CULTURA E SAPERE

La Terra Idruntina, Abbazia di San Nicola di Casole


L’opera nel complesso racconta la storia dell’Uomo da Adamo ad Eva modellato sulla storia della salvezza. IlTessellatum è come una monografia illustrata del mondo. Il pavimento è rivestito da tessere policromiche in calcare su sfondo grigio contornate di nero e marrone. L’anatomia descrittiva partendo dall’abside riporta Bisanzio quale capitale dell’Oriente a cui fa seguito una serie di tondi in cui vengono raffigurati gli
animali fantastici.Continuando in questo senso ritroviamo l’immagine di Re Artù in groppa al caprone, il gatto di Lasanna e vicino Caino e Abele: Caino trattiene nelle mani il bastone che colpisce Abele il quale si piega su stesso per il dolore.Proseguendo vengono visti i tondi con all’interno i mesi dell’anno, contornati dai segni geometrici e cifre arabe nelle quali si riportano le fatiche dell’uomo nel corso delle stagioni per poi giungere alla preparazione dell’Arca di Noè con il diluvio universale, in cui gli uomini sono mangiati dai pesci.A seguito di quanto appena descritto ecco comparire il ramoscello d’ulivo quale emblema di pace il tutto seguito da brevi frasi latine che custodiscono il passaggio da una scena all’altra da cui emergono le descrizioni di Pantaleone.L’interpretazione del mosaico è rivolto a quanti possiedono la conoscenza del Bestiario Latino, del Phisiologus e persino dei Vangeli Apocrifi. Lungo il maestoso percorso del tronco i fedeli devono raggiungere quella luce dell’iniziazione tra i racconti dell’Antico Testamento, dei Vangeli e del ciclo di Re Artù. Nel suo insieme compaiono tre lunghe iscrizioni latine che di seguito riporto: - una risulta posta ai piedi dell'altare maggiore e recita: "Anno ab Incarnatione Domini Nostri Iesu Christi MCLXIII Indictione XI Regnante Feliciter Domino Nostro Willelmo Rege Magnifico et Triumphatore Humilis Servus Christi Jonatas";- una seconda è posta a metà della navata centrale e recita: "Anno ab Incarnatione Domini Nostri Iesu Christi MCLXV Inditione XIII Regnante Domino Nostro Willelmo Rege Magnifico Humilis Servus Iesu Christi Jonatas Idruntinus Archiepiscopus iussit hoc opus fieri per manus Pantaleonis Presbiteri"; - l'ultima è posta all'ingresso della Cattedrale e porta la seguente iscrizione: "Ex Jonathas Donis per dexteram Pantaleonis hoc opus insigne est superans impendia digne".Il simbolismo del mosaico, acquisito nel tempo, assume l’importanza di vere opere d’arte il cui valore artistico rispecchia il valore economico,tanto da divenire oggetto di controllo dei vertici imperiali. La diffusione nel medioevo di quest’arte suscitò, nel cistercense San Bernardo, una denuncia di “horror Vacui” nella quale nel 1124 scrisse: “…e non finiamo con il non riverire neppure le immagini dei santi di cui brulica il pavimento stesso, che si pesta con in piedi? Spesso si sputa nella bocca di un angelo, spesso la figura di qualche santo calpestato dai piedi di chi passa. Perchè dipingi ciò che devi calpestare”. Il mosaico resta senza ombra di dubbio la più intensa testimonianza della cultura trasmessa dai monaci basiliani nella magnificenza rappresentativa dell’albero della vita nella tradizione ebraico-cristiana. La gnosi del suo linguaggio racchiude un messaggio per l’Uomo Universale il quale interagisce con il Divino in una dimensione talmudica.
