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I vantaggi dell'unità d'Italia

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L'INSABBIAMENTO CULTURALE della "QUESTIONE MERIDIONALE"

Post n°1545 pubblicato il 10 Marzo 2011 da luger2
 

Moltistorici in epoca moderna hanno fatto luce sugli eventi che hannocaratterizzato l'unità d'Italia dimostrando, con certezza, che lacultura di "regime" stese, dai primi anni dell'unità, unvelo pietoso sulle vicende "risorgimentali" e sul lororeale evolversi.

Tutte le forme d'influenza sulla pubblicaopinione furono messe in opera, per impedire che la sconfitta deiBorboni o la rivolta del popolo meridionale si colorasse di tonipositivi.

Si cercò di rendere patetica e ridicola la figuradi Francesco II - il "Franceschiello" della vulgata –arrivando alla volgarità di far fare dei fotomontaggi della ReginaMaria Sofia in pose pornografiche, che furono spediti a tutti igoverni d'Europa e a Francesco II stesso, il quale, figlio di una"santa" e allevato dai preti, con ogni probabilità nonaveva mai visto sua moglie nuda nemmeno dal vivo. Risultò, inseguito, che i fotomontaggi erano stati eseguiti da una coppia difotografi di dubbia fama, tali Diotallevi, che confessarono di averagito su commissione del Comitato Nazionale; la vicenda suscitòscalpore e, benché falsa, servì allo scopo di incrinare lareputazione dei due sovrani in esilio.

La memoria di ReFerdinando II, padre di Francesco, fu infangata da accuse dibrutalità e ferocia: gli fu scritto dal Gladstone –interessatamente - d'essere stato - lui cattolicissimo - "lanegazione di Dio".

Soprattutto si minimizzò l'entitàdella ribellione che infiammava tutto il l'ex Regno di Napoli,riducendolo a "volgare brigantaggio", come si legge neigiornali dell'epoca (giornali, peraltro, pubblicati solo al nord inquanto la libertà di stampa fu abolita al sud fino al 31 dicembre1865); nasce così la leggenda risorgimentale della "cattiveria"dei Borboni contrapposta alla "bontà" dei piemontesi e deiSavoia che riempirà le pagine dei libri scolastici.

Restano achiarire le motivazioni che hanno indotto gli ambienti accademici delRegno d'Italia prima, del periodo fascista e della Repubblica poi, amantenere fin quasi ai giorni nostri, una versione dei fatti cosìlontana dalla verità.

A mio parere le ragioni sono composite,ma riconducibili ad un concetto che il D'Azeglio enunciò nel secoloscorso "Abbiamo fatto l'Italia, adesso bisogna fare gliItaliani", e possono essere esemplificate nel seguente modo:

a.Il mondo della cultura post-unitaria si adoperò per sradicare dallacoscienza e dalla memoria di quelle popolazioni che dovevanodiventare italiane, il modo piratesco e cruentisissimo con il qualel'unità si ottenne, ammantando di leggende "l'eroico"operato dei Garibaldini (che sarebbero stati, nonostante tutto,schiacciati prima o poi dall'esercito borbonico), sminuendo il fattoche la reale conquista del meridione fu ottenuta, in realtà,dall'esercito piemontese, attraverso le vicende della guerra civile -nonostante la formale annessione al Regno di Piemonte - e tacendo,soprattutto, la circostanza che le popolazioni del sud, salvo unaminoranza di latifondisti ed intellettuali, non avevano nessunavoglia di essere "liberate" e anzi reagirono violentementecontro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori.
Percontro si diede della deposta monarchia borbone un'immagine traviatae distorta, e del '700 e '800 napoletano la visione, bugiarda, di unperiodo sinistro d'oppressione e miseria dal quale le genti del sudsi emanciperanno, finalmente, con l'unità, liberate dai garibaldinie dai piemontesi dalla schiavitù dello "straniero".

b.Il Ministero della Pubblica Istruzione e della cultura popolare delperiodo fascista, proteso com'era al perseguimento di valorinazionalistici e legato a filo doppio alla dinastia Savoia, non ebbe,per ovvi motivi, nessuna voglia di tipo "revisionista",riconducendo anzi l'origine della nazione al periodo romano esaltando a piè pari un millennio di storia meridionale. Il governofascista ebbe l'indiscutibile merito di cercare di innescare unmeccanismo di recupero economico della realtà meridionale, ma da unpunto di vista storico insabbiò ancor di più la questionemeridionale, ritenendola inutile e dannosa nell'impianto culturaledel regime.

c. La Repubblica Italiana, nel dopoguerra,mantenne intatto, in sostanza, l'impianto di pubblica istruzione delperiodo fascista.

