CULTURA E SAPERE

La Terra Idruntina, Abbazia di San Nicola di Casole


Nel corso del IV secolo la denominazione “Hydruntum” veniva riportata da molti scrittori e sapienti latini nei loro scritti in quanto si riferivano al mare e all’entroterra della “Ydrontinus Ager” dell’attuale Terra d’Otranto. A seguito della caduta dell’Impero Romano d’Occidente si susseguirono una serie di denominazioni nate dai vari gruppi etnici e culturali: Ostrogoti, Bizantini, Normanni e Aragonesi che si stabilirono su questa terra, la cui storia è possibile rivivere la storia attraverso i vari reperti archeologici rinvenuti nel corso degli scavi del 1980, in particolare si è evidenziato molti riferimenti al periodo di dominanza bizantina. La denominazione di "Terra d'Otranto" deriva dal periodo di regno di Federico II di Svevia allorquando l'imperatore divise amministrativamente il proprio regno in 11 giustizierati di cui 3 erano in Puglia. La terra d'Otranto era per l'appunto uno, gli altri due erano la terra di Bari ed il territorio de l'odierna Capitanata.Il nome "Terra d'Otranto" venne ripreso anche in epoca aragonese allorquando in omaggio al sacrificio patito dalla città per la presa ed il massacro operato dai turchi, il Duca Alfonso d'Aragona ridiede ai territori di questa parte di Puglia l'antico nome.
La storia antica medievale riporta come la Terra Idruntina sia stato il ponte che univa l’Occidente con l’Oriente sostituendosi all’importanza strategica del porto della città diBrentèsion (Brindisi). Il particolare connubio con il mondo Bizantino, poco conosciuto prima degli anni ottanta, si cementò con i magnifici ritrovamenti emersi stabilendo un profondo legame tra la Città Idruntina e Costantinopoli. L’epoca romana riconobbe alla Città di Otranto la massima potestà tanto da indurre i regnanti ad emettere la propria moneta conservandola sempre come punto di imbarco per l’Oriente. La leggenda riporta Enea sbarcato a pochi chilometri dalla stessa, presso Porto Badisco, San Paolo transitato nella città in occasione della crociata organizzata da Federico II, ed altre evidenze riportanti l’importanza geografica e strategica del porto idruntino. Nel
corso del dominio bizantino, Otranto rappresentò un grande punto di forza militare per la sua resistenza ai tantissimi attacchi sferrati dalla guerriglia saracena, condizione sentita in tutta Italia per l’imminente pericolo del nuovo invasore che costeggiava i mari del Sud. La loro resistenza militare, nel corso del tempo, diminuì rendendo facile l’assalto alla Città dalla scimitarra turca, come vedremo più avanti.I riferimenti storici la descrivono come una penisola di importanza straordinaria per l’Italia antica proprio in virtù della sua posizione geografica nell’Adriatico, poiché rappresentava lo scalo obbligatorio per la Grecia e il Levante e l’Albania. Nel periodo Bizantino era il centro amministrativo di rappresentanza per le province del Sud (IX secolo) e seppe respingere l’onta dell’invasione Barbarica per poi arrendersi alla potenza Longobarda.Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), il medioevo italiano fu travolto da numerose invasioni barbariche. Le guerre greco-gotiche (535-553), volute dall’imperatore Bizantino (Basileus) Giustiniano, miravano a riunificare l’impero sotto dominio di Costantinopoli sottomettendo anche la penisola otrantina incapaci di porre la difesa via mare contro l’attacco nemico. Il dominio dell’Impero di Bisanzio si estendeva da Ravenna alla Puglia favorendo una capillare “grecizzazione” del territorio occupato come rimedio bellico da parte dei possibili conquistatori.La Terra d’Apulia oggi racchiude nei suoi tesori archeologici le indelebili tracce del dominio bizantino, come le cripte chiese e cappelle, che a causa del logorio dell’usura del tempo molte sono in uno stato di degrado. Ma non può sfuggire in questi territori del Salento l’idioma delGriko affine al greco moderno che si parla nella sacca geografica della Grecìa Salentina.Paesi accomunati da un'origine ellenica e dalla sopravvivenza di un dialetto greco detto "griko", che costituiscono un'isola linguistico-culturale convenzionalmente indicata come Grecìa salentina. Ne fanno parte, attualmente, nove comuni: Calimera, Martano, Castrignano dei Greci, Corigliano d'Otranto, Melpignano, Soleto, Sternatia, Zollino, Martignano.L'attuale area della Grecia salentina è la parte residua di una grecità che andava dallo Ionio all'Adriatico. L'origine delle comunità ellenofone non trova d'accordo i numerosi glottologi che vi hanno riposto il loro interesse. Accanto alle due principali teorie che propendono, rispettivamente, ad un collegamento con l'antica Magna Grecia oppure al periodo bizantino (fine IX secolo), è stata avanzata un'altra ipotesi, ossia se i greci del Salento