GIORNI STRANI

Vita di comunità: mai come ora dobbiamo fare appello a ogni nostra singola cellula. E' giunto il momento di imprimere una violenta accelerazione all'intelligenza della nostra specie, come una frustata di tramontana: l'occhio non sarà occhio e la mano non sarà più mano, negli anni venturi.

Creato da sergioemmeuno il 22/04/2011
 

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Personaggi e fatti

Il nome e cognome dei personaggi appartenenti ai racconti e ai tag "frammenti di scrittori in erba" e "il mio romanzo", come pure i fatti narrati, sono frutto della mia fantasia.

 

 

>>> Chiacchiere fra colleghe, nella Sala da tè De Balzac

Post n°921 pubblicato il 14 Dicembre 2014 da sergioemmeuno
 

 

Il giovedì pomeriggio, come di consueto, il clan delle “amiche del pomeriggio” si ritrovò nella Sala da tè De Balzac del padiglione, sul lato orientale della possente struttura della Walking not alone e parzialmente occultato da imponenti pini marittimi. Ore sedici, nel cuore accartocciato e marroncino sbiadito di novembre, rintanate nella veranda riscaldata a dovere, la crem crema rosa dei Primi Passi si lasciò andare col sedere pesante sulle sedie di midollino sintetico nero: Carla, Cris, l’adrenalinica Rosella e Xena, con la straordinaria partecipazione della mastodontica Lucrezia delle Rucole, accompagnata da una signora distinta dai capelli bruni a mezza altezza e dagli occhi che la sapevano lunga.

Era una donna di scienza, Laura Phau, e dimostrava molto meno delle sessanta primavere segnate sulla carta anagrafica: oltre tre decenni consumati fra giornate estenuanti di laboratorio, pubblicazioni, conferenze, mediazioni non ufficiali; e poi quella valigia sempre pronta sotto il letto, confidenza con tutti gli aeroporti europei – ormai familiari come il suo salone di casa in stile etnico –, e il tempo da dedicare alla propria famiglia ridotto al lumicino. Fu presentata come una neurologa di caratura internazionale, a capo del dipartimento di neuroscienze presso l’Istituto di ricerche farmacologiche di Santa Teresa d’Avila, nei pressi della Cassia. Era un centro di eccellenza, guidato dal prof Umberto Sanna, che per tradizione era molto attento alla trasparenza dell’operato delle scaltre multinazionali del farmaco.

Sfruttando il tempo consono alle tazze fumanti di tè o di cioccolata o di fondute bianche, nel calderone fu gettato un po’ di tutto: chiacchiere, progetti, bilanci personali conditi da confidenze e finanche gl’immancabili pettegolezzi; con donne del genere – tutt’altro che sprovvedute e banali – il guizzo o la sorpresa era sempre dietro l’angolo.

Il tempo di ordinare e subito la prima chicca del pomeriggio: Jean Pierre trasmutò in cameriere dai bicipiti orgogliosi e, fra lo stupore delle colleghe, servì le bevande al tavolo con un sorriso Durban’s.

«Che galantuomo!»  La Direttrice apprezzò il gesto, e venne seguita nei commentini e nei sorrisi a profusione dalle altre.

«Direttrice, un dovere, solo un dovere», replicò l’ivoriano. «Ero di passaggio e non mi costava nulla.»

Rosella, una la cui lingua batteva spesso in velocità il cervello, colse al volo l’occasione per iniziare a conversare sull’inflazionato argomento degli uomini. All’unanimità Jean Pierre era senza ombra di dubbio un bell’uomo, e anche equipaggiato di un carattere amabile, ma nell’età della maturità era lecito desiderare ben altro.

«Lo vedrei bene con una trentenne, anzi… Nemmeno. Una ventenne», sentenziò Xena, un caso lampante di come il nome partorito dalla fantasia dei genitori possa essere un fardello pesantuccio, al contempo croce e delizia. Era la più appariscente del conciliabolo, e, dopo anni di magre sentimentali, sembrava aver finalmente trovato il miglior compromesso amoroso con Lucio, di dieci anni più grande, un geometra con le mani in pasta nel comune di Roma. A questa frase, Lucrezia, agghindata in un severo abito nero a balze arricciate e collo alto, sormontato da una massiccia collana di perle, sembrava bofonchiare dubbiosa qualcosa a testa bassa.

Quindi fu la volta della Bragioni, che si sfogò più del solito del consorte, “amorevole ma senza spina dorsale…”

«E cos’ha Gianni che non va?» indagò Lucrezia con quell’inconfondibile voce acuta, adesso sopportabile, ma che all’apice dei momenti d’irritabilità ricordava lo stridio dei carri merce sul ferro che s’insinua nell’area del porto.

A vederla dall’esterno incuteva un certo qual timore, troppo pittoresco e troppo marcato il suo ruolo di intransigente Direttrice della struttura; ma se si aveva la buona stella di conoscerla da vicino – come le “amiche di merenda” –, rivelava un inaspettato quanto immenso cuore d’oro: una volta, in un momento di buio pesto in cui la famiglia di Carla era sommersa sino al collo dai buffi, diede loro dei soldi a fondo perduto senza battere ciglio.

