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LA ROSA BIANCA, SIMBOLO DEL SILENZIO

Post n°3924 pubblicato il 17 Marzo 2015 da pierrde

 

Nella mia decennale presenza sul web ho sempre applicato una semplice regola: parlare solo di album che mi piacciono e tacere di tutto il resto. Quindi, per non venire meno alla premessa, non scriverò recensioni di questo Wallflower ma mi limiterò a semplici riflessioni sull’artista e sull’album.

Mi imbattei in Diana Krall moltissimi anni fa a Perugia, quando, ancora sconosciuta, si esibiva in un piano-bar alla presenza di nugoli di giovani più interessati ai cocktail che alla musica. Erano anni in cui Umbria Jazz proponeva la Krall o Brad Mehldau come nuove proposte, poi opportunamente sostituite da Ray Gelato e Subsonica, giusto per far capire che i tempi si sono fatti difficili e non è più tempo di cazzeggio.

La Krall aveva un buonissimo gruppo, su tutti uno spettacolare Russell Malone alla chitarra, e impressionava più come pianista che come cantante. Impensabile prevedere che quella ragazza timida e garbata nel giro di pochi anni sarebbe diventata una pop star.

Cosi’ la pensa anche Dee Dee Bridgewater che su Diana si è espressa sinceramente: ”Penso che sia la spina nel fianco delle cantanti jazz [...] e non è una sua colpa. [...] abbiamo la stessa casa discografica e con il suo aiuto è stata capace di oltrepassare il jazz e diventare una pop jazz singer [...] non credo che sia al livello di Dianne Reeves o al mio come cantante, ma io non sono al suo livello come pianista…“.

Da allora si sono succeduti numerosi album, alcuni interessanti e piacevoli, altri semplici fotocopie giusto per rimpinguare il già sostanzioso conto in banca grazie ad una spregiudicata politica di marketing e alla gonzaggine degli acquirenti.

L’ultimo album, questo Wallflowers, si distanzia dalla produzione precedente per alcune caratteristiche imprescindibili: innanzitutto si compone di ben 16 brani ma è fisiologicamente impossibile superare il settimo senza almeno una crisi violenta di narcolessia con conseguente slogatura della mascella per eccesso di sbadiglio.

Già questo motivo, unito ad una monotonicità di atmosfere, è stato sufficiente a far balzare l’album ai primi posti delle classifiche di vendita “jazz” (jazz ???). Notevole per mancanza di originalità poi è la scelta del repertorio: canzoni pop dagli anni 70 ad oggi, con un solo inedito per la penna di Paul Mc Cartney.

Non avrei mai pensato di rimpiangere i Mamas and Papas, ma qui accade proprio questo: versioni porno-soft (in senso strettamente musicale, ma allargherei la possibilità a produttori cinematografici del settore all’utilizzo di perfette colonne sonore adatte alla causa) con lunghe e terrificanti tirate di archi, rallentamento dei tempi e sbadigli assortiti che, mentre impediscono la comprensione ed il senso di un simile prodotto, pare ne amplifichino le vendite a migliaia di inconsapevoli ascoltatori convinti di sentire il meglio del jazz vocale e non solo, in circolazione.

Che dire, Krall e i suoi produttori si stanno assicurando una vecchiaia dorata, per noi appassionati di musica è tempo di mettere una pietra sopra a tutta una fascia di produzione “jazz”, che regolarmente occupa le prime posizioni di classifiche di vendita ma che non è ne onesta ne sincera.

Quindi, almeno sul mio spazio web, da oggi non più violaciocca (wallflower) ma rosa bianca, simbolo del silenzio su tutto ciò che è business e non arte.

