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« Un anno se ne vaESITAZIONI »

SVILUPPO O PROGRESSO?

Post n°505 pubblicato il 06 Gennaio 2015 da lorifu
 

 

“Ci sono due parole che ritornano frequentemente nei nostri discorsi: anzi, sono le parole chiave dei nostri discorsi.Queste due parole sono “sviluppo” e “progresso”. Sono due sinonimi? O, se non sono due sinonimi, indicano due momenti diversi di uno stesso fenomeno? Oppure indicano due fenomeni diversi che però si integrano necessariamente fra di loro? Oppure, ancora, indicano due fenomeni solo parzialmente analoghi e sincronici? Infine; indicano due fenomeni “opposti” fra di loro, che solo apparentemente coincidono e si integrano? Bisogna assolutamente chiarire il senso di queste due parole e il loro rapporto, se vogliamo capirci in una discussione che riguarda molto da vicino la nostra vita anche quotidiana e fisica.”

[Pier Paolo Pasolini – Scritti Corsari]

 

 

 

Crescita, Sviluppo, Progresso, tre parole apparentemente simili, per alcuni sinonimi  che  da decenni riempiono la bocca dei nostri parolai della politica  infilate per un pugno di voti come viatico  in ogni programma elettorale che si rispetti.

Eppure, dizionario alla mano,  vi è una grande differenza tra questi sostantivi dai significati diametralmente opposti come  ebbe a sottolineare  Pier Paolo Pasolini già cinquant'anni fa con quella lungimiranza e lucidità che fior fior di sociologi ed economisti affermati già allora non seppero cogliere.

La sua analisi non aveva niente di anacronistico, si limitava ad osservare il cambiamento avvenuto in Italia, quella mutazione antropologica, come lui la chiamava, che aveva portato alla distruzione dei valori di un passato recente, ancora così vivo nella memoria passando da un tipo di fascismo ideologico ad uno ben più devastante di tipo economico.  Paradossalmente un diffuso iniziale benessere aveva dato il via a quell'ondata inarrestabile di sviluppo che andava sotto  il nome di consumismo. 

La povertà veniva vissuta come una colpa e il desiderio di rivincita sociale passava attraverso lo spogliarsi dei miseri panni anche linguistici e culturali per indossare quelli borghesi più vicini a una nuova ideologia basata sul possesso di cose piuttosto che di idee.

Il paradosso  stava proprio nel credere che l'emancipazione dei costumi, il convertirsi a una nuova religione dominata dal dio denaro potesse coincidere con un'idea di progresso che avendo come elemento fondante una concezione mutualistica e solidale della società  era in perfetta antitesi con quella di stampo economico sviluppista che si stava consolidando.

E' su questo dualismo inconciliabile che si sono consumati cinquant'anni di storia  che ha visto l'affermarsi di un modello di sviluppo volto al profitto sempre più esasperato,aggressivo che ha diviso l'uomo in padroni e schiavi, togliendo a questi ultimi attraverso un processo di omologazione subdolo imposto dai mass media, la televisione in primis, la capacità di distinguere tra sogno e realtà,  intrappolati in un consumismo ideologico che ne ha appiattito le coscienze.

 

 

Bisogna condannare
severamente chi
creda nei buoni sentimenti
e nell'innocenza.

Bisogna condannare
altrettanto severamente chi
ami il sottoproletariato
privo di coscienza di classe.

Bisogna condannare
con la massima severità
chi ascolti in sé e esprima
i sentimenti oscuri e scandalosi.

Queste parole di condanna
hanno cominciato a risuonare
nel cuore degli Anni Cinquanta
e hanno continuato fino a oggi.

Frattanto l'innocenza,
che effettivamente c'era,
ha cominciato a perdersi
in corruzioni, abiure e nevrosi.

Frattanto il sottoproletariato,
che effettivamente esisteva,
ha finito col diventare
una riserva della piccola borghesia.

Frattanto i sentimenti
ch'erano per loro natura oscuri
sono stati investiti
nel rimpianto delle occasioni perdute.

Naturalmente, chi condannava
non si è accorto di tutto ciò:
egli continua a ridere dell'innocenza,
a disinteressarsi del sottoproletariato

e a dichiarare i sentimenti reazionari.
Continua a andare da casa
all'ufficio, dall'ufficio a casa,
oppure a insegnare letteratura:

è felice del progressismo
che gli fa sembrare sacrosanto
il dover insegnare ai domestici
l'alfabeto delle scuole borghesi.

È felice del laicismo
per cui è più che naturale
che i poveri abbiano casa
macchina e tutto il resto.

È felice della razionalità
che gli fa praticare un antifascismo
gratificante ed eletto,
e soprattutto molto popolare.

Che tutto questo sia banale
non gli passa neanche per la testa:
infatti, che sia così o che non sia così,
a lui non viene in tasca niente.

Parla, qui, un misero e impotente Socrate
che sa pensare e non fìlosofare,
il quale ha tuttavia l'orgoglio
non solo d'essere intenditore

(il più esposto e negletto)
dei cambiamenti storici, ma anche
di esserne direttamente
e disperatamente interessato.

Pier Paolo Pasolini, "Versi sottili come righe di pioggia"

da La Nuova Gioventù, Torino, Einaudi, 1975


 

 
 
 
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Tu credi di incontrare l’amore,

in realtà è l’amore che incontra te

nei modi più strani,

inaspettati, involontari, casuali.

A volte lo confondiamo col bene

e lo surroghiamo.

Spesso siamo convinti sia amore,

fingiamo sia amore,

e leghiamo noi stessi

a una indistruttibile catena

frutto dei nostri desideri mancati

dei nostri sogni sopiti

delle nostre abitudini

delle nostre paure

delle nostre comodità

delle nostre viltà

dei nostri calcoli

della nostra apatia

dei nostri falsi moralismi.

Ma quando arriva, se arriva,

lo riconosci,

come  “il sole all’improvviso”

sconvolgente, coinvolgente,

totalizzante, esclusivo,

fusione di corpo e anima

osmosi perfetta.

Se finisce,

un dolore muto, senza fine.

loretta

 

 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 

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