«Sono anni che tutte le volte che si deve prendere una decisione importante mi passa la palla», spiegò Carla.

«Embè, cosa ti lamenti? Lo vorrei io  un uomo che mi lascia l’iniziativa!»  gracidò Rosella, alle prese da anni con una dolce metà che voleva decidere quale e quanta carne comprare per le grigliate, insistendo spesso sulle più economiche bistecche di collo di suino e sulle spuntature. Oppure altre volte metteva bocca e protestava tutte le volte che lei usava l’olio di girasoli per friggere, a suo parere “un attentato alla salute”. Sulla sponda opposta, quando si trattava di nuotare nell’ADSL non aveva esitazioni nello scegliere la banda più ampia, e stesso discorso per la teledipendenza verso Sky.

«Ma sono fatti tutti con lo stampino? Riferirò ad Alberto per iniziare un succulento studio ad hoc», ironizzò la Phau, amica di vecchia data di Lucrezia.

«Perdonami Rose’… credo che una donna non possa accollarsi il peso di ogni cosa», riprese il filo Carla. Un sorso di succo d’ananas e poi di nuovo quel fiume in piena. «A chi tocca puntualmente far tornare al loro posto papà mamma e the other? A chi tocca abbassare il capo a cinquant’anni suonati per reperire risorse per il pranzo della cresima?» Le altre cercavano di arginare lo tsunami emotivo. «… A chi tocca, cazzo, suonare al campanello di quelli sopra che ti gettano puntualmente le cicche e i fiori sul balcone?» Ora intervenne anche Lucrezia con una mano sulla spalla. «E no signori, non sono di ferro. E ho pure una laurea in Lettere, anche se poi non mi è servita un granché.»

«Beh, intanto sei stata selezionata da noi. Ti pare poco?» esplose fra lo scherzoso e il risentito la Direttrice, da alcune malelingue etichettata La Zuccheriera, per via della circonferenza esagerata all’altezza della vita e del posteriore, per poi stringersi salendo verso le spalle.  

«Dai Carla, ti trovo in forma smagliante. Poi in privato mi devi dire come hai fatto a buttar via quei chiletti, monella, ehe», la pizzicò Xena, la stanga dai capelli riccioloni e rossi. In effetti, a vederla da dietro, quegli aderenti pantaloni chari di lino le disegnavano un sedere importante ma tutto sommato proporzionato: un lato B che ancora sapeva calamitare curiosità e attenzioni e pensieri taciuti. Scaltramente, lei sopra ci aveva abbinato una camicetta  più voluminosa a righe verticali, in grado di contenere un seno che non passava inosservato nonché prodigiosamente eretto: miracolo – non è difficile capirlo – dei reggiseni della Triumph a bretelle larghe. 

«Ehe, gli ultimi mesi Carla ha messo la freccia. In tutti i sensi», chiosò Rosella.

------------------

 
 
 

Conversazioni di donne senza volto.

Post n°920 pubblicato il 02 Dicembre 2014 da sergioemmeuno
 

 

 

*              *              *

D: – Cosa pensi di fare.

L: – Chiuderò con lui la scheda anzitempo, dicendogli che non abbiamo rinvenuto dati significativi per Neo Umanesimo. A risentirci.

D: – E se si ostinasse nel voler capire di più?

L: – Beh, si valuterà al momento.

D: – Speriamo bene.

D: – Ciao carissima. A presto.

 

Laura pensò bene di fare tabula rasa della conversazione col diabolico Privazer.

L’altra scivolò con le lunga dita dalle unghia blu sull’angolo destro del suo minibook: con un sorriso criptato si scollegò dalla rete Wi-Fi del centro commerciale; aveva una forma d’idiosincrasia per gli smartphone: diffidenza o snobbismo?

 Quindi gettò dietro la borsa con i suoi ultimi acquisti, dove faceva capolino una pochette bianca di coccodrillo targata Louis Vuitton, dopodiché, scattosa, accese la sua fedele Smart. Il ticchettio della pioggia incessante di novembre, a Frida, le era del tutto indifferente.

 
 
 

>>> Riflessioni senza peli sulla lingua, a un anno di uscita di Generazione oltre la linea

È passato poco più di un anno dalla pubblicazione del romanzo Generazione oltre la linea, l'esordio per cui non mi sono risparmiato, andando a prendermi alcuni rischi personali. Ma in certi casi bisogna essere come la cavalleria… quando si parte bisogna proseguire indomiti, ehe. Sono sobriamente soddisfatto dell’esperienza. Tanto potrei e dovrei dire, ma rischierei di essere palloso e di ammorbare persino me medesimo, quindi farò una sintesi.

Quando ci si mette in gioco – è ridicolo che uno si faccia il culo come un secchio e poi si nasconda dietro la tenda come i bimbi timidi, cosa che più volte ho ribadito alla consorte – bisogna anche aspettarsi recensioni negative. Un libro, un quadro, uno stesso brano musicale vanno a toccare le corde di ognuno di noi in modo del tutto personale. Purtroppo ma anche per fortuna, direi.

