S_CAROGNE

Waiting for you

Waiting for you

(T'immagini)

I piatti rossi della festa ci sono, e poi la tovaglia buona, quella ricamata dalla nonna, anche la candela. Cosa manca? A parte quelli che sono andati via e non hanno più la consuetudine di celebrare le feste con noi, c'è qualcos'altro. Le risate, forse. Erano sonore risate, liberatorie, quelle cui ci lasciavamo andare dopo mesi interi trascorsi prestando attenzione a pronunciare parole che non comunicassero troppo. Per non piangere, sì, ridevamo.

L'atmosfera natalizia non è riuscita neppure quest'anno a placare il cuore. Certe assenze sono state ingombranti, definitive. Sì, ho allestito il presepe e ho appeso finanche i mandarini all'albero. La commessa mi ha mostrato un maglione che ti sarebbe stato bene; l'ho comprato, anche se non potrò mai dartelo. E quando durante il pranzo di Natale sgorgavano dai miei occhi lacrime di bimba non ho detto a nessuno che noi, tempo fa, ci siamo arresi e siamo diventati grandi.

Eh, passa il tempo. Inesorabile, direbbero le donne convinte di avere trentasette anni fino al giorno in cui ne compiono trentotto. Fingiamo pure, se ci piace, indifferenza. Fine dell'anno? Buona fine e buon principio? Pfui. Il cenone e il vischio non ci tangono, al più ci fanno inarcare leggermente il sopracciglio sinistro. Per non parlare del concerto di Capodanno. Sì, certo. Farete come migliaia di persone (io tra queste) che entrando all'Ikea addobbata per l'imminente Natale hanno dichiarato: “Quest'anno non farò neppure l'albero” e allestimento dopo allestimento rinvigorivano le loro convinzioni “Detesto questa barbara abitudine di illuminare ogni cosa; detesto il rosso e il giallo dorato.” Alla cassa, inevitabilmente, il loro stesso cuore era pieno di lucine colorate a forma di stella, per quanto afflitto. La tristezza che ci pervade mentre diligentemente brindiamo è chiaramente dovuta al timore dell'effetto cavallo di Troia di cui ogni nuovo anno è portatore.

Dobbiamo essere maturi: quando il gioco si fa duro... Rilassiamoci: i frizzi e i lazzi sfumeranno presto. Diciamolo pure senza tema di smentite: forse a luglio (ma anche ad aprile) qualcuno distingue un 2008 da un 2009? Gradualmente il 9 finale non meriterà più alcun commento, indicherà meramente un anno come tutti gli altri, avrà diritto al suo Carnevale, al suo S.Valentino, all'esodo per Pasqua e Ferragosto, al caldo molto caldo in estate, al freddo molto freddo in inverno, ai rincari, agli scandali, al film da non perdere, al tormentone in spiaggia, a un attentato. Sarà un ulteriore lasso temporale che ci piacerà scandire ancora in dodici mesi e cinquantadue settimane, 365 giorni. Lo dice anche l'agenda nuova che ci hanno regalato in triplice copia gli zii. Remissivi, mai però completamente proni, prenderemo dimestichezza anche con lui: né più né meno di quello che si fa con le proprie rughe (o quelle del proprio partner).

Doverosamente rivolgo il pensiero a colui che si congeda: il Signor 2008. L'anno è stato buono o cattivo? Dipende. Esistono persone detestabili per le quali l'anno vecchio (che comunque ha un anno e quindi sarei più cauta con le parole) è sempre stato uno schifo (ma se sono qui a dirlo tanto male, in fondo, non gli è andata) e poi ci sono quelli per i quali è sempre tutto meraviglioso che io manderei senza esitare in viaggio di piacere in Ruanda. Insomma, pensate a una coppia mista che va in vacanza. La donne critica immancabilmente le stanze, la pulizia e i servizi. Chiedete all'uomo. Tutto perfetto, bellissimo; se fortemente sollecitati dagli sguardi disgustati della propria partner al più ripetono meccanicamente, quasi in playback, le lamentele delle loro gentili consorti. Gli uomini, ammettiamolo, sono dei compagnoni, oppongono qualche mite resistenza e poi sposano senza riserve le idee delle loro mogli. Ebbene: siate almeno intimamente gaudenti, questo è il mio invito. A distogliervi dal vostro limbo ci penserà la vita stessa, pregna – altrimenti sai che noia – di ritmi e colori alterni.

Lo so. Il 2 Gennaio inizierà la vera pacchia. Come quando apprendiamo di una sciagura (e noi siamo a casa) e ci aggrappiamo a quella felicità raggiunta (da noi sovente strattonata e vilipesa) che potremmo perdere, ma forti del tepore delle nostre mura e delle lenzuola, acquietiamo l'anima: non è un sogno, stiamo bene.

È finita. Sedie vuote dopo una cerimonia, o un concerto, strade deserte di sera dopo caroselli di auto, palcoscenico in penombra dopo un trionfo. Poche cose sono altrettanto affascinanti.

Alla pletora di auguri che vi giungono da ogni dove aggiungo i nostri che, seppur s_carognati, son sinceri.