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La voce di Megaride

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"ARGO" (dim.di LETARGO) il caporedattore de "LA VOCE DI MEGARIDE"/blog, coraggioso foglio indipendente, senza peli sulla lingua... ne' sullo stomaco!
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Cliccando http://www.box404.net/nick/index.php?b  si procede ad una originalissima elaborazione del nickname ANCESTRALE di una url. "La Voce di Megaride" ha ottenuto una certificazione ancestrale  a dir poco sconcertante poichè perfettamente in linea con lo spirito della Sirena fondatrice di Napoli che, oggidì, non è più nostalgicamente avvezza alle melodie di un canto ma alla rivendicazione urlata della propria Dignità. "Furious Beauty", Bellezza Furiosa, è il senso animico de La Voce di Megaride, prorompente femminilità di una bellissima entità marina, non umana ma umanizzante, fiera e appassionata come quella divinità delle nostre origini, del nostro mondo sùdico  elementale; il nostro Deva progenitore, figlio della Verità e delle mille benedizioni del Cielo, che noi napoletani abbiamo offeso.
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Storie di ordinario horror istituzionale

Post n°811 pubblicato il 20 Settembre 2008 da vocedimegaride
 

...carcerazione preventiva della "criminale" infanzia

Riceviamo da
Rafminimi13@libero.it e doverosamente pubblichiamo, associandoci nell’appello ai lettori
:” Leggete con attenzione il testo che segue. Ne sono rimasto profondamente colpito. Ho scelto di omettere i nomi di (QUASI) tutti i protagonisti e delle località, però, chi è interessato, troverà i riferimenti per saperne di più. Ho da fare una preghiera: chi vuole, chi può, cerchi di rendersi bene conto di come realmente  stanno i fatti e se ha la possibilità, faccia qualche cosa.DIO ci benedica!”

