vaneggiando erra et adombra
il tuo pensier, che da ragion si tolse,
seguendo Amor per via di lei disgombra,
non però quel, ch'ad util tuo si vòlse
da me, da cui 'l desir tuo si raffrena,
che d'ir al precipizio piè ti sciolse,
a meritar alcun biasmo mi mena;
anzi di quel, ch'aiuto in ciò ti diede,
la mia chiara pietà si rasserena:
ché, s'io mossi da te fuggendo 'l piede,
fu perché le presenti mie repulse
m'eran de la tua morte espressa fede.
E quante volte fu che ti repulse
da sé 'l mio sguardo, o ti mirò con sdegno,
so che 'l gran duol del petto il cor t'evulse.
Ch'io ti vedessi d'alta doglia pregno
morirmi un dì davante, eccesso tale
era a me sconvenevole ed indegno.
Da l'altra parte, assai potev'io male
risponder al tuo amor: non men che fosse
il tentar di volar non avendo ale.
E che far potev'io contra le posse
di quell'arcier, che, del tuo bene schivo,
d'oro in te, in me di piombo il suo stral mosse?
Ma d'òr prima anco al mio cor fece arrivo
la sua saetta, stand'io ferma intanto,
mirando incauta l'altrui volto divo.
Quinci un lume, ch'al sol toglieva il vanto,
m'abbagliò sì, che non fia che s'appaghe
d'alcun ben altro mai l'anima tanto.
E, perch'errando 'l mio stil più non vaghe,
io parti' per disciorti dal mio amore,
con le mie piante a fuggir pronte e vaghe.
èo che la lontananza il suo furore
mitiga; e quando tu, del viver sazio,
pur vogli amando uscir di vita fuore,
te, con quest'occhi, e me insieme non strazio.
 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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