Il Talmud (תלמוד) (che significa insegnamento, studio, discussione dalla radice ebraica "lmd") è uno dei testi sacri dell'Ebraismo: diversamente dalla Torah, il Talmud è riconosciuto solo dall'Ebraismo, che lo considera come la Torah orale, rivelata sul Sinai a Mosè e trasmessa a voce, di generazione in generazione, fino alla conquista romana. Il Talmud fu fissato per iscritto solo quando, con la distruzione del Secondo Tempio, gli ebrei temettero che le basi religiose di Israele potessero sparire. Il Talmud consiste in una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti (hakhamim) e i maestri (rabbanim) circa i significati e le applicazioni dei passi della Torah scritta, e si articola in due livelli:• la Mishnah (o ripetizione) raccoglie le discussioni dei maestri più antichi (giungendo fino al II secolo);• la Ghemarah (o completamento), stilata tra il II e il V secolo, fornisce un commento analitico della Mishnah.L’opus insigne del mosaico idruntino, come lo definisce lo stesso Pantaleone, si concretizza nel comprendere il messaggio cosmopolita della sapienza globale dell’Abbazia basiliana in cui la storia dell’uomo con i suoi miti e i misteri confluisce in una tradizione unitaria. Questo pavimento medioevale intarsiato nella cattedrale è una raccolta fitta di episodi staccati uno dall’altro nel suo “terribile” peccato d’orgoglio, rappresentato dalla Torre di Babele e da Alessandro Grande,seduto tra due grifoni colpevoli di aver osato troppo. La conclusione di tutto ciò richiama i tratti delle Sacre Scritture, delle scene mitologiche e della vita quotidiana. Il monaco Pantaleone realizzò nella direzione del mosaico il ponte occidentale verso l’oriente. Il periodo era rappresentato in questo territorio dalla presenza di colte comunità ebraiche che in altre parti d’Europa subivano le repressioni cristiane, mentre nella terra idruntina la tensione fu molto più blanda, condizione che diede la rinascita del pensiero non solo esoterico, ma anche gnostico. Infatti tra il XII e XIII secolo la dottrina del Sephirote dell’Albero della Vita, unitamente alla nascente Cabala ebraica, riceveranno una meditazione approfondita. La funzione mistico-alchemica pone sugli studi dell’esoterismo cristiano gnostico la domanda religiosa dell’origine del bene e del male: “Come mai da un Dio buono e creatore del mondo si è generato il male?”. In maniera emblematica la risposta deve essere vista nell’unità dello studio dell’uomo allo studio del mondo collegato allo studio del cielo all’armonia col creato. Il mosaico si snoda in cinque aree distinte. La simbologia del numero 5 rappresenta l’Uomo ovvero la testa con il corpo e le due braccia e le due gambe,che assume la forma di croce quando le gambe vengono chiuse, ed il cuore del Cristo diviene il fulcro del centro dei quattro punti. A seguito della visione totalitaria del mosaico, lo schema che si compone nella mente mostrerebbe tre alberi,due collocati nel transetto (navata che incrocia quella centrale perpendicolarmente) e un terzo di doppie dimensioni nella navata centrale. Dunque il cuore del Cristo è occupato da sedici cerchi 4x4 nella cosmogenesi, e la testa del Cristo è il semicerchio ove le metafore simboliche si estendono fino a Giona mangiato dal Pesce che rappresenta la resurrezione. Tra gli elementi che custodiscono un chiaro indizio del significato gnostico vi è la raffigurazione dei patriarchi, nell’albero del transetto sinistro, infatti secondo la simbologia degli gnostici, il lato sinistro è il lato del male rappresentato da Lucifero. La Cabala sintetizza il percorso sapienziale che l'uomo deve compiere per giungere a Dio. Essa ha un legame stretto con gli alberi del paradiso raffigurati nell'opera musiva, privata, come appare nel mosaico, delle Sefirot connesse al ramo centrale, sostituito dal grande albero,che rappresenta l'albero del bene e del male. Le Sefirot laterali, non mediate dalle due Sefirot della Consapevolezza e della Meditazione (la Bellezza e la Conoscenza), divengono strumento di perdizione, di eterna scissione ed eterna oscillazione tra il bene ed il male. Lungo il percorso dal presbiterio verso la porta della chiesa e da un lato viene il problema dell'uomo (la lettura destra e sinistra del mosaico) dall'altro rivela anche la soluzione: il grande albero al centro che è il percorso della conoscenza (Gnosi). Quindi al termine della conoscenza si giunge alla soglia dell'uscita dalla Chiesa Ufficiale, arrivando alla mediazione equilibrata della conoscenza del bene e del male e quindi alla giusta comprensione armonica degli opposti, giungendo a quello che la Cabala chiama Regno, che Gesù segnala come mèta ai sui discepoli e che è il cuore ed il senso stesso della conoscenza (fonte Sabato Scala). Il legame stretto che emerge tra la letteratura gnostica, scoperta nel 45 a Nag Hammadi (in particolare il Vangelo di Filippo), il fatto che l'Abbazia di Casole fosse un'accademia talmudica, i limpidi riferimenti alla Cabala, la leggenda che vuole ricchissimo il materiale documentale in possesso dell'Abbazia, induce a ipotizzare che Pantaleone fosse entrato in possesso dei testi che solo oggi possiamo visionare. Io sono la via (l'albero, il tronco, la via attraverso cui si arriva a Dio), la verità(l'asse che media tra gli estremi della cabala), la vita (l'albero della vita) dal Vangelo di Giovanni.Il Sacco della Città Idruntina da parte degli OttomaniOggi per Impero ottomano si intende l'impero fondato dai Turchi ottomani, probabilmente già nel 1299, in continuità con il Sultanato selgiuchide di Rum. Il nome deriva da quello del fondatore di fatto della dinastia regnante, Osman I. Erede per molti aspetti dell'Impero bizantino (il Sultano, per esempio, portava il titolo di Cesare dei Romani), i cui ultimi brandelli vennero spazzati dagli Ottomani nel 1453, l'impero turco durò sino al 1923, quando nacque l'odierna Repubblica di Turchia.La congiunzione tra l’Oriente e l’Occidente,come nel medioevo, anche oggi è il porto della Città idruntina, per la sua importanza strategica divenne, in quel frangente storico, mèta degli attacchi dell’espansione araba, come il terribile eccidio del 1480 che la storia annovera tra i suoi più terribili orrori. Maometto II (in ottomano: محمد ثانى, Mehmet II, detto ﺍلفاتح, Fātiḥ, "Il Conquistatore"; turco moderno: Fatih Sultan Mehmet; Edirne, 29 marzo 1432 – Scutari, 3 maggio 1481) fu il settimo sultano dell'Impero ottomano. Nato nella già greco-bizantina Adrianopoli divenuta Edirne dopo la presa da parte degli Ottomani (1365) e terza capitale del loro impero dopo Amasya e Bursa, il giovane destinato a diventare Maometto II era figlio del sultano Murat II e di una donna molto probabilmente cristiana (forse addirittura italiana ). Il 29 maggio 1453 a due anni della sua salita al trono mise fine all’Impero Romano d’Oriente con un enorme spiegamento di forze, usando i più grandi cannoni allora esistenti al mondo e addirittura trasportando decine di navi sulla terra, trascinate a forza di braccia dagli schiavi dal Bosforo fino al Corno d'oro scavalcando le erte alture di Galata, per aggirare la celebre catena che bloccava l'imboccatura del Corno d'oro dal Mar di Marmara. Inenarrabili furono le violenze operate dalla soldataglia turca sui cittadini. Presa la città, Maometto II ne fece la nuova capitale dell'Impero Ottomano con il definitivo nome di İstanbul, cancellando la denominazione di Costantinopoli.L’idea espansionista del Sultano mirava anche alla conquista dell’Italia grazie alla potenza navale e all’esercito che rappresentava per l’intera Europa una seria minaccia, una vera potenza d’artiglieria che faceva tremare ogni resistenza che gli si opponeva. Nel maggio del 1480 una flotta ottomana faceva rotta per attaccare l’Isola di Rodi, in s
uo soccorso si mosse Ferrante di Napoli. Nello stesso frangente,il Sultano Maometto II dal porto di Valona, fece salpare una seconda flotta che nella sua strategia bellica prevedeva l’attacco di Napoli e non di Rodi, condizione che fu tramutata nel dirigersi verso Brindisi per alcuni pretesti contro i principi di Taranto. Al comando della predetta flotta vi era Gedik Ahmed Pasha che fu uno dei primi insegnanti e stratega della navigazione turca. La flotta disponeva da 70 a 100 navi che potevano trasportare tra i 18000 ai 100000 uomini con ulteriori 90 galee e 40 galeotte per un totale di 150 imbarcazioni. Il 27 luglio del 1480 mentre attraversavano il canale d’Otranto, a notte fonda, a causa di una portentosa tramontana si ritrovarono innanzi alle mura della Città di Otranto che si