non siano arrivati dalla Calabria meridionale e dalla Sicilia attraverso una migrazione di monaci scacciati dalla invasione araba sul finire del IX secolo. Questi greci di Sicilia provenivano in sostanza da un'area geografica nella quale l'ellenismo sopravviveva in maniera continua sin dalla fine dell'antichità; il che spiega anche il carattere arcaico dei dialetti greci di terra d'Otranto (fonte salentogriko).I Papi di Roma consideravano il rito greco delle liturgia fonte di eresia, perciò contrastato con tutte le forze e con l’aiuto dei Normanni, a cui venne promessa sovranità delle terre strappate al dominio bizantino. Nel 1071 i Normanni assunsero il dominio dell’Italia Meridionale, compreso Otranto, senza interferire nelle loro tradizioni culturali, in cambio ricevettero un grande flusso sapienziale proveniente dalla caduta di Costantinopoli del 1453. Quanto asserito trova piena testimonianza storica e architettonica nel periodo dal VIII al IX secolo, in cui si documenta la presenza di piccoli santuari e luoghi di culto scavati nel tufo al servizio delle comunità e dei villaggi rurali che richiamano il modello della civiltà bizantina. Di particolare interesse è la Chiesa di Santa Marina a Muro Leccese, espressione artistica del periodo di dominanza bizantina che conserva il più antico ciclo di affreschi della vita di San Nicola Vescovo di Mira e di tutto l’arco mediterraneo. A Carpignano Salentino, nella cripta della Chiesa delle SS. Cristina e Marina compare l’immagine del Cristo benedicente datata 959 ed eseguita dal pittore Teofilatto su commissione del prete Leone e della sua consorte Crisolea. Nello svolgimento delle attività pittoriche venivano coinvolte maestranze locali, anche se provenivano dall’Oriente e parlavano e scrivevano in greco. In questo affascinante periodo Bizantino l’espressioni raffigurative del Salento sono uguali con quelle presenti in altre terre di loro dominio come Cappodocia, Serbia e Corfù . Le straordinarie sequenze riportano immagini di santi posizionati in modelli frontali e rinchiusi entro pannelli devozionali come la raffigurazione della principessa bizantina S.Barbara di Santa Maria della Croce a Casaranello e S.Filippo e S.Andrea nella cripta di Vaste. Non mancano raffigurazioni del ciclo Cristologico, come la Lavata dei Piedi e l’Ultima Cena in san Pietro a Otranto. Il dominio Normanno porta alla rifondazione dei monasteri brasiliani, che possono contare sull’immutato appoggio dei nuovi Signori non intendendo
frenare il prosequio della cultura ereditata dai bizantini nella grecità. Nell’abbazia di santa Maria di Cerrate si evidenzia la raffigurazione più suggestiva: nella navata centrale appare San Basilio e San Benedetto, (il santo d’Oriente e il Santo d’Occidente) che accolgono insieme i fedeli all’entrata della stessa.Il nesso artistico coniuga l’idea mediterranea al tempo dei Normanni e degli Svevi dopo. L’alleanza tra lo stile francese di borgogne caratterizzato dall’interno voltato a botte acuta, la rappresentazione islamica della cupola con il decoro dei capitelli a stile bizantino e il gusto islamico del portale viene riportato sull’intaglio ligneo musulmano della pietra leccese.I monaci benedettini furono ingegnosi nel coniugare le tradizioni artistiche locali con i nuovi modelli artistici portando nel tempo ad una lenta occidentalizzazione . Sarà l’arte della scultura ad adattarsi al nuovo linguaggio latino, esempio ne è il portale di SS. Niccolò e Cataldo nella Chiesa di Santa Maria della Strada a Taurisano. In seguito saranno gli Angioini, con la loro arte francesizzante unitamente al legame francescano, che dal XIV secolo determineranno il linguaggio latino nell’opere di architettura e pittorica.Nel periodo del VII e VIII secolo, gli imperatori Eraclio e Leone III l’Isaurico emanarono un’ editto con il quale ordinarono la distruzione delle immagini sacre e le icone in tutte le province dell’impero di Bisanzio, i mosaici e gli affreschi vennero distrutti a martellate e le icone fatte a pezzi e gettate nel fuoco. Il motivo di tale censura era quello di stroncare il commercio delle immagini sacre e combattere la venerazione che veniva considerata idolatrica e superstizione. Questa lotta, denominata “iconoclasta”, mise in fuga dall’Oriente molti monaci che per sfuggire alla persecuzione si rifugiarono anche nella Terra Salentina.I Basiliani, al fine di proteggersi dall’ordine imperiale, si nascosero in luoghi solitari come grotte e foreste, trasformandoli in luoghi d’alloggio e di preghiera. Quando le condizioni naturali non permettevano di utilizzare le grotte, scavavano nella roccia più friabile creando rifugi simili a dei pozzi chiamati “laure”, nel cui ingresso veniva raffigurata l’immagine della Vergine Portinaia a proteggere il loro rifugio.
