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DJANGO UNCHAINED – Ovvero l’amore ai tempi della schiavitù
Post n°191 pubblicato il 19 Gennaio 2013 da pantouffle2011
Non volevo fare un altro post su un film, lo dico subito. Ma poi ho visto questo pippone di quasi 3 ore, roboante, violento e circense e non ho potuto farne a meno. Perché?
Perché è bellissimo, perché ha un ritmo che ti cattura, ti ingroppa le budella e non te le molla più, perché dentro c’è tutto Tarantino (che piaccia o dispiaccia, è uno che il cinema lo sa fare e non ci sono giuggiole che tengano), perché ha una colonna sonora che sembra una raccolta di cover ficcata a forza nella cassettina del mangianastri. Perché è glamour (“Come sarebbe a dire non sei uno schiavo… vorresti dirmi che ti vesti così per scelta?!”), perché è brillante, pungente, divertente, splatter quanto basta e con dei dialoghi essenziali ed eleganti insieme, in un parlato semplice ma intelligente che vorrei sentir parlare al telegiornale.
La storia d’amore c’è, ed è la molla che spinge Django a ribaltare condizionamenti sociali, pregiudizi e pessime tradizioni dure a morire; ma resta inevitabilmente sullo sfondo, perché è privata, privatissima, come solo le vere storie d’amore possono essere; e perché non c’è nulla da dire, alla fine, perché dell’amore tutto è già stato detto e scritto: l’amore è originale e unico solo per chi lo vive in quel momento.
No, il concetto chiave del film non è l’amore che smuove le montagne ed esalta i cuori, ma la concezione che si nasca con un futuro già scritto, un destino già geneticamente segnato.
E se vi sembrano cazzate d’altri tempi venite a fare un giro dalle mie parti, dove le etichette si danno via come il pane: il marocchino è inaffidabile e poi non ha voglia di lavorare; il polacco è bravo a fare il muratore e l’idraulico ma caspita quanto beve, l’albanese ti ammazza anche il gatto, il cane e la suocera per 2 euro, il rumeno si ubriaca, fa casino e ti ruba anche la biancheria che indossi; e la rumena… be’, diciamo che è brava a fare altre cose.
Ma niente è scritto, nel bene e nel male, e la genetica non può essere una giustificazione per i nostri errori. Come non possono essere giustificazioni le circostanze, gli umori, le reazioni altrui e i momenti sbagliati. Siamo quello che siamo, inteso come quello che ogni giorno scegliamo di essere. E quello che siamo, fortunatamente, non è necessariamente quello che saremo: perché il margine di cambiamento esiste sempre.
E non so voi, ma questo a me mi fa stare serena. (Le sgrammaticature un po’ meno). Vai Django, che sei tutti noi!
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