Angolo Cattivo

Sataria


Dei gabbiani vedo solo il volo.Ingrandisco la sagoma spigolosa che sforbicia il cielo, invaghita più dei rifiuti urbani che dell'arcano richiamo di un orizzonte mediterraneo.Il verso doppia il muggire del mare, assieme acuto e rauco non teme lo sciabordio dell'onda.Masse d'aria snellite dal vento ed addolcite dal tramonto che verrà, paiono colonne rosate del confine della terra, Esperidi rinvigorite dall'imminente imbrunire.Le onde esplodono il loro carico fluido di cristallo sul nero lucido della scogliera, con la balistica schizofrenica di un calice scagliato verso un pavimento: le gocce trasparenti diventano schegge e lance diafane che trafiggono di scabra violenza primordiale gli occhi che ritraggono lo scenario.La scalinata dopo i miei passi, si estingue tra i flutti che tutto ricoprono e che tutto dischiudono, giusto prima di farmi conoscere l'abisso.Le aspre fenditure della pietra svelano obliquamente il mare, come oblò di nave in burrasca.Le palme che incorniciano sporadiche la perimetrale, paiono stelle appese al suolo, con il loro alone sfrangiato e bruno, lungo il viale immaginario che calpesto con gli occhi, come una costellazione improvvisamente vicina.Ho visto solo pietra, ubriaca di sole, quel sole che, estremo, poi l'ha seccata ed ingrigita, resa dura e poi porosa ed infine sfaldabile per smarrirsi nello scirocco, ed ho ripensato a me.Ho rivisto me, la stagione del piacere e la stagione della sofferenza, tra nostalgie evocabili ed aridità algebriche, ad oggi, elementi del dominio aventi immagine nulla.La ginestra aveva trovato l'orifizio per corrompere la lava senza tempo, e già minimale e suadente, rallentava, rapendo i dilatabili fotogrammi di un volo d'ape.Risalgo verso lo sfumare del giorno, e quella scalinata lasciata dietro, pare riemergere dall'abisso che non vidi, ad ogni passo con cui mi allontano da quel mare.