Kremuzio

Non so perché il due novembre sia vacanza a scuola, e non ricordo lo sia stato quando facevo le elementari. Ricordo vagamente un 4 novembre, ma non come anniversario della vittoria, bensì come S.Francesco, e si andava tutti a messa in una chiesa di fronte, con tutto l’istituto religioso che bloccava la strada per attraversarla. Altri tempi. Ma il 2 novembre vacanza proprio no. Oggi lo sanno bene i genitori, visto che mi sono trovato l’ufficio, ieri con un po’ di pargoli vocianti, figli di colleghi che non avevano nonne a disposizione o soldi per la babysitter. Un ennesimo sfregio ai lavoratori, quindi, che non siano quelli della scuola, ovviamente. Ed i bambini, come al solito si sentivano costretti da otto ore passate a fare domande, a disegnare sui fogli bianchi usando pennarelli e penne, causando un bel caos. Come fai a tenere buono in un ambiente pesante un figlio senza causare sconvolgimenti? Ok che si tratta di un giorno solo. Qualcuno porta anche un cagnolino di quelli microscopici, ma questi se ne stanno buoni nella cuccetta a dormire, e se la trattengono fino all’ora di pranzo. I bambini no, ed in un ambiente nuovo ed eccitante come potrebbe essere ai loro occhi, non si metteranno certo a studiare.

E qui scatta il ricordo.

I pomeriggi li passavo dalla zia sarta, e non mi annoiavo dopo i pochi compiti. Partitelle a palletta da solo in corridoio dove una specchiera era una porta di calcio perfetta, e poi c’era la televisione per la tv dei ragazzi. Ma ogni tanto, non ricordo perché, ero costretto ad andare da mio padre, al lavoro. Era un negozio di materie plastiche di proprietà di mio nonno, posto al centro storico. Lo dirigeva un mio prozio anzianissimo, cavaliere di Vittorio Veneto, che in faccia aveva i segni di un proiettile della prima guerra mondiale che gli aveva lasciato una grossa cicatrice sul labbro inferiore. Un gentiluomo di altri tempi che aveva il vizio, alla sua età, di fare il galante con le commesse. Una specie di Berlusconi, ma un milione di volte meglio, gentile, educato e distinto. Una figura d’altri tempi che non diceva mai una parolina fuori posto. Almeno per quel che ricordo io. Ogni tanto faceva finta di fare il satiro e rincorreva le ragazze, scherzando. Queste si facevano raggiungere e dare un bacetto sulla guancia. Poi se facesse altre cose nel negozio, che era un vero e proprio labirinto, non mi è dato saperlo.

Un labirinto, sì, ancora sogno quel magazzino sotterraneo pieno di stanzette, bilance, cumuli di tovagliati e rotoli di cellophan. L’odore della plastica che mi faceva venire mal di pancia, la scarsa illuminazione, i santini attaccati alle pareti.

Ma dopo le ispezioni avventurose, dovevo mettermi a studiare. Per cui dovevo andare nell’ufficetto pieno di mobili vecchi o antichi, su una scrivania piena di scartoffie, penne stilografiche e carta assorbente. Ricordo la noia, la luce fioca delle lampadine da 40 watt, l’interfonico Marelli color caccola, il ventilatore coloniale della stessa marca, metà color avorio e metà verdognolo metallizzato che provocava un vortice d’aria che faceva volare tutte le copie delle fatture in carta velina. La macchina da scrivere Olivetti Lexicon 80 grossa che quando premevi la barra spaziatrice rimbombava tutto il tavolo (TU-TUM). La calcolatrice Divisumma 24 elettrica che stampava i risultati delle operazioni su un rotolino di carta porosissimo che non dovevo sprecare. Difficile, visto che se premevi il tastone del risultato partiva con un UMMMMMM TRATTATRA’ TRATTATRA’  TRATTATRA’  e divorava carta. I timbri! Che belli, con il tampone che profumava di inchiostro e che mi sporcava i polpastrelli. Ma il meglio veniva durante le perlustrazioni.

Sulla scrivania, sotto una pila di cataloghi ed altra carta stampata, c’era una rivista in bianco e nero, sempre la stessa da diversi anni, che sfogliavo di nascosto. Si chiamava “ABC” ed era piena di foto di donne nude, ma proprio nude nude. Da lì capivo la differenza tra una ragazza ed una cuginetta, e mi è stata di molto aiuto nella conoscenza del genere femminile. Un giorno mio padre entrò nell’ufficio, e non so come, si accorse che forse c’era qualcosa che non andava nella pila delle carte. Mi disse semplicemente di non fare disordine e non toccare niente, e senza “quasi” farsi accorgere, tolse dalla pila quella rivista, portandosela via.