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IL PARADOSSO LEGALE ALL'ITALIANA

Post n°3465 pubblicato il 01 Febbraio 2020 da monellaccio19
 
Foto di monellaccio19

 

 

Il buon Fefè  (Marcello Mastroianni) nei primi anni sessanta, nel contesto del film "Divorzio all'Italiana" del grande regista Pietro Germi, non avrebbe avuto bisogno di architettare una grande sceneggiata, per "disfarsi" della moglie. In primis perché all'epoca non esisteva il divorzio e poi puntava tutto sul delitto d'onore, ancora previsto in Italia per casi particolari e lesivi della figura maschile, specie in Sicilia.  Conoscete tutti Camillo Davigo:  ex "Mani Pulite", ottimo magistrato capace e preparato, oggi membro togato del CSM e Presidente della II sezione penale della Corte di Cassazione. Davigo è persona che si mette in gioco e come sappiamo, è molto critico verso il cammino della riforma della giustizia che intrapreso con alcuni provvedimenti particolari dal ministro Bonafede, lo pone in una posizione molto discutibile per le sue dichiarazioni. La giustizia italiana, vecchia e insulsa ormai bisognosa di aggiornamenti necessari e urgenti, funziona male e non sembra volersi destare completamente da questo stato soporifero che ne aliena il giusto e legittimo uso per i cittadini. Camillo  ha parlato e spiegato in un convegno, quante falle ci siano da tappare e riparare in questa giustizia perno della nostra democrazia. Servendosi di un esempio molto calzante, ha indicato come, nel trattare casi di  divorzio,  si possa trovare una alternativa che ponga fine al travagliato iter da percorrere per vie giudiziarie, solo passando a "vie di fatto" molto più pratiche, convenienti e sbrigative. Possibile? "Oggi, in Italia...", sostiene il giudice, "...è più facile uccidere la moglie che non procedere con le pratiche di divorzio!". Già, pesante affermazione da parte di un uomo di legge, ma seguendolo nella sua capillare argomentazione,  Davigo spiega che un uxoricida, non sconterà mai la pena prevista di 30 anni di galera, poiché se confessa, gode delle attenuanti generiche.  Dopo di che si attiva per risarcire gli eredi della defunta, come se fosse un assegno di divorzio. Pertanto scattano altre tre circostanze attenuanti prevalenti sull'aggravante e usufruisce quindi  di un rito abbreviato. A queste condizioni, i 30 anni previsti dalla legge, si riducono a 4 anni e 4 mesi. A questo punto, tre esigenze cautelari lo condurrebbero in carcere: il pericolo di fuga, l'inquinamento delle prove e la reiterazione del reato. E allora? Semplice: Poiché si sia costituito e abbia confessato, non esistono né pericolo di fuga, né inquinamento di prove, quindi resterebbe la reiterazione del reato. Già, ma la moglie non è più tra le scatole per cui, chi dovrebbe uccidere ancora? Beh, allora siamo al finale: a termini di legge l'omicida farà un anno e quattro mesi agli arresti domiciliari e tre anni ai servizi sociali. Paradossale ma possibile e se lo dice Davigo, c'è da crederci. Concludo, il nostro eroe non intendeva assolutamente spingere all'omicidio delle mogli non più desiderate o dei mariti da sopprimere per far prima, l'esempio è reale magari fantasioso, ma resta un esempio lampante per come sia "manovrabile" un delitto studiato a tavolino, condotto da avvocati ben preparati e risolti in totale tranquillità senza incontrare grossi scogli giudiziari e legali. Un momento, non ho finito, ma dove correte? Aspettate...calma...calma, è un esempio, cazzo!!!!!

 
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