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... Paris (Cronache Francesi e altro)

 

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Incontri

Post n°143 pubblicato il 16 Agosto 2018 da Coralie.fr
 

È vero che altri avvenimenti accadutimi nel passato recente e più remoto, avrebbero meritato uguale attenzione da parte mia, quindi probabilmente questa decisione è supportata dal mio attuale stato emotivo e anche dalla forza fisica di “perdere” qualche decina di minuti a raccontare un pomeriggio recente. O forse, in fondo, è questa “cosa” ripetuta, che ora andrò a narrare, che probabilmente domanda di essere detta. Non per un motivo particolare o nascosto o trascendentale, penso sia solo per rendere testimonianza, forse pure banale. Sicuramente. Ma mi chiama a scrivere. E cosi è.

Gli avvenimenti risalgono a qualche giorno fa.

Sistemo il sacchetto ambrato, e già un po’ unto, delle chocolatine per ultimo, sopra il cruscotto, e parto. Destinazione le Ch’Nord.

“Périphérique ou Paris?”

L’esitazione è breve perché per pigrizia, non ho pianificato nulla e non ho voglia ora di pensare, mi accodo alle auto in fila per la ville lumière.

“Bon, ça commence bien!” penso mentre passo sotto alla scritta panne à 4000 mètres.

Il display a mo’ di ghigliottina, lampeggia come un presagio, cattivo. Ovviamente.

Lapigriziaandòalmercatoeduncavolocomprò

I galli dicono che la vita non è un lento fiume tranquillo, più o meno così, credo, ma dicono tante cose i francesi, sarà per questo motivo che il flusso del traffico, appena dopo Porte d’Italie (e lo so: potrebbe sembrare un espediente narrativo ma non lo è), riprende la sua corsa.

In piena carreggiata, transennata da barriere di metallo, è ferma un’ambulanza. Ai suoi lati sfrecciano incuranti gli automobilisti, felici forse, della riconquistata velocità.

“E certo: un 15 mi manca” dico a voce alta mentre guadagno la corsia di sinistra.

Dall’autoradio, le note di À nos actes manqués assumumono la forma sonora di un preludio sinistro che dopo ogni couplé, si espande nell’abitacolo.

Lemondeasesdouleursquinemetouchentplus

Non scriverò della spia rossa luminosa, del tintinnio del campanello metallico, della vettura in sosta di emergenza, non scriverò neppure del carroattrezzi e neanche della rozzezza del custode del capannone, e mi accorgo pure che io, a rozzo, attribuisco una connotazione positiva, mentre il padrone della rimessa è proprio un bougre, un cafone insomma e non assolutamente alla siloniana accezione. No, non scriverò di quanto accadutomi nei pressi di Roissy Charles de Gaulle perché non ha alcuna rilevanza.

Invece merita di essere affidato allo scritto (scripta manent verba volant) il racconto dell’incontro con due persone che a loro modo, hanno spolverato il grigio del metallo e spazzato via l’acqua caduta, ma non solo, due belle persone che hanno dato mani di colore ad un pomeriggio faticoso e inzuppato la mia aria di calore.

Dentro la cabina dello sgraziato carroattrezzi, un giovane, o piuttosto un ragazzo, incapace di parlare, articolava solo dei gutturali, competente però a rispondere al telefono e a guidare contemporaneamente. La suoneria ad altissimo volume, un’accozzaglia di rumori da far tremare l’abitacolo, eppure non è audioleso ma sicuramente “altroleso”, penso. Mi scarica letteralmente davanti ad una stazione di rifornimento sul ciglio dell’autostrada perché l’entrata di “BONJOUR” è sbarrata dal nastro a strisce rosso e bianco legato intorno ad un birillo arancione: a qualche metro, infatti, un omino in grigio e giallo con un grosso tubo in mano, alimenta le due postazioni di rifornimento.