La nazione emergeva, non bisognadimenticarlo, da una guerra civile, nella quale le fazioni in lottaavevano, con la Repubblica di Salò, diviso in due l'Italia, ilmovimento indipendentista siciliano era in piena agitazione (eranogli anni delle imprese di Salvatore Giuliano), non era certamente ilmomento di sollevare dubbi sulla veridicità della storiarisorgimentale e alimentare così tesi separatiste.

Si èarrivati in questo modo ai giorni nostri, dove ancora adesso, inmolti libri scolastici, la storia d'Italia e del meridione inparticolare è vergognosamente mistificata.

In campo economicola visione che si dette del Regno delle due Sicilie fu, se possibile,ancora più lontana dalla realtà effettuale.

Il Sudborbonico, come ci riporta Nicola Zitara era: "Un paesestrutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a queltempo, gli scambi con l'estero facilitati dal fatto che nel settoredelle produzioni mediterranee il paese meridionale era il piúavanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarretutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e diproteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistentesurplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamentod'industrie, le quali, erano sufficientemente grandi e diffuse,sebbene ancora non perfette e con una capacità di proiettarsi sulmercato internazionale limitata, come, d'altra parte, tuttal'industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni). (...)Il Paese era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismoterritoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, masicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche epreferiva misurare la crescita in relazione all'occupazione delleclassi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affarinon era la classe egemone, a cui gli interessi generali eranoottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe alservizio dell'economia nazionale".

In realtà il problemacentrale dell'intera vicenda è che nel 1860 l'Italia si fece, ma sifece malissimo. Al di là delle orribili stragi che l'unità apportò,le genti del Sud patiscono ancora ed in maniera evidentissima iguasti di un processo di unificazione politica dell'Italia che fuattuato senza tenere in minimo conto le diversità, le esigenzeeconomiche e le aspirazioni delle popolazioni che venivanoaggregate.

La formula del "piemontismo", vale a diredella mera e pedissequa estensione degli ordinamenti giuridici edeconomici del Regno di Piemonte all'intero territorio italiano, chefu adottata dal governo, e i provvedimenti "rapina" che sifecero ai danni dell'erario del Regno di Napoli, determinaronoun'immediata e disastrosa crisi del sistema sociale ed economico neiterritori dell'ex Regno di Napoli e il suo irreversibilecollasso.

D'altronde le motivazioni politiche che avevanoportato all'unità erano – come sempre accade – in subordinerispetto a quelle economiche.

Se si parte dall'assunto,ampiamente dimostrato, che lo stato finanziario del meridione era bensolido nel 1860, si comprendono meglio i meccanismi che hannoinnescato la sua rovina.

Nel quadro della politica liberistaimpostata da Cavour, il paese meridionale, con i suoi quasi novemilioni di abitanti, con il suo notevole risparmio, con le sueentrate in valuta estera, appariva un boccone prelibato.

L'abnormedebito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politicabellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!)doveva essere risanato e la bramosia della classe borghese piemonteseper la quale le guerre si erano fatte (e alla quale il Cavour stessoapparteneva a pieno titolo) doveva essere, in qualche modo,soddisfatta.

Descrivere vicende economiche e legate al mondodelle banche e della finanza, può risultare al lettore, me ne rendoconto, noioso, ma non è possibile comprendere alcune vicende se neconoscono le intime implicazioni.

Lo stato sabaudo si eradotato di un sistema monetario che prevedeva l'emissione di cartamoneta mentre il sistema borbonico emetteva solo monete d'oro ed'argento insieme alle cosiddette "fedi di credito" e alle"polizze notate" alle quali però corrispondeva l'esattocontrovalore in oro versato nelle casse del Banco delle DueSicilie.

Il problema piemontese consisteva nel mancatorispetto della "convertibilità" della propria moneta, valea dire che per ogni lira di carta piemontese non corrispondeva unequivalente valore in oro versato presso l'istituto bancarioemittente, ciò dovuto alla folle politica di spesa per gli armamentidello stato.

In parole povere la valuta piemontese era cartastraccia, mentre quella napolitana era solidissima e convertibile persua propria natura (una moneta borbonica doveva il suo valore a sestessa in quanto la quantità d'oro o d'argento in essa contenutaaveva valore pressoché uguale a quello nominale).