Mi sia consentito un discernimento: ci sono critiche oggettive che sono da condividere e concorrono alla nostra crescita, poiché sanno mettere in piedi un’idea costruttiva; altre no, in quanto impiegano la carta vetrata sull’opera in toto, accecate da chissà che cosa. Ho scelto i 5 giudizi in un certo senso più rappresentativi nel bene e nel male.

 

Secondo il mio modesto parere, la pecca maggiore è la struttura del romanzo. Un esempio su tutti. I personaggi del libro (una ventina circa) sono presentati al lettore un po’ come il primo giorno di scuola, quando la maestra fa l’appello. Personalmente credo che questo espediente invece di fornire una panoramica esaustiva dei protagonisti, generi confusione in quanto non ci sono punti di riferimento. Tutti i personaggi sono sullo stesso piano, salvo poi (ovviamente) svilupparne solo alcuni in dettaglio.

La recensione di Gialloecucina è stata comunque buona (3.5):

http://gialloecucina.wordpress.com/2014/03/07/generazione-oltre-la-linea-sergio-messere/

 

Un esempio ora di una recensione che non posso “considerare”, in quanto contraddittoria:

Apprezzo l’idea strettamente “ecologica” dell’autore, il tentativo nobile di porre l’attenzione dei lettori su problematiche attuali quali: multinazionali, OGM, e tematiche come la scoperta di se stessi attraverso la convivenza con altri in piccole comunità.

Ripeto che alcuni dialoghi, per quanto lunghi e talvolta noiosi, riportano degli spunti riflessivi di un certo spessore, ma nulla di più.

Ora, è evidente che la storia non è stata molto gradita (2.5 stelle, ossia “leggibile”), ma mi chiedo, potendo avvalermi del diritto di replica, come cribbio possa essere “nulla più” un libro che parla di ogm, multinazionali, evoluzione del Sapiens, filosofia della Libertà, studio di sé… Diverso sarebbe già stato se lei avesse detto che avevo scritto delle boiate scientifiche.

http://sognandoleggendo.net/generazione-oltre-la-linea-di-sergio-messere/

 

Continuiamo nel bagno collettivo, ecco un commento essenziale che mi rende nudo e mi fa ancora sorridere:

Butterfly  14 giorni fa

Sto libro è il festival del sesso nevrotico all'ennesima potenza.

http://www.gliamantideilibri.it/generazione-oltre-la-linea-sergio-messere/

 

Ed ecco ora la recensione di Tamara Mussio (4.25), quella che più mi ha reso felice, poiché si è perfettamente calata nella storia come una speleologa, agganciandosi alla mia cella mentale:

La particolarità e la bellezza di “Generazione oltre la linea” sta nel miscuglio di pensieri, riflessioni, analisi cervellotiche e ricerca della verità, che pervadono tutto il testo. Il lettore entra leggendo il punto di vista del protagonista, Danilo, ma è falso. In realtà il lettore viene portato senza preavviso in mezzo a tutti i protagonisti e entra nella mente di ognuno di loro, cedendo alla confusione e allo smarrimento che loro stessi provano. 

http://glispaccialezzioni.wordpress.com/2014/05/07/recensione-a-generazione-oltre-la-linea-di-sergio-messere/

 

Proprio al mondo cinema sembra avvicinarsi il suo romanzo: Generazione oltre la linea. In primo luogo per la somiglianza con il film Kill your Darlings (Giovani Ribelli), vedi l'ambientazione collegiale ed un'aria rivoluzionaria che aleggia in quei luoghi. In secondo luogo per la coralità del romanzo, fatto di numerosi personaggi. Una scelta questa poco consona per la letteratura, in quanto il rischio del romanzo corale è quello di non metter in luce nessun protagonista, distraendo il lettore. 

Messere si assume questo rischio, in quanto per raccontare la sua storia necessita di una generazione pronta a tutta per sovvertire l'andamento piatto e generale delle loro e delle nostre esistenze.

Questa cosa del cinema mi ha sicuramente smosso qualcosina.

http://www.50e50thriller.com/2014/10/generazione-oltre-la-linea-sergio.html

 

Finiamo con un complimento che, paradossalmente, ha valorizzato la mia follia:

Mah! un romanzo di folli scellerati, col certificato. Non mi ha globalmetne convinto

http://fai.informazione.it/p/4215265A-189C-45A6-98E1-46991AFAA3A6/Generazione-oltre-la-linea-Prospettiva-editrice#insComm

 

Il mio sogno, adesso, è realizzare qualcosa nel cinema. Non è facile, ci proveremo…

Epilogo: premesso che solo Chi va al mulino s’infarina, un suggerimento sincero per esordienti nel campo editoriale e non solo: mettetevi nelle mani di un buon editing!

_____________________________________________________________________

Link ai vari portali sparsi per l’orbe webterracqueo:

http://libri-fantascienza.recensioni-prodotti.it/recensione/Generazione-oltre-la-linea-(Sergio-Messere)/#user_rating_extern18

 

 
 
 

>>> Tetralogia degl'Inquieti: appunto critico di Valerio Gaio Pedini.

