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Un colpo al cuore

Post n°1255 pubblicato il 11 Marzo 2017 da lightdew

foto lightdew

 


Un colpo al cuore.

Avevo letto in passato la notizia molto discussa sull'utilizzo diverso di un teatro che altrimenti sarebbe finito in rovina, ma non avrei mai pensato di trovarmelo davanti così, inaspettatamente e all'improvviso.

Ero a Venezia per tutt'altra faccenda e nella gioiosità dello svolgersi della giornata, tra un passo e l'altro me lo sono trovato davanti con la sua bella scritta sopra il portone principale: Teatro Italia.

Sotto, in disparte quasi e in modesto pubblicizzarsi, il nome di una catena di supermercati.

Non potevo esimermi dall'entrare.

Due lacchè in divisa, accoglievano i clienti sotto uno sguardo attento anche se sorridente.

L'ingresso al negozio era bloccato da vari passaggi di tornelli, e alla fine di tutti i passaggi, sono entrata.

Dopo due passi mi veniva da piangere.

Ho detto a mia figlia che non ce la facevo a resistere lì dentro, ma per uscire dovevo fare il percorso come stabilito da menti sapienti che inducono all'acquisto, così, mi sono ritrovata di fronte a quello che un tempo era il palcoscenico: ora è un banco salumi al quale accedere attraverso elimacode.

Era troppo per me.

Non riuscivo neppure a comprendere se l'altra, dentro me, stesse urlando o piangendo.

Sicuramente aveva la stessa espressione di questa maschera.

Mi sono soffermata sotto questo dipinto ed ho scattato una foto, nonostante non si potesse.


Lo so, hanno salvato lo stabile e hanno creato un negozio nel rispetto del luogo che un domani potrebbe  riacquistare il suo iniziale scopo, eppure io sono stata male.

Male per il nostro futuro. E non mi riferisco al mantenimento degli stabili, ma al degrado culturale e sociale.

Nella capitale stanno iniziando a chiudere i teatri. Non c'è lavoro, non ci sono più soldi, non c'è bisogno di popolo pensante. Ora è il momento dello stordimento mediatico, quello che crea un gregge facile da dirigere anche verso un burrone.


Pensavo a questo mentre passeggiavo e passo dopo passo, iniziavo a soffermare lo sguardo su altri palazzi adibiti a locali di varie catene commerciali, finchè dopo un ponte mi ritrovo davanti un ristorante tex mex e lì mi fermo un attimo a pensare, tra la musica di un gruppo di andini artisti di strada, maschere veneziane di manufatto valdostano venute appositamente a Venezia per un reportage di fotografi americani e coreani, il mercato delle verdure e i negozi cinesi.

Forse sono io a considerare male quello che accade.

Forse, e dico forse, dovrei guardare maggiormente la tv.


Poi, dopo aver bevuto a sorsate piene la bellezza della piazza, dei palazzi, delle chiese, mi dirigo verso il battello, ma rimango avvinta da uno striscione enorme su Palazzo Ducale.

Decido di rinviare il ritorno ed entro.

Sbalordita mi accorgo che in nessun luogo era specificato che di Bosch, le opere non coprivano il conteggio di una mano.

Agli addetti alla sorveglianza della mostra non passa inosservato il mio sbigottimento. Sono l'unica che si lamenta. Il resto del pubblico osserva in silenzio, rassegnato.


Forse sono solo io che non vado bene per questa società.


Forse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Rispondi al commento:
Zero.elevato.a.Zero
Zero.elevato.a.Zero il 12/03/17 alle 07:32 via WEB
Il primo Dojo di Rimini, la prima palestra di arti marziali, dove anche io piccino ho indossato la mia casacca bianca con cintura dello stesso colore oggi è uno Spendibene. Alle pareti non ci sono più le foto dei maestri fondatori o i precetti scritti in quegli ideogrammi allora misteriosi, ci sono viceversa le offerte per le verdure di stagione piuttosto che lo sconto miracoloso sui pannolini. È il senso compiuto della vita che avanza e delle nuove esigenze di chi rende viva una città. Venezia è un posto meraviglioso, ma temo che stia diventando sempre più un fradicio monumento invece che una città. I veneziani la abbandonano, oggi le paludi non servono più a proteggere dalle incursioni di vandali che sono viceversa desiderati, mantenere in buono stato di conservazione gli edfici rappresenta un costo notevole difficilmente sopportabile, ciò che rende sono i negozi per turisti e quello che l’ospitalità fa convertire in denaro, ma vivere Venezia da veneziano è sempre più faticoso. Non so se sia una cosa triste, il denaro di per sé è soltanto il simbolo evidente della vitalità e dello stile di vita della città, delle sue esigenze. Nella mia città giace dimenticato uno dei più grandi anfiteatri romani; per un posto che vive di turismo è lasciare sepolta una attrazione che potrebbe portare flussi turistici e quindi buona economia, com'è successo per la Villa del Chirurgo che oggi è uno dei punti focali di visita al centro cittadino. Il cimelio storico fine a sé stesso e quindi dimenticato in fondo non è più monumento e soprattutto non è simbolo; in questo stato si arricchisce la classe politica che sottrae risorse per le cose di interesse pubblico, compreso la conservazione del patrimonio storico, così che le preservazioni più importanti, le nostre radici, devono cercare sponsor per sopravvivere.
Ti fa onore resistere con determinazione sugli spalti per difendere un pezzo del tuo cuore fatto di identità e di pesieri coerenti, ti fa onore proclamare il tuo disperato amore per difendere il diritto a pensare con la propria testa, cosa che succede praticando cultura lontano dalla televisione di massa che non consente dialogo, questo succede a teatro o in libreria e certamente ancora con una macchina fotografica usata in modo cosciente e non per farsi un selfie.
Ho imparato ancora una volta di più che all’Inverno si deve resistere perché la Primavera è per sua natura destinata a tornare ad offrire fiori a chi ha saputo aspettarla.
Stanno spuntando le margherite :)
 
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