Quindi citaancora lo Zitara: "Senza il saccheggio del risparmio storico delpaese borbonico, l'Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire.Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la Banca Nazionale degliStati Sardi. La montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornitocinquecento milioni di monete d'oro e d'argento, una massa imponenteda destinare a riserva, su cui la banca d'emissione sarda - che inquel momento ne aveva soltanto per cento milioni - avrebbe potutocostruire un castello di cartamoneta bancaria alto tre miliardi. Comeil Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori dellabanca, che sarebbe poi divenuta Banca d'Italia) non tessevano e nonfilavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma,per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l'unica risposta aportata di mano, per tentare di superare i guai in cui s'eranomessi".

A seguito dell'occupazione piemontese fuimmediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi inBanco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato leproprie monete per trasformarle in carta moneta così come previstodall'ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebberopotuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni eavrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano(benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancoraper qualche anno). Quell'oro, invece, attraverso apposite manovrepassò nelle casse piemontesi.

Tuttavia nella riserva dellanuova Banca d'Italia, non risultò esserci tutto l'oro incamerato (sivedano a proposito gli Atti Parlamentari dell'epoca).

Evidentementeparte di questo aveva preso altre vie, che per la maggior partefurono quelle della costituzione e finanziamento di imprese al nordoperato da nuove banche del nord che avrebbero investito al nord, macon gli enormi capitali rastrellati al sud.

Ancora adesso, aben vedere, il sistema creditizio del meridione risentedell'impostazione che allora si diede. Gli istituti di creditoadottano ancora oggi politiche ben diverse fra il nord ed il sud,effettuando la raccolta del risparmio nel meridione e gliinvestimenti nel settentrione.

Il colpo di grazia all'economiadel sud fu dato sommando il debito pubblico piemontese, enorme nel1859 (lo stato più indebitato d'Europa), all'irrilevante debitopubblico del Regno delle due Sicilie, dotato di un sistema di finanzapubblica che forse rigidamente poco investiva, ma che pochissimoprelevava dalle tasche dei propri sudditi. Il risultato fu che lepopolazioni e le imprese del Sud, dovettero sopportare una pressionefiscale enorme, sia per pagare i debiti contratti dal governo Savoianel periodo preunitario (anche quelli per comprare quei cannoni acanna rigata che permisero la vittoria sull'esercito borbonico), siai debiti che il governo italiano contrarrà a seguire: esso in unafolle corsa all''armamento, caratterizzato da scandali e corruzione,diventò, con i suoi titoli di stato, lo zimbello delle piazzeeconomiche d'Europa.

Scrive ancora lo storico Zitara: "Laretorica unitaria, che coprì interessi particolari, non deve trarrein inganno. Le scelte innovative adottate da Cavour, quando furonoimposte all'intera Italia, si erano già rivelate fallimentari inPiemonte. A voler insistere su quella strada fu il cinismo politicodi Cavour e dei suoi successori, l'uno e gli altri più uomini dibanca che veri patrioti. Una modificazione di rotta sarebbe equivalsaa un'autosconfessione. Quando, alle fine, quelle "innovazioni",vennero imposte anche al Sud, ebbero la funzione di un cappio alcollo.

Bastò qualche mese perché le articolazionimanifatturiere del paese, che non avevano bisogno di ulterioriallargamenti di mercato per ben funzionare, venisserosoffocate.

L'agricoltura, che alimentava il commercio estero,una volta liberata dei vincoli che i Borbone imponevanoall'esportazione delle derrate di largo consumo popolare, registròuna crescita smodata e incontrollabile e ci vollero ben venti anniperché i governi sabaudi arrivassero a prostrarla. Da subito, loStato unitario fu il peggior nemico che il Sud avesse mai avuto;peggio degli angioini, degli aragonesi, degli spagnoli, degliaustriaci, dei francesi, sia i rivoluzionari che gli imperiali".

Percontro una politica di sviluppo, fra mille errori e disastrieconomici epocali (basti pensare al fallimento della Banca Romana,principale finanziatrice dello stato unitario o allo scandalo Bastogiper l'assegnazione delle commesse ferroviarie), fu attuata solo alNord mentre il Sud finì per pagare sia le spese della guerrad'annessione, sia i costi divenuti astronomici dell'ammodernamentodel settentrione.

Il governo di Torino adottò nei confrontidell'ex Regno di Napoli una politica di mero sfruttamento di tipo"colonialista" tanto da far esclamare al deputato FrancescoNoto nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861: "Questa èinvasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare lanostra terra come conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare leprovince meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perúe nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala".

Lapolitica dissennatamente liberistica del governo unitario portò,peraltro, la neonata e debolissima economia dell'Italia unita a uncrack finanziario.

Le grandi società d'affari francesi edinglesi fecero invece, attraverso i loro mediatori piemontesi, affarid'oro.

