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LA QUARTA PARETE

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PERCHE’ RESTIAMO IN PROVINCIA? di Martin Heidegger Seconda Parte

Post n°434 pubblicato il 18 Luglio 2013 da ziryabb


Seconda Parte

Gli abitanti delle città si meravigliano spesso del lungo, monotono isolamento tra i contadini in mezzo ai monti. Questo invece non è isolamento ma piuttosto solitudine. Nelle grandi città l’uomo può facilmente essere così isolato come difficilmente si può esserlo altrove, ma egli là non può mai essere solo. Infatti la solitudine ha la potenza originaria di non isolarci, ma di gettare l’intero Esserci nella sconfinata prossimità dell’essenza di tutte le cose.

Fuori di qui si può divenire in un attimo, attraverso giornali e riviste, una “celebrità”. Questo rimane comunque sempre la via più sicura attraverso cui il volere più proprio è destinato a essere mal interpretato e cade fondamentalmente e repentinamente nell’oblio. Al contrario la memoria contadina ha la sua semplice, sicura e tenace fedeltà.
 
 Recentemente una vecchia contadina di lassù è morta. Chiac­chierava spesso e volentieri con me e tirava fuori vecchie storie del villaggio. Nel suo linguaggio forte e icastico ancora molte vecchie parole e parecchi detti che già all’odierna gioventù del villaggio sono ormai diventati incomprensibili, e che nella lingua parlata sono andati perduti. Ancora l’anno scorso - quando abitai per settimane solo nella baita - questa contadina saliva su per il pendio con i suoi ottantatré anni. Voleva controllare - come diceva - se ci fossi ancora o se “Uno” improvvisamente mi avesse portato via. La notte in cui mori la passò conversando con i parenti e solo ancora una mezz’ora prima della fine li incaricò di portare un saluto al “professore”. Questo ricordo vale incomparabilmente di più del più abile “reportage” di un giornale internazionale sulla mia presunta filosofia.
Il mondo della città corre il pericolo di cader preda di una ro­vinosa eresia. Un’invadenza assai eloquente, assai industriosa, assai estetizzante sembra spesso prendersi a cuore il mondo dei contadini e la sua esistenza. Ma è proprio così che si nega la sola cosa di cui adesso c’è bisogno: tenersi a distanza dall’esistenza contadina, lasciarla ora più che mai alla sua propria legge; giù le mani - per non trascinare il tutto in false chiacchiere di letterati su carattere nazionale e radicamento al suolo. Il contadino non ha bisogno e non vuole questo petulante interessamento cittadino. Quello che invece gli serve e che vuole è l’atteggiamento rispettoso di fronte alla sua propria essenza e alla peculiarità di questa. Invece molti cittadini, sia di nascita che d’acquisizione - non ultimi gli sciatori - si comportano oggi, nel villaggio o nella fattoria, come si divertirebbero nei loro confortevoli palazzi metropolitani.
Un tal modo di agire distrugge in una sera più di quanto decenni di erudizione scientifica intorno al folklore e al carattere nazionale potrebbero mai produrre.
Rinunciamo a tutta questa condiscendente familiarità e a questo populismo non genuino - impariamo a prendere sul serio quell’esistenza semplice e dura che si conduce lassù. Solo allora essa, di nuovo, ci parlerà.
 
 Recentemente ho ricevuto la seconda chiamata all’Università di Berlino. In una tale circostanza mi ritiro, fuori dalla città, nella baita. Ascolto quello che dicono le montagne, i boschi e le fattorie. Visito per l’occasione il mio vecchio amico, un contadino settantacinquenne. Ha letto sul giornale della chiamata a Berlino. Cosa dirà? Egli dirige lentamente lo sguardo sicuro dei suoi occhi chiari nei miei, tiene la bocca ermeticamente chiusa, posa sulla mia spalla la sua mano fida e prudente - scuote impercettibilmente il capo. Ciò significa: assolutamente no!

 
 
 
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