Creato da catanzarogiusep50_1 il 14/05/2009

Giuseppe Catanzaro

Il mio amore per il mondo intero

 

 

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Lu pòpulu d'u marruggiu

Post n°980 pubblicato il 12 Maggio 2016 da catanzarogiusep50_1
 

Il poeta Roberto G. Trapani della Petina con i suoi racconti riesce ad evocare

la vera anima siciliana.

Vicolo Gargano

 La forbice di un grido di ghiaccio taglio il pittoresco tran tran

di vicolo Gargano. Era I'imbrunire, le botteghechiuse e buie celavano le mura

scrostate ed unte da milioni di sensazioni. Il sottofondo di un ritmo di piatti e

stoviglie sottolineava la solennità gastronomica del luogo in quel momento,

come per funesto ed esoterico istante, un sinistro silenzio seguì l'urlo.Le posate, precedentemente in preda a frenetici singulti, lasciarono, orfani di suono e d'attenzione i colmi piatti fumanti. Poi il caos... All'unisono mille finestre si spalancarono sul vicolo partorendo sulle mura, vergognate per l'incuria, tonnellate di luce artificiale. Cristo!

Che brutta figura per i telefoni che in un attimo, consapevoli della loro inutilità

e scarlatti di vergogna, si piegarono alla perdita del controllo dei bisogni delle

comunicazioni di casta nel gran vociare del vicolo Gargano.

ripetevano mille bocche poste su

di un collo vibrante e pronto al decollo sulla pista di un busto sporto in avanti sul

davanzale della finestra, alla faccia di qualsiasi staticità ed equilibrio. poi ancora

un urlo. Sintetico, straziante ma principalmente acuto ed altissimo:

< 'U picciridduuu! >.

L'ultimo "u" non era stato ancora pronunciato che il popolo del vicolo, rispondendo

con un sincronismo da manuale all'ordine telepatico dell'istinto, si ritrasse dalle

finestre, siprecipitò in strada correndo verso l'abitazione di Nino Tumminu, un

calpestio ritmico e pesante contraddistingueva quell'esercito di cavallette vivaci e

variopinte i cui visi lasciavano trasparire eccitazione convulsa e curiosità per

l'inaspettato fuori programma locale. Solo un secondo, poi le tre stanze e servizio

della famiglia Tumminu furono farcite da centinaia di persone che non sapevano

neanche che erano lì. L'architetto, se avesse visto, avrebbe gongolato di gioia

per I'abilità avuta a progettare ottanta metri quadri a dimensione e capienza di vicolo.

Finalmente le urla furono decodificate ed il messaggio forte e chiaro recitava:

"Il bimbo sta male, bisogna trasportarlo d' urgenza al l' ospedale " .

La moltitudine avvampò di nuovo, fu un susseguirsi di rnovimenti caotici e disordinati,

le pareti delle stanze parevano allargarsi alla spinta della folla. Ognuno voleva e

pretendeva una parte di protagonismo e responsabilità. ('U picciriddu!)) erano solo

grida ossessive e monotone. <'Na macchina, prestu, prestu>. Quanto vociare e

quanta poca determinaziane. Ognuno parlava con I'altro, dava consigli, raccontava

aneddoti, confrontava malori passati con la sofferenza presente del bambino.

Una sorte di torre di Babele. Ad un tratto il silenzio piombo nell'appartamento.

La suocera di Nino Tumminu, un donnone sui centoventi chilogrammi di peso con

le braccia prolungate da due sacchi pieni di spesa, coprì completamente la porta

d'ingresso. (Chi fu?) urlò una voce così alta e acuta che solo I'ovvia assenza fisica salvò

Pavarotti da un diabetico pallore d'invidia. Minacciosa guardava le facce mute e senza

profilo dei vicini che le si stringevano intorno. Finché una voce si levò dalla folla e

pronunciò con tono solenne e grave <<'Upicciriddu>.

Si udì un tonfo. La spesa rotolò per la casa e cento venti chili di furia abbatterono decine

di barriere umane. Il genero le si parò davanti fermandola e ie disse:

picciriddu sta male, l'avemu 'a purtari a lu spitali lestu lestu>.

Fu più ordine, la gente cominciò ad uscire velocemente dalla casa. Macchine, motori,

biciclette, tutto ciò che poteva muoversi e trasportare fu confiscato a vicolo Gargano.

Stipati all'inverosimile, la macchina dei genitori del malatino con la suocera che

fungeva da navigatore, apriva la colonna.

L'ospedale era lontano e la città si rese conto, attraverso quella corsa rumorosissima,

disordinata e convulsa della solidarietà, dell'apprensione e del calore umano di quella

brava gente. Pronto Soccorso. L'invasione avvenne.

Un povero infermiere fu attorniato da decine di persone che lo guardavano truci e

quasi con sospetto e timidamente balbetto:

Che cosa possiamoFare per voi?>.

Un tuono esplose nel sereno ciclo della sofferenza di quel Pronto Soccorso :

< 'U picciriddu,'u picciriddu ! >.

L'infermiere inebetito li guardava, qualcuno cominciò a spingerlo,un altro lo scosse

per le spalle. Non mancava il solito sapientone che imprecava contro il governo.

<'U picciriddu> ansimo il padre.

Allora lui balbetto ancora:<>.

A quest'ultima frase il gelo s'abbatté sulla folla.

Un silenzio, tanto innaturale da far apparire i sepolcri rumorosi, serpeggio nel

gruppo. Il padre guardò la madre, lamadre rivolse gli occhi verso i centoventi

chili in attonita attesa, i parenti girarono gli occhi sulla folla, la folla strabuzzò

gli occhi ed inarcò le labbra verso il basso in una smorfia di sbigottimento.

Poi un urlo straziante e lacerante bucò le pareti del pronto soccorso,raggiungendo

e sconvolgendo la calma attesa di altri reparti:

E la madre, urlando e imprecando, riprese la strada per vicolo Gargano.


 
 
 
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