Post n°918 pubblicato il 05 Ottobre 2014 da sergioemmeuno
 

A cura di Valerio Gaio Pedini

 SERGIO MESSERE E LA POETICA ICONOCLASTA

 

Sergio Messere, poeta tutt’altro che prolifico (37 poesie scritte), naviga nell’ombra di un linguaggio di mezzo: tra il fisico e il metafisico, l’etereo e lo sporco, lo strozzato e il libero. Trasuda nella sua opera una capacità asmatica del verso,dove il poeta, ( o ciò che resta dell’uomo poeta), si fa carico del tempo e nella realtà il suo linguaggio va a precipitare e ad edificarsi in un tripudio linguistico, d’immagini e di suoni arroganti, che si soffocano e si rianimano a vicenda.

La poetica di Messere si attorciglia nell’uomo ed impreca l’uomo, rivolgendosi ad un uomo distante, ma vicino:

È giunto il tempo,

Uomo,

in cui seguirmi

dovrai

senza remore,

per conoscere

con gli occhi –

a viva luce –

quanti volti

popolano

e scorrono via

nella colata

incandescente

dell’imperitura sostanza

sempre a te celata.

 

Tutto si mostra, tutto viene rivelato, mentre tutto si nasconde all’uomo.

Il poeta è cieco, e solo con la cecità, si può vedere ciò che sta al di là delle barriere temporali, ergo si parla di “imperitura sostanza/sempre a te celata”, con un tono profetico, che allude ad una ricostruzione concettuale dell’uomo.

Ed è nell’immagine linguistica che si trova l’icona che brucia le altre, in questa Babilonia in cui tutto crolla e tutto si frammischia.

Eccoli or ora,

Uomo,

non esitare

e domina

con la mente

codesta moltitudine

di entità bizzose

dal flusso permanente.

 

Ed ancora la poetica si ha nel gioco di contrasto, tra immobilità e mobilità, tra solidità e liquidità: un cosmo che muta in fissità, che deve essere dominato e maneggiato, rendendo il chiaro scuro, e lo scuro chiaro, con la lanterna di Diogene.

E il linguaggio poetico allora si condensa nel raccapriccio, nel tugurio cosmico, in cui l’uomo si mastica da solo:

Ridacchiano

variopinti

menestrelli impudenti,

mentre schizzano

come molle

fieri degli aguzzi denti.

 

Nel linguaggio iconoclasta è la fagia e l’autofagia umana che si assottiglia fino a diventare una rugosissima carta vetrata, che infetta e scrosta la mente umane, tentando di lucidarla. La poesia, come Giorgio Linguaglossa, ha dichiarato, si verifica nella bestemmia e nella bestemmia deve essere protratto allora il linguaggio, per rigenerarsi e autodistruggersi, di continuo.

Le immagine date da Sergio sono immagini di un cosmo caotico e oscuro, che cerca d’illuminare col Verbo,andando oltre ad esso.

Ergo tutto si raffigura in una dimensione puramente inquietante, in cui l’io diviene noi, il noi diviene tu, ed alla fine l’interlocutore diviene una divinità umana che si raffigura in un corpo femminile, come la dea madre: solo che qui non è più la madre della natura, ma la madre dell’uomo, e quindi si raffigura con l’umanità stessa, in cerca di una salvezza, spodestata da se stessa.

La divinità diviene morta e l’uomo poeta la prega affinché resista.

Un ultimo inchino

mentre eretta

t’inabissi,

a poco a poco,

bagnata di luce,

ardente d’amore,

gravida di conoscenza.

Fra le acque

di cera viva

sul tuo guscio

di bianco latte.

 

Il contrasto è evidente (guscio/ di bianco latte): una protezione che genera, ma muore, come una falena.

Ed è forse questo il contrasto più importante da farsi in una poetica iconoclasta, al di là del tempo e del linguaggio: una poetica che concettualmente porta il superuomo a divenire antiuomo, in una costante autofagia che serva a rivelare se stesso, ponendosi in una dimensione di totalità.

In sintesi rintracciano in questa poetica dell’inquietudine una capacità rigenerativa, al di là della diaspora umana: il perdersi per trovarsi, l’oscurare per fare luce fanno di questa poetica l’ossatura di un principio che si rigeneri con la fine, per oltre all’”Al di là del bene e del male”.

 

http://filipponiscrittore.blogspot.it/2014/09/la-tetralogia-deglinquieti-di-sergio.html

 

 
 
 

>>> Intervista sulla poesia e narrativa di Sergio Messere, a cura di AMBRA SIMEONE

Intervista a Sergio Messere di AMBRA SIMEONE

 

1) In Italia sono numerosi i poeti che sentono un forte legame con la poesia di stampo anticheggiante, una poesia che rivive in un contesto post-moderno con le forme del passato, da Dante fino all'ultimo Montale. Nei tuoi versi ho notato una forte componente linguistica di questa antica tradizione. Cosa ti spinge a parlare di temi moderni, o meglio post-moderni, in questi termini?

 

Adoro il gioco degli opposti, il contrasto fra stile classico e tematiche post-moderne, una tendenza del tutto spontanea. E questo è ancor più evidente nel mio romanzo d’esordio Generazione oltre la linea e nei racconti.