presentava mal fortificata e con circa 6000 abitanti. Il periodo evoca anche il conflitto turco-veneto che si era concluso dopo lunghe guerre con una pace tra gli stessi rendendo la Serenissima neutra, pur avendo l’ambizione di conquistare il meridione d’Italia, dominata di Ferdinando di Napoli. Gli ottomani erano a conoscenza che le truppe pontificie, unitamente all’armate aragonesi, erano in guerra contro i fiorentini, per cui non avrebbero potuto rafforzare le difese otrantine. Il 28 luglio, dello stesso, anno 16.000 uomini sbarcarono presso la Baia dei Turchi impiantando la loro base di artiglieria.Baia dei TurchiIl 29 luglio, il Pasha inviò una delegazione nella città idruntina offrendo pace per la resa in cambio concedeva salva la vita, ma la risposta fu respinta e la popolazione si ritirò nel castello al comando del capitano Zurlo. In risposta, l’artiglieria turca catapultò una mole di palle di granito arrecando un notevole indebolimento della già precaria situazione difensiva della città. La resistenza opposta dalla esigua guarnigione otrantina, permise il ritiro momentaneo dei turchi. La potenza strategica della forza ottomana fu incisiva per 15 giorni di assedio fino a quando non riuscirono a sfondare definitamene la cinta otrantina permettendo il loro passaggio nella città.Il sacco della città si tramutò in un massacro incredibile di uomini, donne e bambini mentre i superstiti si portavano in Cattedrale per pregare unitamente al vescovo
Stefano Agricoli. L’impeto della potenza ottomana fece irruzione con i cavalli all’interno della Cattedrale e portandosi verso il religioso gli imposero di convertirsi all’Islam, poiché Maometto (Islam) era l’unica fede da abbracciare, la sua risposta fu: "Sono un pastore a cui indegnamente è affidato questo popolo di Cristo", a tale risposta gli fu mozzata la testa con un colpo di scimitarra successivamente infilzata su una picca e portata in giro tra le mura di Otranto. La Cattedrale fu ridotta al lastrico divenendo la stalla dei cavalli turchi. Il 14 agosto Pasha diede ordine di legare i superstiti a due a due facendoli trascinare sul Colle della Minerva imponendogli la conversione alla fede islamica in cambio della vita, ma tra gli ottocento otrantini parlò per tutti Antonio Pezzulla, il quale disse: "Se fino ad oggi abbiamo lottato per la nostra Patria ora innanzi non ci resta che combattere per la nostra fede cristiana…" la scimitarra ottomana non esitò nel decapitare Pezzulla, detto Primaldo perché fu il primo a patire per fede. I racconti dell’epoca riportano che il corpo di Primaldo pur decapitato non volle cadere a terra fino a quando non fu sacrificato l’ultimo martire.Il Turco nel corso delle macabre esecuzioni costringeva con forza i parenti ad assistere all’orda vandalica dei propri congiunti. Il secondo comandante della guarnigione Francesco Largo venne segato vivo. Il Pasha, che non accettava l’idea che nessuno si convertisse in cambio della vita, volle egli stesso riproporre la stessa scelta, ma solo venti di loro decisero di accettare la fede islamica. Il fatto più eclatante fu che lo stesso carnefice Barlabei, che sulla pietra della Minerva decapitava gli otrantini, si convertì al cristianesimo proprio per la fede e la serenità con cui morivano i martiri, venendo a sua volta impalato per la scelta fatta.Papa Sisto IV notiziato dei gravi avvenimenti emanò la bolla papale “Non Solum Italiane”, con la quale invitava i Principi Italiani a frenare l’espansione turca nel meridione che nel frattempo giunse a Lecce, Nardò fino al Gargano. La gloriosa Abbazia di Casole fu annientata e distrutta, ed i preziosissimi testi furono messi alle fiamme. Il massacro di Otranto suscitò molto clamore tra i cristiani per l’efferatezza distribuita dai turchi alla popolazione otrantina,tanto da proporre il cauto trasferimento del papa ad Avignone. Lorenzo il Magnifico, integerrimo nemico del pontefice e del re di Napoli, fece sarcasticamente fondere una medaglia in memoria della vittoria turca. Venezia non rispose per motivi prettamente d’interesse e di dominio sul mediterraneo orientale, poiché con i turchi aveva stretto un trattato di concordanza e di pace. Bologna inviò solo una trirema. Il pontefice determinò un’alleanza con Genova e Firenze, il re d’Ungheria