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Quando il Sud dovrà chiamare il «118»
di Lino Patruno Sole e mare che non solo fanno passare le artrosi ma possono assicurare futuri radiosi senza le fabbriche di uno sviluppo che imita troppo il Nord. Bisognerebbe una volta per tutte finirla di farci raccontare chiacchiere da incompetenti o millantatori. E non ne parliamo del federalismo, che farebbe la concorrenza a padre Pio. Ci sono i rifiuti in strada a Napoli? Ci vuole il federalismo. Una neonata muore per una lite fra ginecologici in Sicilia? Ci vuole il federalismo (se poi muore al Nord ci vuole meno sfortuna). Bossi dice ai romani che sono porci? Ci vuole il federalismo. Per andare in treno da Bari a Napoli ci mettiamo quattro ore? Ci vuole il federalismo (magari ci vorrebbe un’alta velocità ferroviaria come al Nord). Sia chiaro, se tutto ciò che sollecitano ci fosse, al Sud andrebbe sicuramente meglio. Ma se continuassero a spacciarlo come la soluzione del problema, occorrerebbe sùbito una citazione per truffa. O il 118. Perché non si è mai visto nella storia del mondo che un divario come quello del nostro Sud sia stato risolto dalla buona volontà, da un pugno di uomini di ferro che mettono a posto le carte (magari nuovi garibaldini come piacerebbe al ministro Brunetta), da sindaci che non facciano i gemellaggi o da presidenti di regione che non finanzino le feste. Né che sia stato tutto provocato dalle stesse vittime. Tutto fa brodo per rifarsi il trucco. Ma qui siamo di fronte a un dramma sociale che prima o poi esploderà. E gli impostori diranno che è l’ennesima cialtronata di un Sud riottoso e cencioso con i briganti e Masaniello nel sangue. Anzi Pulcinella. Non bisognerebbe scherzare col fuoco del Sud. In Italia metà Paese guadagna la metà del resto del Paese, un lombardo ha un reddito doppio di un calabrese. Siamo a bambini di Napoli che nascono già sapendo che avranno meno asili, meno giochi, meno medicine di quelli di Verona. Siamo a scolari che studiando quanto quelli del resto del Paese saranno un anno e mezzo indietro e non per colpa loro né dei maestri ma perché avranno meno libri, meno computer, meno scuole decenti. Siamo a metà Paese che ha meno strade, meno aerei diretti, meno banche, meno assistenza agli anziani, meno giardini del resto del Paese. Siamo a metà Paese che ha meno servizi pubblici efficienti del resto del Paese. Siamo a metà Paese che ha il triplo dei disoccupati del resto del Paese. Siamo a metà Paese che ha il doppio dei poveri del resto del Paese. Siamo a metà Paese in cui 80 mila giovani laureati all’anno sono costretti ad andarsene nell’altra metà del Paese perché non hanno un lavoro né un domani. Siamo a metà Paese lasciato nelle mani della criminalità che ne distrugge ogni possibilità, ogni dignità, ogni speranza. Siamo insomma in un Paese in cui, superata Roma, le autostrade passano all’improvviso da tre a due corsie e senza più asfalto autodrenante. Superata Roma si entra in un altro Paese ma con l’inganno dello stesso nome, della stessa bandiera, dello stesso inno. Ed è come se una signora in visone dicesse a una barbona, ma tu ti devi dare da fare. Quasi mai la barbona è barbona solo per colpa sua, se non è nata così deve essere stata la vita a precluderle il visone. E ci devono essere per lei aiuti sociali, non rimproveri perché è così barbona. Di un’Italia così spaccata in due. E tutti dovrebbero chiedersi il perché, e tutti dovrebbero capire che le responsabilità non possono stare solo da una parte. Invece si continua nel gioco al massacro di far pesare soltanto sul Sud la sua condizione e di farlo vergognare pure. Sbrigandosela con un federalismo del «fate per conto vostro» che non potrà che far aumentare al Sud le tasse e le spese e il dramma perché mai il Sud potrà farcela da solo partendo dalla metà di tutto. Grandi opere ci vogliono più che piccole intenzioni. È più probabile che la signora in visone se ne compri un secondo, più che la barbona se ne compri il primo. Ed è probabile che il Sud esploda del suo fuoco perché peggio di così non può. Ma allora crollerà tutta l’Italia perché la sua metà ricca si regge sulla sua metà povera. Parassiti.
Bisognerebbe denunciarli per abuso della credulità popolare. E mettere in guardia i meridionali dai discorsi tipo: dovete rimboccarvi le maniche, il vostro futuro è nelle vostre mani, non c’è alternativa a fare da soli. Specie quando a dirlo sono stessi meridionali benpensanti o prezzolati. Bisognerebbe sfidare a duello (dialettico) quelli che dicono che il Sud si risolleverà quando avrà dirigenti all’altezza, che deve rimproverarsi le sue colpe, che occorre finirla di aspettarsi tutto dagli altri. Bisognerebbe rinviare a giudizio per falso ideologico quelli che esaltano i giovani del Sud come l’autentica risorsa su cui puntare. E bisognerebbe dire di tornare alla prossima sessione di esami in economia turistica del Sud.
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Inviato da: maximus260
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