 

2) La veste formale di questa tua poesia si esprime con l'utilizzo di una forte verticalità, dall'utilizzo di termini come alfin, beffarda, or ora, son, v'è, e dall'utilizzo di parole di stampo quasi religioso relative alla sfera liturgica come nella poesia, quasi una preghiera: “Nostra signora degli uomini”. Di questa funzione quasi sacrale che tu imprimi nella tua poesia, ne sei perfettamente consapevole perché suggerita da varie letture di questo genere? oppure scrivi senza farti influenzare in nessun modo?

 

Non so se sia un bene: ho letto molto ma non mi sono mai fatto influenzare da un autore; perlomeno non in maniera così determinante. Diverse esperienze dell’infanzia, stratificate,  hanno  contribuito a sviluppare in me un senso religioso assai forte, seppure sia una religiosità anarchica, di matrice panteistica. Riguardo la forte verticalità, a freddo sono convinto che esprima una maggiore incisività verso chi legge/ascolta.

 

3) Ho sempre trovato che la poesia, come anche la narrativa in generale, debba comunicare qualcosa; un messaggio importante, urgente e necessario al lettore. Qual è per te questo forte messaggio?

 

Più che il messaggio in sé, credo che una poesia debba essere multidimensionale, e quindi stimolare e raggiungere tutte le nostre facoltà, dall’intuito al pensiero scaturito dall’interpretazione, dimensione onirica e dimensione della veglia… e trovo che in una poesia la stessa componente musicale e ritmica sia fondamentale.

 

4) Sono molte le correnti di pensiero poetiche, spesso controversie, che danno enorme importanza alla forma poetica, intesa come musicalità del verso e dolcezza del suono. Alle volte, questo obbiettivo poetico diventa più importante del contenuto del messaggio poetico stesso. Se in futuro, un traduttore, avesse il compito di tradurre alcune tue poesie in un’altra lingua, e fossi costretto (perché in traduzione così è) di scegliere se dare più importanza alla comprensione del messaggio che volevi comunicare o di cercare di ricreare il più possibile la musicalità del testo: cosa gli consiglieresti di fare?

 

Gli consiglierei di sforzarsi di trovare un prolifico quanto arduo compromesso fra i due aspetti. A costo di pagarlo di mia tasca!

 

 

5) Ogni poeta cresce con la lettura di testi per lui fondamentali, ma allo stesso tempo la sua poetica è improntata a distaccarsi il più possibile da quanto letto. Quali sono gli autori che ti hanno influenzato maggiormente? e di questi quali sono gli obbiettivi che hai in comune con loro e quali sono quelli dai quali vorresti distaccarti?

 

Da giovane sono stato attratto e colpito da alcune opere di Goethe, dai racconti di Allan Poe e di Lovecraft. In particolare, l’aspetto che adoro di quest’ultimo e che ho cercato di trasmettere nella narrativa, è questa sua

dote di “dire e non dire”: incutere sentimenti di terrore, incertezza e disorientamento semplicemente con l’allusione, ossia senza parlare di delitti e spargimenti di sangue. Per lui non è importante l’effetto, ma la genesi, tutto ciò che viene prima: la percezione di un evento o di un non-evento ha la precedenza su ciò che accadrà.

Ad esempio tutto ciò è assai palpabile in Generazione oltre la linea… peccato che sia un qualcosa che non tutti i lettori hanno afferrato: forse siamo ormai assuefatti a una “letteratura facile”? una letteratura pret-à-porter che spiega ogni cosuccia?

In seconda battuta, sono stato non poco influenzato da letture di stampo esoterico: da alcuni libri del maestro Gurdjieff, che m’ispirerà il Sir Gabriel dell’Officina, al noto Il mattino dei maghi di Bergier e Pauwels, esponenti del realismo fantastico.

 

6) Un filosofo greco C. Castoriadis ha affermato: “non si può chiedere a uno scrittore di essere un militante politico, ma è giusto attendersi da lui che sia interno al proprio tempo, che sappia ascoltare la storia mentre si fa e i suoi contemporanei, che parli di ciò che sta loro a cuore, che metta in dubbio gli obbiettivi più importanti”. Cosa ne pensi a proposito di questa testimonianza?

 

È importante essere testimoni del proprio tempo e della società in cui viviamo, comprese le trasformazioni impercettibili ma continue, come l’azione delle onde sulle coste. Tuttavia penso che alla fin fine l’Arte e la scrittura debbano avere la precedenza su tutto, vivere secondo il proprio capriccio e le proprie istanze. Altrimenti non ci sarebbe quel “sacro fuoco interiore” che tutto muove e smuove…    

 

                                      >>>> A cura di Ambra Simeone (25/09/2014)

Link:

https://www.facebook.com/ambrasim

 
 
 

Veritas, il grano creso, il Padrone accattivante, io non ci sto…

Post n°914 pubblicato il 28 Agosto 2014 da sergioemmeuno
 

 

Lo chiamano il Progresso, ma a me sembra che dietro tutta questa democrazia e pluralità dell’informazione, perlomeno nel mondo occidentale, ognuno sia lasciato solo con se stesso, con i propri dubbi e le incertezze verso il nuovo che incombe.

