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Alessandro Fantini

Il Blog dell'artista multimedianico Alessandro Fantini

 

 

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Di Segni Staminali

Post n°72 pubblicato il 26 Marzo 2011 da afantini
 


 Di Segni Staminali

(Post-fazione a "Il Varco Semilunare") 

 Qualche anno fa un critico d'arte incontrato a Roma nel cortile in restauro di Palazzo Barberini, mi parlò di un disegnatore capace di ritrarre alla perfezione una modella senza mai staccare la mano dal foglio. Prerequisito di questa sua mirabile dote era l'aver tracannato decine di bicchierini di vino rosso. Per quel ramingo fenomeno d'accademia, l'ebbrezza sembrava essere l'unico viatico al raggiungimento della perfezione del disegno. Mentre il critico continuava a tessermi il panegirico di questa specie di polaroid umana ad emulsione d'uva, in una ricercata mistura di romanesco ed italiano aulico, realizzai che la mia  ambizione era invece quella di raggiungere l'ebbrezza dello spirito attraverso la perfezione della Visione. Sapevo che nessuna delle sue parabole sull'inutilità di dedicare la propria vita all'arte in un'epoca che continua a tumularla sotto tonnellate di cataloghi e sponsor, avrebbero scalfito la mia determinazione nel perseguire quell'inestimabile forma di Perfezione che appartiene alla dimensione dell'Invisibile.

 Non ho mai nutrito grande considerazione per quella torma di artisti, soprattutto nel ramo dell'illustrazione e del fumetto, che fanno della propria opera l'espediente funambolico per ingraziarsi l'ammirazione del grande pubblico. Ispirate soltanto dalla fanatica soggezione alla superficie degli oggetti, troppo spesso i loro lavori appaiono saggi scolastici eseguiti con lo zelo delle matricole che cercano di non sfigurare di fronte alla commissione d'esame.

 La mia idea di perfezione coincide invece con il massimo grado di disinteresse intrinseco all'atto fisico del violare uno spazio per mezzo di segni equivalenti alla sismografia dell'attività tellurica del pensiero cavalcato dall'istinto.

Ai tempi della scuola media le insegnanti lodavano la mia abitudine nell'usare i fogli dei quaderni ad anelli per placare la mia foga disegnativa, soluzione che m'impediva infatti di istoriare i banchi con studi anatomici, ritratti e creature che sembravano uscite dalle nevrosi di Bruegel e Bosch. Alle superiori tuttavia il mio banco esibiva ancora una tale concentrazione di "paraphernalia" da distrarre i professori durante le lezioni e indurli insieme ai bidelli a rammaricarsi del fatto che lo straccio sarebbe presto passato per annichilire quell'effimera bizzarria nella neutra arroganza dell'igiene. Mi ero a tal punto assuefatto a quella pratica di riversare dedali d'inchiostro su qualsiasi foglio, parete, o ripiano libero mi fosse capitato a tiro, che mi era diventato persino più naturale disegnare un concetto che esporlo a voce o per iscritto. Per dimostrare a me stesso di aver compreso il Mito della Caverna di Platone, visualizzai su un foglio gli idoli che proiettavano le loro ombre sulle pareti di una spelonca. Quando il professore di filosofia vide quella rappresentazione grafica ritenne inutile interrogarmi.

 Il pensare, o per meglio dire, il sentire per immagini racchiude tutte le manifestazioni di quell'incessante flusso di percezioni che rifuggono dalle forme codificate nelle convenzioni del linguaggio umano.

