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LA QUARTA PARETE

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PERCHE’ RESTIAMO IN PROVINCIA? di Martin Heidegger Prima Parte

Post n°433 pubblicato il 17 Luglio 2013 da ziryabb


 Prima Parte 

Sui clivi di un'ampia alta valle della Foresta Nera meridionale, a 1150 metri di altitudine, c'è una piccola baita per sciatori. Essa misura 6 metri per 7. Il basso tetto copre tre locali, la cucina che è anche soggiorno, la camera da letto e uno studiolo. Sparse nello stretto fondovalle e sul pendio opposto, egualmente ripido, stanno, ad ampi intervalli, le fattorie dai grandi tetti spioventi. Su per il pendio si estendono i maggenghi e i pascoli fino alla foresta con i suoi antichi, svettanti, scuri abeti. Sopra a tutto il chiaro cielo estivo, nel cui spazio radioso due astori si innalzano disegnando ampi cerchi.

 Questo è il mondo in cui io lavoro - visto con l'occhio osser­vatore del visitatore e del villeggiante.
 Io stesso, in verità, non osservo mai il paesaggio. Esperisco il suo mutare di ora in ora, di giorno e di notte nei grandi slanci e declini delle stagioni. La pesantezza dei monti e la durezza della loro roccia primigenia, il prudente crescere degli abeti, lo splendore luminoso e schietto dei maggenghi in fiore, lo scroscio del ruscello montano nella vasta notte autunnale, la rigorosa semplicità delle distese ricoperte da una spessa coltre di neve, tutto questo scivola e penetra nell'esistenza quotidiana lassù e vi rimane sospeso. E ciò a sua volta non negli istanti calcolati di un piacevole sprofondare e di una artificiosa immedesimazione, ma solo quando il proprio Esserci sta nel suo lavoro. Soltanto il lavoro apre lo spazio per questa realtà montana. Il corso del lavoro rimane immerso nell'accadere del paesaggio.
 Quando in una profonda notte d'inverno una furiosa tempesta di neve si scatena con i suoi colpi attorno alla baita e tutto copre e nasconde, è allora il grande momento della filosofia. Il suo domandare deve allora farsi semplice ed essenziale. L'elaborazione di ogni pensiero diviene forzatamente dura e incisiva. La fatica del coniare il linguaggio è simile alla resistenza degli svettanti abeti contro la tempesta. E il lavoro filosofico non si svolge come occupazione solitaria di un eccentrico. Esso appartiene integralmente al lavoro dei contadini. Come il giovane contadino trascina su per il pendio la pesante slitta cornuta per riportarla poi, carica di ciocchi di faggio, in pericolose discese, giù alla propria fattoria; come il pastore spinge con passo lento e meditabondo il suo gregge su per pendio; come il contadino nella sua stanza appronta con cura le innumerevoli scandole per il suo tetto, così il mio lavoro è dello stesso tipo. Qui si radica l'immediata appartenenza al mondo dei contadini. Il cittadino ritiene di andare “tra il popolo”, quando si degna di condurre una lunga conversazione con un contadino.
 Quando, alla sera, nel momento della pausa del lavoro, siedo con i contadini sulla panca attorno alla stufa o al tavolo nell'angolo del Signore, per lo più noi non parliamo affatto. Fumiamo in silenzio le nostre pipe. Di quando in quando cade magari una parola sul fatto che il taglio del legname del bosco sta per finire, che la notte precedente la martora si è infilata nel pollaio, che domani probabilmente una mucca figlierà, che il contadino Oehmi ha preso un colpo, che il tempo sta per “girarsi”. L'intima appartenenza del proprio lavoro alla Foresta Nera e ai suoi uomini proviene da una secolare insostituibile permanenza sul suolo alemanno-svevo. Da un cosiddetto soggiorno in campagna il cittadino viene tutt'al più “stimolato”. Il mio intero lavoro invece è portato e condotto dal mondo di queste montagne e dei suoi contadini. Periodicamente ora il lavoro lassù viene interrotto per un lasso di tempo piuttosto lungo da trattative, viaggi per conferenze, riunioni e dall’attività di docenza quaggiù. Ma non appena io torno lassù, già nelle prime ore dell’essere-in-baita (Hüttendaseins)irrompe l’intero mondo delle domande precedenti e proprio con la pregnanza che possedevano quando le avevo lasciate. Io vengo semplicemente assorbito dal vortice insito nel lavoro e fondamentalmente non riesco a padroneggiare la sua nascosta legge.

 
 
 
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