Dov’è la verità? Già, dov’è la verità. Ci viene detto tutto e il contrario di tutto. Poi, ovvio, la Verità non interessa a tutti e non ha un grande appeal verso la massa… c’è chi riflette su queste cose e chi no. Punto.

La maggior parte delle persone è convinta che per ogni grande scoperta che crei “scandalo”, andando a cozzare contro ideologie e fatti ormai stratificati in quanto legittimati dalla Tradizione e dal consenso sociale, prima o poi ci sarà qualcuno che ci informerà e ci busserà alla porta, ovviamente con comunicati reboanti sulle principali tv e giornali.

Gli OGM fanno male? L’allunaggio è mai avvenuto? E il mistero delle Torri gemelle? E il DNA non umano dei crani di Paracas? A proposito, questi ultimi furono già scoperti negli anni ’20.

 

Per dirla col primo esempio che mi viene in mente, se negli ultimi quattro decenni la celiachia e le intolleranze simili sono aumentati in modo esponenziale, beh, il buon senso suggerirebbe che il tipo di grano attuale (creso), che ormai la fa da padrone sulle nostre tavole, non sia poi così tanto sano. Ricordiamo che il creso è stato ottenuto dall’incrocio fra una qualità messicana e  la modifica del noto grano pugliese Cappelli (bombardato con raggi X). Ma il fatto che qualche nutrizionista lo dica a gran voce, ancora non ci basta: ce lo devono dire con un messaggio globale a reti unificate.

Piccolezza di chi è legato al filo della comunicazione del regime tecnocratico, il regime subdolo dei Padroni senza volto, coloro che ti promettono il benessere fra smart, calcio e altri zuccherini. 

 

E allora? E allora occorre una sana prudenza unita a una sana diffidenza. Nel segno del discernimento di ciò che è in gioco: se sapere che millenni fa abbiamo avuto visite interstellari può avere comunque un impatto marginale sulla quotidianità, al contrario, avere coscienza di ciò che mangiamo e dell'ambiente che CI OSPITA è cosa prioritaria.

 

E se permettete, io non ci sto. Che dite?!      

 

 
 
 

Un Lenny Kravitz in stato di grazia...

Post n°913 pubblicato il 15 Agosto 2014 da sergioemmeuno
 
Tag: Musica

 

Sono giorni che sono in fissa per questo brano di Lenny Kravitz... insomma, cosa dire? Quando un brano è oltre c’è poco da fa’, un brano che spacca…

Quel basso sotto e le due chitarrine...

Volume a fondoscala e tutti sui tavoli ad ancheggiare ipnotizzati e Buon Ferragosto!

 

 

 

 

 

 

 

The chamber

You killed a love that was once so strong

With no regret to what you did wrong

Should I stay and fight?

Can we make this right?

 

You look through me like an open door

Do I exist to you anymore?

'Cause when I'm talking to you

There's someone else that you're hearing

 

I gave you all the love I had

And I almost gave you one more chance

Then you put one in the chamber

And shot my heart of glass

This time will be the last

 

You played your game, used me like a pawn

Check mate you're done and then you were gone

Did I move too fast? I thought we would last

Where there was love lies an empty hole

'Cause when I make love to you

there's someone else that you're feeling

 

I gave you all the love I had

And I almost gave you one more chance

Then you put one in the chamber

And shot my heart of glass

This time will be the last

 

So many nights I've been standing at the wall

Blind folded with cigarette waiting for the fall

 

I gave you all the love I had

And I almost gave you one more chance

Then you put one in the chamber

And shot my heart of glass

This time will be the last

 

I gave you all the love I had

And I almost gave you one more chance

Then you put one in the chamber

And shot my heart of glass

This time will be the last

 

I gave you all the love I had

And I almost gave you one more chance

Then you put one in the chamber

And shot my heart of glass

This time will be the last

 

 
 
 

>>> Antologia di poesie Forme liquide, luglio 2014 - deComporre Edizioni

 

 

"Nell'esperienza di cui posso parlare, legata alle malie della poesia e dell'arte, della cultura in generale, vorrei partire da un'ipotesi di tardo-modernismo di altissimo livello, tra l'altro inconsapevole, parto da un me ragazzo, più o meno nel 1992, rinchiuso in un cinema maleodorante e pomeridiano a guardare, insieme con pochi altri, un capolavoro del cinema di Pasolini quale 'Mamma Roma'. In qualche modo quel pomeriggio umido e lontano stanò la mia curiosità profonda nei confronti della poesia e lo fece nel modo più sgarbato, irruento e greve possibile; mi obbligò a fare i conti con la mia figura in crescita, con l'appressarsi della fine di un millennio e soprattutto con la voglia di non limitare la cultura, attraverso steccati precostituiti non alzati dall'unico vero giudice, il talento". (A. Seri).

 

 

Condivido l'uscita dell'Antologia di poesie Forme liquide, deComporre Edizioni. Qui ci sono le prime due poesie della mia Tetralogia degl'Inquieti, ossia Noi decadenti e Legione dei mille volti

Se un romanzo è la costruzione sapiente di intrecci di personaggi, storie e luoghi, la poesia non è da meno. Si gioca in un attimo: folgorazione pura, un tocco, un soffio, una frustrata. E nasce con i primi lampi di coscienza del Sapiens, quando migliaia e migliaia di anni fa ebbe consapevolezza di serbare in sé qualcosa di diverso; quando iniziò a sentire l'esigenza di seppellire i propri cari, volgere il proprio sguardo verso il Cielo e lasciare la propria testimonianza sulle pareti delle caverne.