I monaci basiliani si inspirano alla regola di San Basilio Magno (330-379) e possono essere di rito greco e latino,anche se erroneamente vengono indicati tutti indistintamente monaci cattolici di rito greco. San Basilio fonda la sua obbedienza su due tempi:la prima racchiude 55 articoli e richiama i principi generali della vita monastica (Regulae Fusius Tractatae) e la seconda rappresenta l’ideale da raggiungere per perfezionare il credo cristiano. Di conseguenza anche i laici sono tenuti ad osservare uno stile di vita più consono alla spiritualità cristiana. (Regulae Brevius Tractatae).La regola diffusa da San Basilio si distingueva per l’abbandono dell’eremo del monachesimo orientale con la diffusione del “cenobio” che erano luoghi di preghiera e di lavoro suddivisi in celle o romitori autonomi, ma favorendo l’interrelazione tra il stessi per una correzione dei difetti ed una crescita collettiva dei monaci. Egli attribuisce un “carattere ordinale” che consiste nel fare integrare i monaci nella comunità civile sottoponendosi all’autorità vescovile nell’esercizio del ministero (cristianesimo) pastorale. Per tale motivo il Santo fondò i suoi monasteri non in luoghi deserti, ma nelle città in modo che la scelta del silenzio fosse legata alla dimensione caritativa verso i poveri; queste cittadelle furono denominate “Città Basiliade”. Il fondamento della regola era sia il lavoro manuale, che rafforzava il corpo, quanto la preghiera, che rinfrancava lo spirito, con lo studio della Sacra Scrittura che illumina la mente. Terminata l’era della persecuzione iconoclasta nell’843 molti monasteri furono costruiti nella fertile terra del Salento importando dal Levante la quercia vallonea dalle grosse ghirlande dalle quali si ricavava la farina per il pane, il gelso, il carrubo, il pino d’aleppo ed incrementando anche l’olivocoltura.
Come già riportato, il momento di maggiore splendore della città idruntina, fu indubbiamente rappresentato dal dominio bizantino, infatti era la terra che si sarebbe contrapposta per la storia la cultura ed il nascente pensiero filosofico e poetico all’intera Europa.La storia otrantina custodisce molti vestigi medioevali che testimoniano ancora oggi il grande crocevia che la penisola ha vissuto nel fiorente periodo bizantino e normanno. Da questa terra si diffuse in tutta Europa il più maestoso laboratorio culturale divenendo il richiamo dei grandi sapienti del medioevo: il Monastero di San Nicola di Casole. Ancora oggi a circa un chilometro e mezzo dal centro abitato della città di Otranto, sulla sinistra della litoranea Otranto - Santa Cesarea, rimane la Chiesa di San Francesco di Paola con le rovine dell’annesso convento costruito sul colle della Minerva, ove gli
ottocento martiri otrantini caddero sotto la ferocia scimitarra turca. Proseguendo in tale direzione sulla destra invece si trova un sentiero alberato al cui termine si ritrovano i ruderi informi di ciò che resta dell’Abbazia di Casole con le sue colonne che hanno sorretto per tanti secoli il luogo dell’idee e dei pensieri fra l’Oriente e l’Occidente.Sul muro superstite si osservano due pilastri polistili con pochi elementi architettonici che non lasciano comprendere lo stile originario. Osservando ad occhio nudo, ciò che rimane dell’antica fonte della conoscenza, solo l’immaginazione può ricreare la solennità dell’antica e complessa “pratica” di studi spirituali, filosofici, artistici derivanti dalla primiera regola di San Basilio (torneremo più avanti), rievocando oltre al fervore spirituale quello culturale da cui derivò la magnifica sapienza dei monaci basiliani.  CONTINUA