Nel 1866, nonostante il considerevole apporto aureodelle banche del sud, la moneta italiana fu costretta al "corsoforzoso" cioè fu considerata dalle piazze finanziarieinconvertibile in oro. Segno inequivocabile di uno stato dellefinanze disastroso e di un'inflazione stellare. I titoli di statoitaliani arrivarono a valere due terzi del valore nominale, quandoquelli emessi dal governo borbonico avevano un rendimento medio del18%.

Ci vorranno molti decenni perché l'Italia postunitaria,dal punto di vista economico, possa riconquistare una qualchecredibilità.

L'odierna arretratezza economica del Meridione èfiglia di quelle scelte scellerate e di almeno un cinquantennio dipolitica economica dissennata e assolutamente dimentica dell'ex Regnodi Napoli da parte dello stato unitario.

Si dovrà aspettareil periodo fascista per vedere intrapresa una qualche politica disviluppo del Meridione con un intervento strutturale sul suoterritorio attraverso la costruzione di strade, scuole, acquedotti(quello pugliese su tutti), distillerie ed opifici, la ripresa di unapolitica di bonifica dei fondi agricoli, il completamento di alcunelinee ferroviarie come la Foggia-Capo di Leuca, - iniziata daFerdinando II di Borbone, dimenticata dai governi sabaudi efinalmente terminata da quello fascista.

Ma il danni e idisastri erano già fatti: una vera economia nel sud non esisteva piùe le sue forze più giovani e migliori erano emigrateall'estero.

Nonostante gli interventi negli anni '50 del XXsecolo con il piano Marshall (peraltro con nuove sperequazioni tranord e sud), '60 e '70 con la Cassa per il Mezzogiorno e l'aiutoeconomico dell'Unione Europea ai giorni nostri, il divario che separail Sud dal resto d'Italia è ancora notevole.

La popolazionedell'ex Regno di Napoli, falcidiata dagli eccidi del periodo del"brigantaggio", stremata da anni di guerra, di devastazionie nefandezze d'ogni genere, per sopravvivere, darà vita allagrandiosa emigrazione transoceanica degli ultimi decenni dell''800,che continuerà, con una breve inversione di tendenza nel periodofascista e una diversificazione delle mete che diventeranno ilBelgio, la Germania, la Svizzera, fin quasi ai giorni nostri.

IlSud pagherà, ancora una volta, con il flusso finanziario generatodal lavoro e dal sacrificio degli emigranti meridionali, lo sviluppodell'Italia industriale.

Ritengo, in conclusione, che sia undiritto delle gente meridionale riappropriarsi di quel pezzo distoria patria che dopo il 1860 le fu strappato e un dovere del corpoinsegnanti dello stato favorire un'analisi storica più oggettiva diquei fatti che tanto peso hanno avuto ed hanno ancora nello svilupposociale del Paese, anche attraverso una scelta dei testi scolasticipiù oculata ed imparziale.

La guerra fra il nord ed il sudd'Italia non si combatte più sui campi di battaglia del Volturno,del Garigliano, sugli spalti di Gaeta o nelle campagne infestate dai"briganti", ma non per questo è meno viva; continua ancoraoggi sul terreno di una cultura storica retriva e bugiarda che,alimentando una visione del sud "geneticamente" arretrato,produce un'ulteriore frattura tra due "etnie" che non sisono amate mai.

Il dibattito ancora aperto e vivacesull'ipotesi di una Italia federalista, i toni accesi del Partitodella Lega Nord, una certa avversione, subdola ma reale, tra la gentedel nord e quella del sud, nonostante il "rimescolamento"dovuto all'emigrazione interna, testimoniano quanto questeproblematiche, nate nel 1860, siano ancora attualissime.

Oggil'unità dello stato, in un periodo dove il progresso passaattraverso enti politico-economici sopranazionali come la ComunitàEuropea, è certamente un valore da salvaguardare, ma al meridione èdovuta una politica ed una attenzione particolari, una politicalegata ai suoi effettivi interessi, che valorizzi le sue enormirisorse e assecondi le sue vocazioni, a parziale indennizzo deidisastri e delle ingiustizie che l'unità vi ha apportato.

L'enormenumero di morti che costò l'annessione, i 23 milioni di emigrati dalmeridione dell'ultimo secolo, che hanno sommamente contribuito, acosto di immani sforzi, alla realizzazione di un'Italia moderna evivibile, meritano quel concreto riconoscimento e quel rispetto cheper 140 anni lo Stato, attraverso una cultura storica mendace, gli hanegato e che oggi gli eredi della Nazione Napoletana reclamano
.

di CARLO COPPOLA
"Controstoria dell'Unitàd'Italia"

 
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