i duchi di Milano e Ferrara.Il cardinale Savelli su incarico del Papa Sisto IV si recò a Genova per noleggiare ulteriori 20 unità navali, ricevendone 74 secondo Pastor e 24 secondo Giustiniani. Il 30 giugno del 1481 la flotta si radunò alla foce del Tevere, ove a conclusione del concistoro, venne nominato Paolo Fregoso (Paolo di Campofregoso o Paolo Fregoso (Genova, 1427 – 22 marzo 1498) fu arcivescovo e cardinale dell'arcidiocesi di Genova e doge della Repubblica di Genova per quattro mandati. Viene ricordato per aver istituito a Genova la festa di precetto della Decollazione di San Giovanni Battista e l'istituzione ligure del Monte di Pietà grazie alla collaborazione con il beato Angelo da Chivasso), già doge, pirata ed infine cardinale, quale ammiraglio pontificio per la missione verso Otranto. Il 4 luglio salpò da Civitavecchia e a Napoli si congiunse con la flotta reale comandata da Galeazzo Caracciolo ulteriormente rafforzata dalle galee portoghesi e napoletane, mentre via terra Alfonso di Calabria si accampò nel castello di Roca a pochi chilometri a nord di Otranto. Intanto i militi crociati pianificavano la liberazione tattica della città, il turco Pasha fu richiamato in Patria e rinchiuso in carcere e dopo qualche anno trovò la morte.Dopo il congiungimento delle armate nella penisola idruntina, venivano progettati i preparativi dal maestro e ingegnere militare Ciro Ciri del Ducato di Urbino, per cintare la città per mare e per terra. Lo scenario ebbe un improvviso travolgimento per la morte di Maometto II (3 maggio 1481) ed in Turchia era scoppiata la rivolta tra i figli del sultano per la successione al trono. Il 23 agosto le truppe cristiane
attaccarono i turchi assediati nella città con una difesa molto ridotta, resistendo alle milizie cristiane con uno strascico di moltissime perdite per entrambi i blocchi. Sternatia fu il quartier generale delle truppe aragonesi di Napoli al comando di Alfonso d’Aragona, futuro re di Napoli, e di Giulio Antonio Acquaviva, duca di Atri e conte di Giulianova e Conversano. Quest’ultimo il 7 febbraio 1481 effettuò un’uscita di perlustrazione con un gruppo di dodici uomini, ma nelle vicinanze di Serrano cadde in un’imboscata tesa dai Turchi. Il suo corpo decapitato rimase in arcione sul suo cavallo che lo riportò indietro, al castello di Sternatia.Il 10 settembre del 1481 la Città di Otranto fu riconquistata e riconsegnata al duca Alfonso di Calabria, ridotta ad un cumulo di macerie, mentre i turchi via mare si allontanavano per raggiungere Valona. Il Caracciolo voleva proseguire all’annientamento della flotta turca, come stabilito nel documento papale, ormeggiata nel porto albanese, ma Fregoso optò nel rimanere al presidio di Otranto. In seno alla sua forza navale scoppiarono delle dispute per la spartizione del bottino, condizione che fu drammaticamente peggiorata per il diffondersi dei primi casi di peste. A nulla valsero gli appelli pontifici, rivolti al Fregoso, nel continuare l’attacco alla flotta turca, poiché aveva fretta di rientrare a Genova per recuperare il potere dogatale.Alfonso d’Aragona commissionò a Ciro Ciri la fortificazione delle mura delle Città Otrantina ancora oggi visibili. Le due torri ubicate all’entrata della stessa portano il suo nome e la terza denominata Duchesca in onore di sua moglie.I fatti risalenti al XV secolo rievocano nella moderna narrazione il supplizio degli
ottocento martiri otrantini che cambiarono le sorti dell’Italia impedendo con la vita la diffusione del dominio turco nelle altre regioni centro-settentrionali dell’Italia medioevale. I loro resti sono venerati, unitamente alla pietra su cui furono decapitati dalla scimitarra turca, nell’abside della Cattedrale della Città di Otranto. Sul Colle della Minerva in loro memoria fu eretta la Chiesa di Santa Maria dei Martiri.Il loro martirio indusse l’autorità ecclesiastica ad aprire il processo canonico per il riconoscimento ufficiale del culto della Chiesa (richiesta di reliquie, Messa in loro memoria, festa il 14 agosto, preghiere speciali),Il processo iniziato nel 1539 dall'Arcivescovo di Otranto Pietro Antonio de Capua, si concluse il 14 dicembre 1771 con il decreto del Papa Clemente XIV, dichiarando Beati i Martiri di Otranto che 12 Maggio 2013 verranno resi Santi.