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Donne in poesia

Post n°641 pubblicato il 16 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Testo della relazione tenuta presso l’Inner Wheel di Pontedera e presentata al Congresso dell’Inner Wheel Italiana a Spoleto nell’anno 2000
 
DONNE IN POESIA
Come in ogni campo, anche in quello della poesia oggi le donne stanno recuperando un ritardo di secoli. Guardando indietro nella storia pochi, pochissimi nomi di donne poeta si sono affiancati a quegli degli uomini e di alcune di coloro che avrebbero potuto essere alla medesima altezza è rimasta appena una traccia. Dal tempo di Saffo, donna intelligente e sensibile, vissuta a Lesbo sulle coste dell’Asia Minore tra la fine del secolo VII° e l’inizio del VI° a.C. che ci ha lasciato frammenti di versi delicatissimi, per molti secoli c’è stato il silenzio. Più tardi ben poche poetesse hanno potuto mettersi in evidenza trovando un posto, pur se piccolo, nella letteratura. Perché?
La donna era troppo costretta da codici e regole nell’ambito familiare, non aveva accesso agli studi, non poteva educare il suo "afflato poetico" e non era in grado di acquisire quegli elementi di base che consentissero di dargli un’espressione dignitosa e toccante. Questa tensione poetica deve essere sostenuta dalla ricerca delle parole, da una capacità di sintesi, di armonia e di equilibrio perché la musicalità del verso non perda di incisività e di bellezza. Eppure le donne non mancavano di intelligenza e di sensibilità e neanche del "senso o afflato poetico" che tutte hanno. E sottolineo tutte.
Infatti chi di noi non prova una speciale commozione alla vista di un bambino piccolo, di un paesaggio eccezionalmente bello o quando è toccata dall’amore? Chi di noi non avverte, tanto per fare un esempio, lo struggimento del tempo che passa, o la tenerezza verso i nostri cari che se ne vanno? Anche le donne più concrete, più immerse nel fare e nel reale hanno momenti in cui il loro senso poetico potrebbe trasformarsi in "poesia". Se questo non accade è perché non possono fermarsi per dargli spazio e voce, approfondirlo e soprattutto perché mancano dei mezzi tecnici necessari per farlo. E’ vero che la poesia è "un tocco di grazia", ma va anche saputa creare e supportare.
Del 1200 in Italia ci rimangono tre sonetti di una poetessa nominata "Compiuta Donzella", cioè donna raffinata, completa, della quale non conosciamo il vero nome, la patria, la condizione sociale, Certamente visse nel XIII° secolo in Toscana, appartenne ad un ceto elevato ed ebbe un’educazione e una cultura molto rare in tempi in cui l’analfabetismo era diffusissimo e specialmente fra le donne. La sua è una testimonianza preziosa. In un sonetto esprime la sua inquietudine per il matrimonio a cui il padre la vuole obbligare e la sua ribellione che non manca di slancio e forza, pur essendo espressa con malinconica grazia. Ella teme che i doveri, gli obblighi e le occupazioni che questa nuova condizione le comporterà le tolgano il suo spazio, il suo "respiro", in poche parole un tempo tutto per sé. Il che è vero e non è vero. La maggior parte delle donne poeta è stata ed è sposata e non ha perso il suo "respiro". Poiché non esistono doveri così schiaccianti e assoluti che possano spegnere e soffocare del tutto l’afflato poetico.
Bisogna arrivare al Cinquecento con Gaspara Stampa (1523-1554) per avere le prime poetesse di un certo valore, donne vissute alle corti dove non mancavano libri e letterati con cui scambiare opinioni, insegnamenti ed esperimenti poetici. Le poetesse del Cinquecento furono tutte donne di cultura, sia le signore e principesse come Vittoria Colonna (1490-1547) e Veronica Gambara (1485-1550), sia le cortigiane "oneste" come Veronica Franco (1546-1591) e Tullia d’Aragona (1510-1556). Singolare presenza quella delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento, così vistosa e riconosciuta da assumere l’aspetto di un’istituzione. Roma e Venezia ne contavano un gran numero e alcune di esse sapevano a memoria il Petrarca, leggevano i classici latini, rimavano sonetti, suonavano e cantavano. Aggiungevano alla miseria del loro mestiere una personalità più alta, spirituale e artistica che le innalzava nell’opinione della gente. Vedevano ai loro piedi letterati insigni, grandi artisti, potenti prelati e anche re. Nelle loro rime si trova un platonismo amoroso, un che di manierato, ma anche di elegante.
Fra gli spiriti più sinceri si distinse Gaspara Stampa, bella e intelligente, morta a 31 anni a Venezia, che uscì da questi schemi per la passionalità e la forza per cui proclamò il diritto della donna ad amare sempre e comunque fuori da ogni sanzione legale. Suo è il celebre verso:
"vivere ardendo e non sentire il male"
Le sue rime furono pubblicate postume dalla sorella, ma furono rivalutate solo nell’Ottocento.
Accanto a lei la tragedia della siciliana Isabella di Morra (1520-1545), pugnalata dai fratelli a venticinque anni per una colpa non commessa, riporta i toni al più cupo e torbido Medioevo. I suoi versi sono così schietti e strazianti che fanno di lei un "caso particolare" che non ammette paragoni.
Ben più celebre, tuttavia, resta Vittoria Colonna, dalla malinconia raccolta e dall’alta tempra morale, forse per la sua sorte di giovanissima vedova e la sua amicizia con Michelangelo che le fu devoto e avvolse il suo sentimento per lei in alte forme spirituali.
Ricordiamo velocemente anche Veronica Gambara, soprattutto per la nobiltà del suo stile. Ecco dunque che in questo periodo alcune donne possono far valere la loro voce e i palpiti dell’anima attraverso la cultura.
Nel Seicento dilagò l’aspirazione a comporre poemi e pure la gentildonna veneziana Lucrezia Marinella volle cimentarvisi con l’ "Enrico ovvero Bisanzio conquistata" che trattava di Enrico Dandolo e della quarta Crociata. Poi c’è stato un periodo di silenzio.

Fonte: estratto di un articolo pubblicato sul sito Confidenzialmente.

Interessanti, sul tema, sono anche il sito di Francesca Santucci nonchè una panoramica di Gioia Guarducci sulle potesse italiane.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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