Per questo al movimento della mano accordo quasi sempre quello di un brano musicale, in particolare le lunghe sinfonie di Mahler, le ouverture di Wagner o le composizioni fluviali del compositore ambient Robert Rich che possono protrarsi per ore e ore fino a solidificarsi in una   sacca uterina dove i suoni, le immagini mentali e le pulsazioni sanguigne si raffinano e si sublimano come la materia grezza macerata     nell'Athanor alchemico. L'effetto finale su carta  o su tela non è molto diverso da quello ottenuto da Brian Eno e Robert Fripp nel disco “No Pussyfooting” nel quale il riverbero prolungato applicato al suono di una chitarra elettrica genera una sorta di sonora schiuma isolante che non possiede un vero punto d'attacco né una battuta di chiusura, conservando al suo interno le sedimentazioni di tutte le variazioni di frequenza dello strumento, proprio come in ogni disegno o dipinto si stratificano e coagulano le innumerevoli passate della penna a sfera, dei tratti a matita, delle sferzate dell'inchiostro di china, delle campiture dell'olio.

 Nel puro gesto del disegnare o del dipingere si nasconde una qualità mistica che rappresenta lo stadio superiore di quella sospensione della coscienza che tutti gli uomini sperimentano nell'abbandonare la veglia in favore del sonno. L'estasi più compiuta la si prova quando si rinvengono forme inaspettate mentre si fende in uno stato di grazia prossima alla trance il vapore solido del foglio vergine.

 Convertire in sintassi visive il corso dei pensieri e delle memorie implica il graduale abbandono del principio di realtà nel momento in cui il corpo, nella sua totalità biologica, concentra tutte le sue forze nelle estremità delle dita che guidano il pennello o il pennino, allo stesso modo in cui gli elettroni presenti in una goccia d'acqua possono sprigionare luce se si raccolgono tutti in una medesima estremità. In quelle ore l'organismo resta come sospeso in una stasi apparente, mentre le correnti cerebrali si travasano dall'informe massa di tracce emotive e mnemoniche per inseguire le vibrazioni degli spettri mentali che premono per divincolarsi dalla foschia della prima rivelazione.

 Attraverso gli studi e i bozzetti preparatori dei dipinti è così possibile ricostruire a ritroso quel lungo processo di stratificazione e “compostaggio” delle intuizioni che agli occhi dello spettatore si struttura secondo un misterioso diagramma di flusso.

 Quando studiavo per gli esami di storia dell'arte mi capitò di fare i conti con poderosi tomi che pretendevano a volte di illustrare le caratteristiche architettoniche di una chiesa in assenza di foto. Trovavo blasfemo che l'autore svilisse il valore esplicativo dell'immagine proprio in un libro di testo concepito per un corso in cui le immagini dovrebbero essere imprescindibili come gli archi acuti per una cattedrale gotica. Il colmo fu quando in un libro trovai riprodotta solo metà della lunetta del Diluvio di Paolo Uccello, scelta che rendeva piuttosto  arduo per il lettore comprendere in che modo l'artista fiorentino applicasse la prospettiva binoculare.

 Penso quindi che sia molto più ovvio, soprattutto nell'era del grande leviatano elettronico di internet, lasciare che siano le immagini nella  sfrontata nudità del bianco e nero (suprema simbiosi cromatica tra caos e ordine) a suggerire e spiegare le opere e i giorni, gli eventi e le ricorrenze di un diario che, essendo la trascrizione del continuo divenire e moltiplicarsi dell'ego, non può esistere come oggetto statico e finito ma vive e si rigenera senza sosta nella proteiformità dei registri espressivi come accade per i milioni di blog che proliferano nella rete.

 Non è lontano il tempo in cui questi diari invisibili acquisteranno le proprietà cellulari di veri e propri moleskine biologici. Allora l'indovinello veronese suonerà come la più profetica e veritiera delle sciarade linguistiche, perché finalmente le pagine ingloberanno il nero seme della penna e lo faranno germinare sulla loro candida matrice come una coltura di cellule staminali. Le visioni embrionali si svilupperanno dalla meiosi  dei segni e la loro natura biomolecolare consentirà al libro di crescere, respirare, procreare. Di essere, in altre parole, la vivente e terribile onestà di un Ego che è costretto a nascere sepolto sotto  l'inerte l'astrazione della società.

 Anche per l'uomo contemporaneo la conquista della pietra filosofale consisterà nel coraggio di congelare l'Eclisse.

Alessandro Fantini

 

 
 
 
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