La Poesia nasce col cammino dell'Uomo. Agli albori delle prime paure, dei primi sussulti, delle prime speranze.

Un ringraziamento doveroso al curatore Ivan Pozzoni, fautore di una interessante idea di "socialismo culturale", che possa anche dar voce alle variegate istanze ed espressioni di una generazione ancora inesplosa, rimasta ai margini.

 

 

http://www.decomporredizioni.com

 

 
 
 

>>> Escalation dell'incontro fra Dani e Sir Gabriel Alexandrov - parte 3 (ultima)

Post n°911 pubblicato il 24 Luglio 2014 da sergioemmeuno
 

 

«E quali diamine sono stati i criteri di scelta?»

«Una forza d’animo superiore e almeno una seconda qualità dominante, purché unica.»

Sono nella confusione più totale. «Non capisco cosa abbia di speciale un pallemosce come Felice o una Raffaella.»

«Il primo è un tremendo viscido figlio di puttana. Potrebbe servire anche questo, fidati. La donnona ha una smisurata fede divina.»

«Monica e Laura?»

«Già te l’ho detto prima: sono ambiziose sopra ogni limite. Dani, ti sei mai chiesto come diamine fate a conoscere le mode e le musiche di settanta anni fa?» Rimaniamo in silenzio per cinque minuti. Non sono obbligato ad accettare, ma adesso ho smarrito la minima capacità di analisi: al mio cospetto o c’è un genio o un attore da cinque premi oscar.

«Chi sono gli altri due.» Ho una curiosità famelica di sapere gli altri nomi.

Si raccomanda di non parlarne con nessuno, giacché tutti gli altri sono all’oscuro del progetto: «Alessio e Laura». Suona come una sentenza. Giocherella nervosetto col Ronson e si volge al rallentatore verso di me, piegato col busto in avanti, quasi a cercare subito il mio consenso.

Provo disgusto: «Cosa?! Nada. Non ci verrò mai con loro due. Mai e poi mai».

«Gesù, siete i migliori voi tre... che ce posso fa’? Devi imparare a lavorare con loro», si sbraccia mostrando preoccupazione e impotenza.

Lui mette la testa fra le ginocchia, per tirar fuori il coniglio dal cilindro. E pure stavolta ci riesce.

«Zio lepre, ascolta su, segane uno. Te lo concedo. Dimmi chi tagliamo fuori.»

Faccio finta di pensarci. Poi sego quel verme di Alessio.

«OK. Sul sostituto ci penserò con calma.»

«Chi hai in mente?» gli chiedo concitato.

«Giovine, stai tranquillo. Già mi fai le scarpe?» Inevitabile una risata corrisposta.

«E la Ducròs sa di essere una prescelta?»

«No, domani mattina, ci parlerò.»

«E se lei sega me?»

«Sono cazzi. Ma su di te, tranquillo, non mollo un centimetro. Peggio per lei.» Un sospiro. «Certo, se perdiamo pure lei, Dio caro», continua tormentato mentre soffoco a stento una risatina, «tocca scegliere fra scamorze e cavalli pazzi. Dai, ridi aha! Lo sai che fa male soffocare le risate? Aha, bella la vita, eh?» inizia a urlare dilatando buffamente quegli occhi spiritati.

Quando parla di “cavalli pazzi”, senza ombra di dubbio si riferisce a Monica e Roland; due tipi molto svegli ma poco inclini a lavorare in un’equipe, per via di una ben nota insofferenza verso le regole e i compromessi.

Dopodiché si fissa su un aspetto vitale: non solo devo rappacificarmi con Laura, ma ci devo pure entrare in sintonia. Su quest’ultimo punto mi mostro completamente pessimista, ma il capo della baracca mi garantisce che farà da mediatore. Del resto, nel passato ha risolto situazione molto più intricate. Poi mi chiede se ricordo, in modo particolare, un sogno, una visione, un episodio portante della mia infanzia.

I motori della mia memoria crepitano. «Sai, da piccolo facevo spesso un incubo. Un ragazzo moriva affogato, e nessuno, compreso me, riusciva a salvarlo. Un supplizio. Eravamo in divisa, era un gala e c’erano molte fanciulle...»

«Lo vedevi bene in viso, questo ragazzo?» indaga socchiudendo gli occhi.

«Sì, chiarissimo, come un film. Era slanciato, faccia spigolosa, e mentre annegava... ecco, i suoi occhi verdi tremuli mi penetravano. E poi un’altra sensazione ancor più misteriosa.»

«Dimmi.»

«In quell’istante, ebbi la viva percezione che ci saremmo rincontrati. In un altro luogo, non so. E infatti a volte penso che in questa vita… sì, lui mi conosca ed è in carne e ossa.»

