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un sonno doloroso, che non reca /
dolcezza e pace,
ma nostalgia
e rimprovero
PIER PAOLO PASOLINI
 

 

 

 

 

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Armi chimiche abbandonate, nasce il coordinamento dei Comuni inquinati

Post n°1769 pubblicato il 28 Marzo 2011 da massimocoppa
 

ARMI CHIMICHE ABBANDONATE, NASCE
IL COORDINAMENTO DEI COMUNI INQUINATI
Finalmente fa sentire la sua voce quell’Italia vittima
della contaminazione dovuta agli arsenali segreti.
C’è bisogno dell’aiuto di tutti


Lo sapevate che le campagne ed i mari d’Italia sono disseminati di arsenali chimici prodotti dal fascismo, dal nazismo e dagli Stati Uniti, e poi abbandonati nelle fasi finali e subito dopo la seconda guerra mondiale?

E’ la sconvolgente tesi portante del libro “Veleni di Stato”, scritto da Gianluca Di Feo, giornalista dell’”Espresso”, pubblicato da Rizzoli (Euro 10,50) nel 2009 ed accolto dal silenzio assordante di istituzioni e mass media tradizionali...

E’, onestamente, un libro che tutti dovrebbero leggere, anche se fa molto male. Dovrebbero leggerlo, beninteso, coloro che amano conoscere la verità, per quanto scomoda, ed in primis gli amministratori locali.

Per rompere finalmente questo muro di gomma un gruppo di associazioni e comitati ha deciso di riunirsi per chiedere che venga finalmente fatta chiarezza sui rischi di questi veleni sepolti nel mare e nel terreno del nostro Paese.

Si è quindi costituito “Veleni di Stato”, cioè il “Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche”, che si prefigge il monitoraggio e la bonifica dei siti contaminati da ordigni bellici chimici inabissati o interrati durante e dopo il secondo conflitto mondiale.

Il Coordinamento è formato da semplici cittadini, docenti universitari, professionisti, giornalisti ed attivisti ambientali che sono rappresentanti di associazioni e comitati operanti nelle zone più colpite in Italia: l’isola d’Ischia con il Golfo di Napoli, il lago di Vico, Molfetta, Colleferro, Pesaro e Cattolica. Presto entreranno a far parte del Coordinamento nuove realtà in rappresentanza di altre aree  fortemente colpite in Lombardia, Piemonte, Lazio e Abruzzo.

Il Coordinamento è aperto al contributo di tutti. Ha attivato un sito Internet all’indirizzo www.velenidistato.it, che per ora si collega ad un blog. L’indirizzo mail generale è: info@velenidistato.it; inoltre il Coordinamento nazionale è presente come “Veleni di Stato” su Facebook e su YouTube all’indirizzo www.youtube.com/user/velenidistato

Utilizzando documenti dei servizi segreti britannici, non più coperti dal sigillo della riservatezza, documenti militari americani (prima resi pubblici e poi nuovamente coperti dal segreto di Stato), e materiale d’archivio tedesco, Di Feo ricostruisce con mirabile precisione la storia delle armi chimiche italiane. Volute dal fascismo e sperimentate, con orribili effetti, in Libia ed in Etiopia, hanno fatto il paio con gli arsenali creati dalla Germania hitleriana. Come se non bastasse, una volta sbarcate in Italia le forze armate americane hanno trasferito nel nostro Paese una quantità enorme di armi chimiche a stelle e strisce. Nessuno, alla fine, le ha utilizzate sullo scenario europeo: la paura della devastante ritorsione avversaria ha dissuaso tutti, scoraggiando persino la follia hitleriana. E’ stata una sorta di prova generale dell’equilibrio del terrore atomico, che si sarebbe instaurato di lì a poco.

Il problema è che questa ingente massa di materiale bellico chimico ha inquinato l’Italia sia per la sua produzione che per il suo smaltimento. Innanzitutto le fabbriche, potenziate dal regime fascista, hanno scaricato i propri venefici scarti compromettendo falde acquifere e terreni: ancora oggi, ad esempio, le acque sotterranee milanesi e le campagne dell’hinterland del capoluogo lombardo risultano fortemente inquinate.

Di Feo getta luce sulla clamorosa consistenza dell’arsenale chimico italiano ma, soprattutto, rivela che il nostro Paese è diventato, alla fine del secondo conflitto mondiale, un’immensa discarica segreta di materiale pericolosissimo; materiale che, ancora oggi, rilascia la sua eredità di morte inquinando l’ambiente ed attentando alla nostra salute, entrando nel nostro corpo sia direttamente che attraverso la catena alimentare. L’unica ricerca scientifica ufficiale fatta in Italia ha riguardato l’Adriatico e testimoniato che, nei pressi delle aree conosciute come sede di smaltimento di scorie chimiche, si sono verificate addirittura alterazioni e mutazioni della fauna ittica.

Ad utilizzare mare e terra come criminali discariche chimiche hanno cominciato i tedeschi, devastando l’Adriatico con migliaia di tonnellate di micidiale immondizia.
Quindi le autorità americane, non si capisce se per incoscienza o criminale cinismo, hanno affondato nel Golfo di Napoli e, in generale, nel Mediterraneo, migliaia di tonnellate di testate contenenti iprite, fosgene, lewisite ed altre diavolerie, sia italiane che statunitensi e tedesche. Si trattava degli armamenti più deperibili, meno sofisticati e, insomma, difficili da gestire e conservare. I migliori munizionamenti, invece, vennero trasferiti negli Stati Uniti.
Altrettante migliaia di tonnellate vegetano decomponendosi in aree industriali dismesse e, addirittura, in un Parco Nazionale.

Nel 1943, a Bari, si è verificato il più grosso disastro chimico nella storia dell’Europa occidentale: eppure è un episodio che resta sconosciuto ai più. Una nave americana colma di testate all’iprite saltò in aria in seguito ad un massiccio bombardamento tedesco: verranno contaminati mille militari angloamericani che si spegneranno negli anni successivi, avvolti dal segreto di Stato. Dei civili baresi colpiti e delle successive morti e malattie non si sa nulla, perché nessuna inchiesta è mai stata fatta e nessun registro realizzato.
Secondo documenti militari americani, resi pubblici per un breve periodo, nel Golfo di Napoli ed al largo dell’isola d’Ischia, tra il 1945 ed il 1946, sono state affondate imprecisate quantità di ordigni contenenti iprite, lewisite, fosgene, cloruro di cianuro (“cyanogen chloride”) e cianuro idrato (“hydrogen cyanide”).

 
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