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Plastiche tragedie

Post n°382 pubblicato il 26 Febbraio 2010 da kremuzio
 
Foto di kremuzio

Del Lambro mi parlava mio nonno, commerciante in plastica, quando molti anni fa si recava di tanto in tanto a discutere sui prezzi ed il materiale da acquistare. E dopo qualche settimana arrivavano camion che scaricavano rotoli su rotoli di tovagliati, nylon, polietilene, e tutti quei nomi in “ene” che stavano a significare una cosa sola: plastica. Poi anche mio padre iniziò la sua attività, e sempre a parlare del Lambro come oasi per la plastica italiana. Ci passava quando andava “a Milano” per trattare coni fornitori. Altri tempi, oggi i fornitori vengono anche carponi pur di svuotare i magazzini. Ed io che la odiavo, la plastica, dovevo scaricare quei rotoli pesanti, in quantità all’ingrosso, e portarli in magazzino. Me ne caricavo 2-3 per volta e li buttavo per le scale. La plastica, si sa, non si rompeva. Ma puzzava, di quella puzza chimica che ti arriva subito alla testa e me la fa indolenzire. Non solo, ogni volta che andavo in magazzino mi veniva anche il mal di pancia. Probabilmente per questioni somatizzanti. Avrei preferito che la mia famiglia commerciasse nel ramo librario o elettronico invece che nella plastica.

Comunque ogni tanto mi sorbivo le descrizioni di quella landa lontana, piena di persone gentili, intorno ad un fiumicello che già faceva schifo 40 anni fa. Sporco, puzzolente di schiuma chimica, praticamente una discarica tecnologica ante-litteram.

Le cronache di questi giorni però mi mostravano un bel parco pieno di uccelli acquatici sofferenti per i liquami oleosi che vi sono stati gettati. È assurdo come si possa pensare che esista qualcuno che deliberatamente riversi un carico di morte nell’acqua. Ma se ci penso meglio, visto che esiste anche chi scioglie nell’acido il corpo di bambini che ha ucciso in precedenza, non dovrei meravigliarmi più di tanto. Come ogni cosa che si abbandona, poi non si può pensare che rimanga ferma, come sospesa in un destino che se non vedi non c’è. L’olio, gli idrocarburi, le sostanze velenose, scendono nel terreno, intridono tutto ciò che possono, inglobano ed attorniano organismi vivi e li soffocano quando li ricoprono. Altro che oro nero. Dovrebbero chiamarla solo morte nera. È il naturale esito che sostanze fossili portano se immesse nella natura viva. Sono fossili, morti milioni di anni fa, che noi riportiamo sotto il sole per sfruttarli in maniere contronaturali. E’ innaturale, pensiamoci bene, tutto quello che ha a che vedere con il petrolio, dall’impiego come carburante al suo utilizzo per materiali inquinanti. Ed li risultato si vede. Avvelenamento delle acque, degli animali e della vegetazione a partire dal punto di origine della tragedia fino a centinaia di chilometri di distanza. E se sconvolge vedere tutti gli animali in difficoltà che senza un aiuto immediato dei volontari, sono destinati a morire non senza sofferenza, che vediamo, pensiamo a tutto quello che non si può vedere, a tutti i pesci che verranno a galla, morti, ai microorganismi, agli insetti, agli alberi che cominceranno a pompare dalle radici tutto quel veleno. Possiamo cominciare a sperare in una giustizia umana che prenda i responsabili di questo orrore e li punisca duramente? Magari immergendoli, per una violenta legge del taglione, in quelle acque che hanno rovinato? Mi spingo oltre? Ad essere rinchiusi con qualche tonnellata di animali morti per il petrolio, o che bevano solo acqua che hanno inquinato? Ma già mi immagino che ci sia qualche interesse economico sotto, anche se non arrivo a pensare quale possa essere. Purtroppo “cherchez l’argent” che in ogni movimento che provochi disastri, il fattore monetario è il primo indizio su cui indagare.

Fortunatamente ci sta pensando Bertolaso. Sono in preallarme tutti i centri di massaggi della Padania per una bella sessione di massaggi al petrolio. Pare che facciano benissimo per la forfora. Ma stavolta gli anticoncezionali non li deve portare lui: li passa l’organizzazione. 

Ma ricordiamocelo come quei quattro giorni di festa del proletariato giovanile nel 1976. Nella foto all’inizio si vede un piccolo momento di gioia, ben diverso dallo strato nero di oggi. 

 
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