«Dai un nome a quel ragazzo. Vuole che tu prega per lui.» Congedandosi, mi sussurra che la sera successiva, subito dopo la premiazione della finale di calciotto, Laura mi farà chiamare da un compagno. L’ennesima acrobazia mentale di un collezionista di bizzarrie: ma perché ci doveva essere il passaggio intermedio di un compagno? Presumibilmente, in quell’arco di tempo, avrei scandagliato come uno schizzato i fondi oculari degli altri – uno per uno – per stanare l’eventuale messaggero. Roba da altro mondo.

Mentre si sta allontanando, spinto da una curiosità improvvisa che ho sempre avuto, gli chiedo se ha mai vinto un torneo nella manifestazione di Sìagora.

«Abbiamo perso due finali e ho rosicato di brutto. Oggi invece voglio solo vincere. Tolleranza zero, cocco, non voglio alibi. Salta lo steccato, il coniglio innamorato.» E si dilegua fischiettando con le mani in tasca, come quando si va di mattina a curiosare nei mercati del pesce.

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>>> Tratto da Generazione oltre la linea, 2013 - Prospettiva Editrice

 

 
 
 

>>> Momento topico di Generazione oltre la linea: Incontro fra Dani e Sir Gabriel Alexandrov - parte2.

Post n°908 pubblicato il 22 Luglio 2014 da sergioemmeuno
 

Scuote la testa: «Troppi film avete visto. Roba più pratica». Un’inalata di tabacco. «Uno si occuperà dell’economia della comunità. Un altro legifererà le regole di convivenza. E il terzo, l’umanista, si occuperà dell’istruzione degli uomini e delle donne del domani.»

«E chi amministrerà la giustizia interna?»

«Ovviamente tutti e tre.» Il Baffuto sta indubbiamente almeno cinquant’anni avanti sul nostro tempo. «E tu, caro», fece un largo sorriso, «sarai il seminatore dei nostri ragazzi. Beninteso, non sei obbligato ad accettare.» Aggiunge anche che non avrebbe vissuto stabilmente nella comunità, ma sarebbe rimasto in continuo contatto con la triarchia.

«In sintesi, vorresti fondare uno Stato nuovo di zecca.»

«Sei distratto. Fondare uno Stato nuovo è impossibile, oggi.» Congiunge e muove le mani da comunicatore consumato. «Partire da zero: creare una piccola comunità autosufficiente. Mattoncino dopo mattoncino poi ne spunteranno altre come caramelle.»

«E i valori?»

«Lavoro e cooperazione. Ma alle spalle ci deve essere un progetto robusto: non c’è politica seria senza progettazione.»

«È dura, dovrei rinunciare all’università.»

Lui sorride divertito e spalanca le braccia, con la testa incassata fra le spalle: «Cribbio, ne avrai una tutta per te!».

Sono onorato della nomina, nondimeno quelle parole, assieme alla brezza impregnata di sale, mi stordiscono; ero sempre stato convinto che avrebbe mantenuto quella insopportabile ambiguità, pur di non svelare il seguito dell’avventura.

Laura e Alessio sono fermamente dellʼidea che, al termine dell’Officina, ognuno di noi ritornerà all’abituale vita quotidiana.

Roland crede in un diabolico progetto scientifico per selezionare una razza superiore, a furia di trapanate nel cervello e dosaggi chimici.

C’è il mio amico Tommy, convinto del coinvolgimento del maestro in qualche combutta esoterica.

Invece Pat, Daniela e Giulia, dopo giorni e giorni di rovistii nelle due cassette della posta, non si pronunciano su alcuna ipotesi. Fra le decine di lettere aperte e poi richiuse, non si coglie la logica di alcun progetto importante. La maggior parte sono lettere di vecchi amici, col quale si parla di vicende quotidiane, politica e viaggi in ogni parte del mondo.

Infine, la rimanenza della truppa non ha una propria linea: si pendola da un pensiero all’altro.

In sostanza, supponendo che il maestro non ne abbia parlato con nessuno, la Cortez si sarebbe avvicinata alla realtà più di chiunque altro; sebbene voli sulle ali di un ingenuo romanticismo.

«Una cosa mi sfugge», tiro il sigaro, «il progetto non è troppo grande per noi?»

«Primo: alcuni cervelloni vi faranno un culo così, per darvi le basi su alcune discipline. Dalle tecniche di meditazione e psicodinamica, mix di diverse tradizioni, alla fisica. Secondo: vi abbiamo scelto fra migliaia di creature.»

Mi aspetto da un momento all’altro che ammetta lo scherzo, ma la sua espressione si fa ancora più seria, assorta.

 

«Carissimo, abbiamo selezionato dalla nascita circa mille pupetti. Poi li abbiamo seguiti in ogni tappa. Una fittissima rete di collaboratori, persino neurologi e genetisti, anni e anni di lavoro per arrivare a sceglierne cento...» Ci crede in ciò che dice. «Fra questi, solo voi diciotto avete afferrato quell’indovinello. Dani, siete la crema della società: il meglio della generazione emergente figlia di quella neet. Sappiamo davvero tutto di voi, credimi.»

 

 

 

>>> Tratto da Generazione oltre la linea, 2013 – Prospettiva Editrice.

 

 
 
 
 
 

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