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Vita di un uomo non illustre

Post n°855 pubblicato il 29 Dicembre 2013 da LaDonnaCamel
 
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Sono sempre curiosa di indagare i meccanismi editoriali perché mi piace scoprire come funzionano le cose, è un desiderio ovvio e naturale, aiuta a inserirsi meglio nel mondo, permette in qualche modo di controllarlo o almeno di adeguarsi alle pretese della realtà.
Mi sono messa quindi a leggere un po' in giro il perché e il percome del tardivo successo di un romanzo uscito cinquanta anni fa e solo recentemente apprezzato dalla critica e dal pubblico. Il libro in questione è Stoner dell'americano John E. Williams che mi è stato regalato per Natale e che ho letto tutto in un fiato a Santo Stefano. Lo dico subito, mi è piaciuto molto, del resto io non sono una che legge qualcosa per forza, se non mi avesse presa - o se mi avesse richiesto una tassa di lettura troppo alta - l'avrei mollato lì. Voglio dire subito anche la mia ingenuità, o ignoranza: non sapevo nulla delle fortune editoriali di questo romanzo, l'ho letto così, alla cieca, senza guardare la quarta di copertina, senza cercare la storia dell'autore, l'apparato critico, gnente.
La storia è semplice e viene riassunta dall'autore stesso nelle prime dieci righe, non ci sono sorprese o colpi di scena. Ecco l'incipit:


"William Stoner si iscrisse all'università del Missouri nel 1910, all'età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato in filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido. Quando morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell'università un manoscritto medioevale, in segno di ricordo."


La scrittura è la più trasparente possibile, pudica e asciutta, non troppo scarna ma essenziale, senza fronzoli, come se l'autore avesse urgenza di dire qualcosa e non volesse sbiadirla con uno stile troppo brillante o straordinario e per questo dovesse andare dritto alla meta. Una scrittura che ho trovato anche molto attuale, non dico contemporanea altrimenti si potrebbe pensare a un post-postmodernismo di maniera e così non è, è talmente poco connotata che si distingue dai suoi contemporanei come se fosse stato scritto oggi (ho pensato nel confronto a Revolutionary Road che è uscito negli stessi anni e pure ho amato, ma che sembra scritto da suo nonno, per dire). Un classico, direbbe qualcuno. Scritto sottovoce, ho detto io su Anobii:


"Sono sempre affascinata da questi personaggi passivi, o dall'apparenza passiva, che si lasciano fare dalla vita. Mi immedesimo e vorrei potergli parlare, vorrei entrare in contatto con loro per spingerli a non accettare il proprio destino con quella rassegnazione, come se tutto fosse fatale, già deciso una volta per tutte, vorrei scuoterli e urlare, dai che ce la puoi fare, forza!
E' ovvio che il loro destino sia fatale, c'è un Dio crudele che tiene il lettore in sospeso per tutto il tempo, che mette questi personaggi alla prova, li fornisce di amici e nemici, di desideri che in un primo momento sembrano realizzabili solo per poterli deludere poi. Questo Dio è un autore abile e attento, che conosce il profondo dell'animo umano, che lo sa raccontare senza epica e senza acuti, per fargli vivere la vita sottovoce fino alla fine."


Bada bene, non è un libro noioso. Lo ribadisco, ce ne fosse bisogno: l'ho letto senza fermarmi perché mi ha presa bene, è molto immersivo. Questo uomo senza qualità, rassegnato ma tenace, ha desideri, sentimenti e emozioni nei quali ci si può immedesimare.

Come dicevo prima, quando è uscito, nel 1965, non ha fatto grande scalpore. Perché adesso sì? Nel 2006 è stato ripescato dalla New York Review of Books, che ha presentato Stoner come "improbabile eroe esistenziale che si staglia come una figura di un dipinto di Edward Hopper", eh sì, Hopper è vero, Escursione nella filosofia, Hopperquarda questo qua, Excursion Into Philosophy, 1959. Il periodo ci sta e lo stile anche, il parallelo mi convince ma io non direi che si staglia, direi invece che Stoner si procura di stare fuori dal raggio della luce, senza nascondersi proprio ma senza mettersi in evidenza, lasciandosi sfiorare appena la punta del piede.
E ora che ci penso è questo forse il segreto, il romanzo, come il suo protagonista, rimane ai margini della scena perché non pretende di essere ascoltato, non strepita e non si mette in mostra, parla sottovoce e lo dice una volta sola: solo chi sta attento lo sente e può comprenderne il valore. Non è facile emergere in questo mercato editoriale simile ai talk show televisivi dove chi urla più forte assorda tutti e copre il bisbiglio di chi ha una cosa da dire e sa dirla bene. Magari anche una sola, ma bella. Però tra i lettori c'è chi sa ascoltare, chi non si fa impressionare, meno male. Il resto è passaparola.

Stoner, di John E. Williams, Fazi editore

 
 
 
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