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un sonno doloroso, che non reca /
dolcezza e pace,
ma nostalgia
e rimprovero
PIER PAOLO PASOLINI
 

 

 

 

 

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La notte in cui abbatterono il “Vecchio Dixie”…

Post n°2020 pubblicato il 18 Agosto 2017 da massimocoppa
 

LA NOTTE IN CUI ABBATTERONO IL “VECCHIO DIXIE”…

 

 

Per colpa delle violenze dei fanatici suprematisti bianchi americani (che già basterebbe a ridicolizzarli, in eterno, la famosa battuta dal film “The Blues Brothers”: “Io li odio, i nazisti dell’Illinois…”), adesso le statue di grandi personaggi della Guerra di Secessione verranno abbattute di giorno in giorno, di ora in ora, con rinnovata lena.

Mi dà un fastidio enorme pensarla come Donald Trump, ma effettivamente, così facendo, si calpesta la storia e la memoria di un evento cruciale per gli Stati Uniti, dopo il quale divennero il grande Paese che conosciamo, la superpotenza che amiamo e detestiamo.

Non è certo questa la sede per una disamina delle cause e delle responsabilità di quel conflitto; non dobbiamo rintracciare torti e ragioni, anche perché sono evidenti.

Premesso che alcuni personaggi sono impresentabili e di certo non riscuoteranno la mia affettuosa considerazione (basti pensare a Hitler o a Pol Pot in Cambogia); sarà che ho sempre amato le cause perse, ma io provo simpatia – in genere – per le organizzazioni sconfitte dalla Storia, specie se i vincitori sono stati, di fatto, dei conquistatori: il Regno delle Due Sicilie, gli Stati Confederati americani, la Repubblica di Salò, l’Unione Sovietica…

Sono generalmente contrario alla distruzione di opere e statue per motivi ideologici: fosse stato per me, non avrei rimosso nemmeno i busti di Lenin in Russia e quelli di Mussolini in Italia, ma posso capire che, nell’immediatezza della fine di un regime, un popolo voglia scrollarsi violentemente di dosso i simboli della sua recente sudditanza. Ma che senso ha, nel 2017, rimuovere state equestri dei generali sudisti Robert E. Lee o di Stonewall Jackson? Personaggi, cioè, vissuti nel XIX secolo?!

Nessuno degli americani oggi viventi ha memoria diretta di quella guerra, e quindi non può mostrare ferite aperte da richiudere con l’oblio.

Certo la storia e la vita sono strane: i disgustosi razzisti neonazisti americani simpatizzano per i Sudisti; al contrario, i liberal e quelli di sinistra (qualunque cosa voglia dire, negli USA) sono per gli Stati dell’Unione, i Nordisti. Ma il grande capitale era schierato con il Nord, e l’acciaio delle grandi industrie settentrionali forgiò i cannoni che schiantarono il Sud: per cui ci ritroviamo con il paradosso che la sinistra radicale alternativa americana, che è anticapitalista, sostiene il capitale; ed i nazisti, che una certa storiografia dipinge come braccio armato del capitale, sostengono invece un mondo agricolo e precapitalista…

Inoltre, specie in una guerra civile, le ragioni e i torti non si possono tagliare con l’accetta: spesso i contendenti, specie se non sono i leader politici di riferimento, sono in buona fede e pensano di lottare per una causa giusta. La guerra civile divide improvvisamente famiglie ed amicizie: pensate che il generale sudista Stonewall Jackson e l’ufficiale nordista Stoneman, patron della famosa cavalleria da lui creata, erano stati compagni di stanza all’accademia militare di West Point!

Chiudo invitando a guardare il video musicale che ho caricato: è dal film “The Last Waltz”, il concerto di addio della “The Band”, scoperta e valorizzata da Bob Dylan. Il brano è “The night they drove Old Dixie down”, “La notte in cui abbatterono il vecchio Dixie”, cioè la Confederazione degli Stati del Sud americani. È un classico del rock,  scritto da Robbie Robertson ed interpretato anche da autori – diciamo – di sinistra, come Bob Dylan, Joan Baez e Roger Waters ed ancora oggi cantato da nuovi gruppi: il soldato sudista Virgil Caine racconta la sua guerra, la notte in cui finì e la dura vita che ne seguì. Era, Virgil, un nazista ante litteram? Era uno schiavista? Io non credo. Era solo un uomo il quale ha lottato per il suo mondo che, però, era dalla parte sbagliata della Storia, come le migliaia di giovani i quali, dal Meridione d’Italia, salirono al Nord per combattere nella Repubblica di Salò, pur sapendo che l’Italia era ormai sconfitta e prostrata. Splendidi perdenti che, forse inconsciamente, non facevano altro che seguire un motto britannico: “Right or wrong, my country”. A torto o a ragione, innanzitutto il mio Paese.

 
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