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I peccati mortali

Post n°748 pubblicato il 07 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Sopra li sette peccati mortali
di Fazio degli Uberti

IX

Superbia

Io so’ la mala pianta di Superba,
Che generò di ciascun vizio il seme;
E quel cotal non ama Dio nè teme
Che si nutrica di questa mia erba.

Io son mal grata arrogante ed acerba,
Per cui il mondo tutto piange e geme;
Io so’ nelle gran cose e nell’estreme
Colei che compagnìa rompe e disnerba.

Io so’ un monte tra ’l cielo e la terra,
Che chiudo gli occhi vostri a quella luce
Che sol della giustizia in voi conduce.

Col sommo bene sempre vivo in guerra:
Ver è che, quando regno in maggior pompe,
Giù mi trabocca e tutta mi dirompe.

Note mie:I versi 7-8, nella versione Allacci, recitano:
Io nelle gran cose so ell’extreme
Colei che rompe compagnìa e disnerba.

X

Avarizia

Io so’ la magra lupa d’Avarizia;
Di cui mai l’appetito non è sazio,
Ma quanto più di vita ho lungo spazio
Più moltiplica in me questa tristizia.

Io vivo con sospetto e con malizia,
Nè lemosina fo, nè Dio ringrazio.
Deh odi s’io mi vendo e s’io mi strazio,
Che moro di fame e dell’oro ho dovizia.

Non ho parenti, nè cerco memoria,
Nè credo sia diletto nè più vivere
Che l’imborsar fare ragione o scrivere.

L’inferno è monumento di mia storia;
E questo è quello bene in cui m’annidolo:
Il fiorin pregio, e Dio tengo per idolo.

XI

Invidia

Ed io Invidia, quando alcuno guardo
Che si rallegri, vengo umbrosa e trista;
Nei membri nel parlare e nella vista
Discuopro il fuoco d’entro ove io ardo.

Da fratello a fratel non ho riguardo:
Ognun sa ben quel che per me s’acquista;
Morir fe Cristo e cercare il salmista
Dinanzi da Saùl co’ lo mio dardo.

Io consumo lo core dov’io albergo:
Io posso dir dh’io sia discordia e morte
Di città di reami e d’ogni corte.

Ai colpi miei ,non può durare sbergo,
Per ciò ch’a tradimento gli disserro:
lo dico colla lingua e non col ferro.

XII

Lussuria

Io so’ la scelerata di Lussuria
Che legge nè ragion mai non considero,
Ma tutto quel ch’io voglio e ch’io desidero
Giusto mi pare, e qui non guardo ingiuria.

Io sono un fuoco acceso pien di furia,
Che i Greci e gli Troian già mai me videro.
L’anima perdo, ed corpo m’assidero;
E vivo con malizia e con ingiuria.

E come ch’io dimostre nel principio
Un dolce ed un contento desiderio,
Pur la mia fine è danno e vituperio.

Del porco nel costume participio;
E quanto è da lodar l’uomo e la femina,
Che fugge l’esca che per me si semina!

XIII

Gola

Io so’ la Gola che consumo tutto
Quanto per me e per altrui guadagno,
E in ogni altro bisogno mi sparagno
Per satisfare a questo vizio brutta.

Lassa mi trovo e col palato asciutto,
Con tutto che lo dì e la notte ’l bagna;
Del corpo sono ’l vecchio e nuovo lagno,
E del ciel perdo l’angelico frutto.

Trova chi colga ’ben di ramo in ramo,
Ch’al mondo fui principio d’ogni male
Nel pomo che gustò Eva ed Adamo.

La fine mia ’pei mio soverchio è tale,
Che guasto gli occhi e partitica vegno
E casco in povertà senza ritegno.

XIV

Ira

Ira son io sana ragiona e regola,
Subita, furibonda, con discordia;
Pace nè amore con misericordia
Trovar non può chi con meco s’impegola.

Tutta mi struggo e rodo come pegola;
Minaccie e grida sempre con discordia
Dov’io albergo; non trova concordia
Figliol con padre quando sono in fregola.

Tosto com’ foco ogn’or più sento accendere
Entro all’animo mïo, ciò lo torbida,
Dove non pote mai il ver comprendere.

Paura nè lusinghe me rimorbida;
Dispregio Dio, fè, battesmo e cresima;
Uccido altrui e quando me medesima.

XV

Accidia

Ed io Accidia so’, tanto da nulla
Che gramo fo di chïunque m’adocchia;
E per tristezza abbascio le ginocchia,
E ’l mento su per esse si trastulla.

Io so’ cotal qual m’era nella culla;
Non ho più piedi nè mani nè occhia;
Gracido e muso come la ranocchia,
Discinta e scalza, ed ho la carne brulla.

A me non vale esempio di formica;
Deh odi s’io son pigra, che gustando
E il mover della bocca m’è fatica!

In somma, quando vengo ben pensando,
Dico fra’ miei pensier tristi ed infermi:
- Io venni al mondo sol per darme a’ vermi. -

Tratti da: "Poeti antichi: raccolti da codici mss. della Biblioteca Vaticana, e Barberini",
Leone Allacci, Per Sebastiano d'Alecci, 1661 - 527 pagine.
Il testo riveduto è anche in Biblioteca Italiana di Giuseppe Bonghi

 
 
 
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