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 17/03/15 alle 16:14 via WEB
Non riesco a capire il problema... Se non si ama certa musica, che sia di evasione o meno (e c'è di ben peggio della Krall, che è un'onesta mestierante, come sono, in fondo, con un pizzico di talento in più, Dee Dee Bridgewater o Dianne Reeves, le cui carriere dimostrano da tempo che una certa generazione di interpreti vocali è purtroppo scomparsa da tempo senza mai essere stata degnamente sostituita), basta non ascoltarla, basta non acquistare le incisioni. Non credo che la Krall provochi chissà quali devastazioni, né mi pare così angoscioso il fatto che il suo conto in banca s'arricchisca (adoro i pauperisti assoluti, posseggono deliziose tavolozze monocromatiche...): non mi pare che pretenda di essere la Musa degli intellettuali, né un'icona delle avanguardie (che spesso vengono dichiarate tali da chi non ha sufficienti competenze per farlo). E' un'adeguata artigiana industrializzata che ha il suo pubblico, il resto è solo moralismo simpatico ma sprecato. Quella della Krall è musica d'evasione ben confezionata, in cui hanno anche un non impegnativo ruolo alcuni tratti d'improvvisazione jazzistica. Il che vale per un'amplissima parte della produzione musicale d'oggidì (e non solo). Conosco degnissimi compositori contemporanei di grande fama, anche notevoli intellettuali, che amano la Krall e troverebbero Dolphy semplicemente noioso o insignificante, il che non impedisce loro di essere grandemente creativi in altri contesti. Trovo più esulcerante la finta avanguardia o i successi musicali creati per intorpidire gli adolescenti (due facce della stessa medaglia), trovo più inquietanti i dilettanti allo sbaraglio: la Krall (che è una discreta pianista) è una professionista che si rivolge ad un determinato pubblico che non sa, non può, non vuole affrontare altro in termini di legittima evasione. Amen. La Krall non è la prima, non sarà l'ultima, fa parte di un determinato contesto che va comunque analizzato (anche Paul Whiteman è passato, presso certo ammuffito armamentario scaturito da università giovanili di scarto, come un fenomeno puramente commerciale o, addirittura, reazionario: non era nulla di tutto ciò) e non va necessariamente confuso con altro, così come i Mamas and the Papas non erano i Monkees... Si rischia di fare di ogni erba un fascio in nome di non ho capito bene quale purezza e in base a non so bene quali parametri e all'interno di quale contesto. In questo modo la figura dell'intellettuale viene a sembrare un'ingrugnita caricatura, uno stereotipo persino insopportabile, com'è sempre insopportabile la seriosità rispetto alla serietà. Prendersela con la Krall mi pare esagerato: c'è di molto peggio, anche in termini di onestà intellettuale, che non di rado sembra suscitare meno malumore. Purtroppo....
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 17/03/15 alle 23:56 via WEB
Apparentemente sembra che il successo della Krall sia aumentato in proporzione all'aumento di canzoni soporifere e del numero di archi inseriti tra le file dell'orchestra. Io rimango dell'opinione che avrebbe avuto lo stesso successo anche con il repertorio più vivace del periodo Impulse, ma è solo un'opinione. Anche in quel caso, la bella Diana si sarebbe comunque assicurata un bel gruzzolo per la sua vecchiaia ed avrebbe fatto addormentare molte meno persone...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 18/03/15 alle 10:31 via WEB
Non entro nel merito della Krall e di quel che sta producendo.Osservo solo, sul piano proprio del metodo e non del merito, che certo modo di vedere le cose nasconde un approccio alla musica pregiudiziale e ideologico, ormai davvero stantio, che divide sostanzialmente la musica in due filoni: quello commerciale e quello "impegnato" e conseguentemente si attribuisce onestà e sincerità musicale ed artistica a priori in base a tale classificazione. Solo che a volte "l'impegno" è solo dichiarato e si è davanti ad una musica altrettanto povera, se non di più. Tanto per cominciare bisognerebbe valutare la musica per quel che è e per quel che si ascolta, solo che molti (anche tra chi da a vedere di intendersene), non hanno gli strumenti per farlo. Ci sono tanti modi per essere non onesti e non sinceri musicalmente e a volte lo si è mantenendo solo una apparenza di sincerità. Potrei fare decine di esempi anche tra i nomi più acclamati oggi nel jazz nostrano, ma creerei solo inutili polemiche. Di fatto ormai domina il marketing sulle scelte discografiche e certe cose avvengono anche nella musica di nicchia come anche è valutabile il jazz (e dintorni più o meno improvvisati). Solo che nelle valutazioni si usano sempre due pesi e due misure e sempre su valutazioni del tutto pregiudiziali, anche in positivo. A volte ci si azzecca comunque, e magari questo è il caso, ma non è questo il punto.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 18/03/15 alle 10:50 via WEB
c'è anche un metodo non ideologico che consiste nel dividere le cose che divertono da quelle che annoiano. non è un metodo critico e ha dei limiti evidenti costituiti dai gusti e dalle cultura musicale di chi giudica, ma almeno sono sinceri.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 18/03/15 alle 10:51 via WEB
...ma almeno è sincero.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
loopdimare il 18/03/15 alle 11:38 via WEB
Valutare la musica per quel che si ascolta non è una cosa tanto semplice. Intanto non si riuscirebbe a capire la musica pop e rock: giudicare Beatles, Stones o Clash ignorando l'impatto sociale ed emotivo che scatenavano, è come ascoltare metal a basso volume in un salotto rococò. E penso che chi ascoltasse Coltrane o Ayler negli anni roventi americani, non potesse tanto separare la musica dal contesto. Quanto al fatto che il denaro (il troppo denaro) non sia più un parametro negativo da far pesare in una valutazione, io dico dipende. Tralasciamo pure le considerazioni moralistiche ed entriamo nel merito: se l'artista in oggetto per raggiungere fama e soldi non ha stravolto eccessivamente la sua produzione, allora gli faccio tanto di cappello perchè ha saputo imporre la sua musica a tanta gente. Se invece in nome del successo ha modificato ed impoverito la sua proposta musicale, allora io m sento la voglia di dirlo, anche se sono che il mio giudizio non conta niente.
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 18/03/15 alle 12:04 via WEB
Alberto, guarda che non ho scritto che la musica debba essere separata dal contesto, ma è certo che se non hai gli strumenti per valutare ciò che ascolti parli sempre d'altro...
 
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