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FAZIL SAY

Post n°3857 pubblicato il 23 Gennaio 2015 da pierrde

Fazil Say è un musicista per molti versi assai interessante. Quarantacinque anni il 15 gennaio, turco, pianista e compositore, suona con la New York Philharmonic, la Filarmonica di Israele, l'Orchestra Sinfonica di Baltimora, la Filarmonica della BBC, l'Orchestre National de France, laFilarmonica di San Pietroburgo.

È ospite regolare del Festival di Lucerna, del Klavierfestival Ruhr, del Rheingau Musikfestival, dei festival di Verbier, Bonn e Salisburgo. Ha tenuto recital nelle più importanti sale da concerto tra le quali il Concertgebouw di Amsterdam, la Philharmonie di Berlino, la Suntory Hall di Tokyo. Ha collaborato con Yuri Bashmet, Shlomo Mintz e Akiko Suwanai e nel 2004 è stato in tournée mondiale con Maxim Vengerov.

La passione per il jazz lo ha portato a fondare il Worldjazz Quartet, con il quale ha suonato a Saint-Denis, Montpellier, Montreux, Istanbul. Al di là del su eclettismo musicale Fazil ha anche un turbolento rapporto con il suo paese e la sua religione: basti ricordare le condanne subite nella Turchia di Erdogan per blasfemia.

Una parola che evoca inquisizioni e crociate, ma che racconta una storia realmente accaduta nel settembre del 2013, allorquando il pianista, ateo dichiarato e su posizioni politiche decisamente progressiste, ha ritwittato ironicamente delle frasi del grande poeta persiano del XII secolo Omar Khayyam: il risultato è stata una condanna a 10 mesi, condonata a patto che il nostro mantenga una buona condotta nei prossimi anni.

In parte per lo stesso articolo del codice penale era stato condannato nel 2006 lo scrittore Orham Pamuk per aver denunciato il genocidio degli armeni. Ai primi di ottobre è uscito un album, Fazil Say plays Say, dove raggruppate insieme per la prima volta, si possono ascoltare le composizioni per pianoforte solo che Fazil ha composto ed eseguito in scena in tutto il mondo: Black Earth, Paganini Jazz, Alla Turca Jazz, ecc ..

Queste piccole miniature sono diventate un marchio di fabbrica e contraddistinguono un pianista che è alla ricerca di un linguaggio musicale unico.

"The program which you are going to hear is composed of pieces that I have performed in concert throughout my life. They are literally "music of a pianist at the piano". You will discover numerous melodies from both Turkey and Anatolia.

In my youth I also enjoyed making jazz arrangements of the great classics and I have included a few of these transcriptions on this album. Over the years I have consistently included these compositions in my concerts, sometimes as an encore, variating and adapting them.

Those who have been following me will surely recognize most of these works. I have always admired a citation of Tarkovski that says "If the artist exists it is because the world is not perfect". An attempt to describe in music one's life... And here you have a few humble examples".

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Rodolfo Marotta il 23/01/15 alle 15:06 via WEB
Ho ascoltato i primi quattro minuti. Ricorda molto Giovanni Allevi nella forma musicale e nel ciclo armonico. Usa scale più sofisticate ma non è che una scala al posto di un'altra può cambiare la sostanza. La scala è il vestito, la forma è il corpo. Un Allevi vestito a festa...
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 24/01/15 alle 00:34 via WEB
Caro Rodolfo, innanzitutto perdonami e concedimi di dirti che questa volta hai detto una castronata. Fermo restando che una persona seria non giudica neanche Allevi dopo quattro minuti, se non altro per dignità verso se stesso e verso la propria serena capacità di giudizio, è evidente che di Say non conosci molto. Ciò detto e concordando pienamente con Mauriac che sosteneva: "la vulgarité est infranchissable", mi concedo di essere volgare: fra Allevi e Fazil Say c'è la stessa differenza che c'è fra il cioccolato e la melma. Lo si potrebbe probabilmente capire anche in meno di quattro minuti ma, come diceva Osgood Fielding II: "Nessuno è perfetto!".
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Rodolfo Marotta il 25/01/15 alle 15:44 via WEB
1) Non lo conoscevo 2) Questo brano non ho finito di ascoltarlo per la noia che mi provocano i clichè ripetuti di cui è ricco 3) Mi riprometto di dedicargli un ascolto più approfondito, pronto a ritirare il primo giudizio (ammesso, ovviamente, che ci riesca...)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Rodolfo Marotta il 25/01/15 alle 16:02 via WEB
D'altra parte, tutti i musicisti sia nel caso di musica scritta che estemporanea, suonano come se stessero cucinando. Compongono assemblando clichè e formule già usate e riusate come se fossero gli ingredienti di una minestra. Gli innovatori, ahimè, non nascono tutti i giorni. Ma il modo in cui questi ingredienti si usano o si assemblano è fondamentale.Il rischio di abusare nelle quantità e nella modalità di trattamento o cottura è notevole. La cucina che incombe in questo periodo (storico?) è una cucina di crisi e molti ingredienti stanno iniziando a diventare un po' indigesti e certi cuochi, ahimè, non sanno accorgersene. L'ingrediente-clichè più indigesto, per esempio, è la cosiddetta 'improvvisazione' che ormai è diventato stantio e coperto da un consistente velo di muffa.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 26/01/15 alle 09:02 via WEB
I linguaggi si esauriscono, è vero. L'improvvisazione non è, però, un linguaggio, ma uno strumento con cui agire sui linguaggi. Ciò detto, non credo che oggi vi sia un linguaggio da crisi generica. La crisi è certamente europea (basti ascoltare gli osannati borghesucci di Angles 9 per capire quanto poco sia rimasto da dire a molta musica europea presuntuosamente travestita da finta contemporaneità) e di gran parte dell'Occidente, ma i grandi laboratori multietnici delle Americhe e le nuove realtà extra-europee hanno ancora tutto da raccontare. Quanto a Fazil Say, è sicuramente più interessante come interprete accademico, aldilà del suo innegabile virtuosismo: come compositore è evidentemente molto legato alla cultura turca e ha, altrettanto evidentemente, dei momenti di impaccio con l'improvvisazione (che è strumento ben più difficile da manipolare di quanto sembri). Paragonarlo a Giovanni Allevi è fare un complimento a quest'ultimo, che non possiede lo spessore culturale di Fay e neanche un decimo della sua caratura di strumentista e di interprete. E per quanto Say possa essere discutibile come autore, egli possiede comunque dei mezzi che Allevi riesce a malapena a bluffare (e credo di essere stato generoso).
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Rodolfo Marotta il 26/01/15 alle 23:00 via WEB
La pratica dell'improvvisazione è forma musicale, è composizione (istantanea). Anzi, il giudizio estetico di una improvvisazione è legato proprio alla sua capacità di strutturarsi in senso compositivo. Al giorno d'oggi viene invece sempre più spesso eseguita come un patchwork in cui si mettono insieme patterns ormai triti e ritriti nell'ambito di timbri ormai troppo consueti e ripetitivi. Qualche musicista comincia a rendersi conto e infatti si nota una certa convinta ripresa della scrittura e dell'arrangiamento. Comunque sono anni che non ascolto improvvisatori non dico innovatori ma almeno capaci di sorprenderti.
 
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