Trascino trolley, giacchetta, busta libri, borsa computer e chocolatine all’ingresso del punto di ristoro e lasciato tutto in prossimità della porta, entro. Non c’è tavolino, non ci sono sedie. Solo il bancone. Chiedo al lavorante, che ho capito dopo essere di sicuro un parente del carroattrezzi, se, mentre aspetto il taxi, potrebbe darmi una sedia. Ovviamente nulla. Ed è a questo punto che mi sento chiamare. Madame …

Un uomo, o piuttosto un ragazzo, ambrato, ma non unto come il mio sacchetto di chocolatine, sorridente e con una reverenza che viene dal rispetto per l’età, per il sesso, per la condizione di difficoltà, indubbiamente un accanito fumatore, mi dice che se voglio posso sedermi nella sua automobile, che intanto apre, e aspettare comodamente il taxi. Lui, mi spiega, attende la moglie che fa les courses in un centro commerciale non molto lontano da lì. “Le ci vorrà almeno un’ora” mi dice. Siamo rimasti a chiacchierare per più di un quarto d’ora prima che giungesse finalmente il mio taxi, che intanto si era perduto fra le diverse stazioni di servizio disseminate lungo tutto il tratto di autostrada. “Sylvain” mi risponde mentre gli tendo la mano per salutarlo chiedendo quale fosse il suo nome e poi aggiungo: “Moi, c’est Francesca”. Sylvain ha trentasette anni, è di origine algerina, viene da Ascain un paesino basco a sud di Bordeaux, la targa della macchina riportava infatti le cifre 33, ma lavora a nord di Paris. Lavora tanto e duramente a contatto con le persone di ogni estrazione, provenienza, condizione e soprattutto con gli anziani.

Merci Sylvain. Grazie per la tua generosità e per la tua gentilezza. Perché mi ha sorpreso ritrovarmi nel tuo agire e nel tuo sentire.

“Che strada vuole fare?” mi chiede l’autista mentre lascia la stazione di servizio. Io non so rispondere a queste domande. Ma non glielo dico e replico: cosa le propone il navigatore?

Che poi, che razza di domanda è: il tassista chiede al passeggero quale tragitto percorrere? Prendiamo la 104. Quindi fuori da Paris. Non attraversiamo la metropoli ma la costeggiamo. Non c’è molto traffico. È un tardo pomeriggio di lunedì. L’automobile è grande. Dentro ha 6 sedili comodi. Riconosco la pedana per l’handicappato motorio. Guardo il dispositivo, mentre mi dico: dopotutto percorriamo lacentoquattro, e assorta nelle mie riflessioni esistenziali, odo solamente l’ultima sequenza dell’enunciato proferito dallo chauffeur. …

Stiamo insieme per 75 km per un totale di 185 euro.

Parliamo di tante cose. Il suo taxi è quasi nuovo, paga una ecotassa di 8500 euro. Prima lavorava anche con la SECU ora non più: troppi documenti, troppe attese, troppa burocrazia. E il cliente, il paziente, le persone a volte sono insopportabili. Lo so, gli dico. Capisco, aggiungo. Conosco, gli spiego. E parliamo molto di cose note ad entrambi e che comprendiamo. Lui però mi dice che è stanco di capire. E io lo capisco.

Poi, ad un certo punto, mi pone una domanda a cui sono abituata: Madame, mi dice, vous avez un petit accent, vous venez d’où? Sono italiana, rispondo. E così mi racconta che sua moglie è Polacca e che lui è un Kabyle, che hanno due figli: un bambino e una bambina. Il figlio ha un nome algerino, scelto dalla madre di lui, invece la figlia ha un nome inventato dalla moglie: Zorinne, come Corinne, ma con una Z, mi spiega, al posto della C.

Mi racconta che il loro è stato un coup de foudre, che si sono incontrati a Roissy Charles de Gaulles perché lei, accompagnava degli handicappati motori a rue du Bac, mentre lui, prestava servizio con il taxi dotato appunto di pedana.

Polacca? Chiedo

Sì.

Di religione cristiana cattolica?

Sì.

E lei è musulmano? domando, sebbene la Cabilia fosse una regione algerina inizialmente cristiana, poi divenuta musulmana in seguito all’invasione e alla dominazione ottomana.

Sì.

E come fate? Chiedo

Nessun problema, risponde. All’inizio è stato complicato perché mia moglie non conosceva una parola di francese. Altrimenti io sono musulmano e je bois de l’alcol et je mange du porc (bevo alcolici e mangio maiale).

Dopotutto, penso, i Polacchi hanno Cracovia, Santa Faustina e la misericordia. La Misericordia.

Grazie anche a questo tassista di origini algerine perché mi ha regalato una storia vera, una vita d’integrazione e di speranza.

 

 

…continua. Forse

Merci Alexandre.

 
 
 
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