STORIA DI UN AFFIDO
Una giudice onoraria, da noi incontrata, nei mesi scorsi, ricoprente contestualmente i ruoli di docente universitaria, consulente presso l'ordine delle a.s., nonché curiosamente, presidente di una comunità per minori, ha detto che porterà la storia che riportiamo in seguito, agli studenti delterzo corso, quale esempio da non seguire. Ci auguriamo che possa essere un monito per tutti. Ogni genere di abuso trova nel silenzio il miglior alleato ..Ecco percHè abbiamo scelto di romperlo... non chiediamoci perché solo una famiglia affidataria su cinque è disposta a rifare affido dopo una prima esperienza... molte... troppe, sono le famiglie affidatarie gettate nel silenzio e  nella mortificazione che, hanno preferito dimenticare ..a loro pensiamo nel raccontare la nostra esperienza.. La bambina ci è stata affidata dal servizio affidi del comune di [CITTà DEL VENETO], nel 2002, con un progetto di lunga durata: almeno otto anni, ovvero, fino al compimento della scuola dell'obbligo. Quando varcò per la prima volta la soglia di casa nostra, l'assistente sociale che l'accompagnava, esordì  dicendo:  Omero, ha notato come le somiglia?.... vedrà presto la chiamerà papà. Era una bimba esile, tutta occhi e capelli saltava da una sedia all'altra e cantava "fratelli di taglia". La prima sera, vomitò. E' un'immagine che non ci toglieremo mai dagli occhi Ci era stata presentata come una bimba affettuosa, sempre alla ricerca del centro dell'attenzione, vivace, anche se caratterizzata da un lieve deficit cognitivo, che peraltro percorre tutti i componenti della famiglia così come si evince dal  progetto stilato dagli operatori. Il papà era mancato da pochi mesi lasciando la  madre sola ed incapace di affrontare la quotidianità. Quel vomito era la manifestazione del suo malessere: non aveva la sua mamma con se. Giovanna si era proposta di affiancare la madre dalle faccende domestiche all'uscita per un gelato con le bimbe. Rimase però inascoltata. L'idea di tenere insieme madre e figlie era nelle nostre corde e vedevamo nel rientro in famiglia della bambina il più naturale degli obiettivi. D'altronde cos'altro è  l'affido se non un aiuto a superare una momentanea difficoltà che, dopotutto può riguardare ognuno di  noi Giovanna ed io, avevamo da poche settimane concluso il corso di adozione. Avevamo però scelto di non darvi seguito, perchè al nostro orizzonte c'era lei, che ancora non avevamo conosciuto. Durante i primi mesi la mamma e la sorella incontravano la bambina, il sabato mattina, da noi. Facevano colazione, uscivano insieme, per poi rientrare nel tardo pomeriggio. La bimba era caratterizzata da dei tratti  fortemente oppositivi ed un comportamento spesso provocatorio. Da noi, per quattro anni,  sono volate spesso sedie e stoviglie. Secondo l'analisi degli operatori tale atteggiamento era indotto dall'incapacità di tollerare i comportamenti tipici del modello familiare...  forse, aveva solo bisogno di stare con la sua mamma. Dopo poche settimane, la sorella conobbe l'esperienza della comunità, al compimento del dodicesimo anno, in seguito ad un episodio, sul quale, mai, è stata fatta luce. L'educatrice della sorella, ci confidò che le stavano somministrando psicofarmaci (la comunità che l'accoglie è autorizzata alla sperimentazione di fali farmaci dal 1994). Quando gridammo allo scandalo, improvvisamente, l'educatrice scomparve e fu sostituita da una collega che naturalmente ci evitò con cura. La sorella era mite e remissiva. La bimba, da noi accolta, era stata allontanata perchè i suoi tratti oppositivi, costituivano un impedimento alla relazione fra le due. Quando la sorella iniziò a battere i piedi perchè voleva la  mamma, fu passata per psicofarmaci. Nel frattempo la sorellina che stava con noi, veniva contenuta a terra da Giovanna, quando i suoi scatti d'ira non erano altrimenti controllabili. La bimba in cinque anni non ha mai preso una sola aspirina. Le manifestazioni rabbiose della bambina continuavano a caratterizzare le nostre serate, in  particolar modo nei giorni precedenti l'incontro con la mamma. Sentimenti quali la solitudine, il fallimento nei confronti della bimba, accompagnati da una grande stanchezza cominciavano a farsi strada, in noi. Quando noi riportavamo ciò, nel corso degli incontri agli operatori, questi ultimi ci dicevano che sapevamo a cosa andavamo incontro facendo affido. Le richieste continue di vedere la mamma, di chiamarla al telefono, apparivano a noi più che  legittime. La negazione che a tali richieste, nostro malgrado, seguiva, ci procurava una grande frustrazione.... Avevamo rinunciato all'adozione per svolgere il nostro ruolo di "collante" nel percorso di affido, e ci ritrovavamo, invece, ad essere complici in un processo che divideva. Durante gli incontri periodici gli operatori mettevano in luce aspetti riguardanti gli stili di vita della famiglia d'origine, con la sola finalità di farcela apparire inadeguata, giungendo, a volte a deriderne taluni suoi componenti. Nonostante il nostro senso di frustrazione fosse palpabile, il progetto conobbe vari rinnovi... ma qualcosa stava cambiando... la bimba stava iniziando ad intrecciare relazioni amicali con taluni compagni di classe e mentre un tempo, preferiva i contatti con gli adulti, iniziava , ora, ad uscire il pomeriggio, a giocare con le bimbe dei vicini. Il suo rendimento scolastico andava decisamente migliorando, destando la meraviglia di tutte le  insegnanti. Acquisiva nuove abilità, a lei sconosciute che poi trasferiva nell'esperienza scolastica Si iniziava a stare a tavola, tutti insieme, amabilmente a conversare. In quei momenti la bambina era speciale, in modo particolare quando c'erano ospiti. Sono innumerevoli le circostanze che potremmo ricordare, in cui ricevevamo complimenti e  felicitazioni per la sua prontezza. I vicini , di lei, apprezzavano i bei modi gentili,. Aveva un saluto per tutti. Ci divertiva molto sentirla scimmiottare espressioni colte da noi. Insomma, tutto il vicinato le voleva bene. Piano piano aveva cominciato ad andare a scuola da sola. La mandavamo anche a fare, quindi, qualche piccola commissione, e l'indomani chi l'aveva incontrata aveva qualcosa di carino da raccontarci. La domenica andava a messa con la nonna Paola, con la quale aveva un rapporto speciale: era lei che le preparava il panino tutti i pomeriggi, da lei scendeva per vedere la televisione che noi non abbiamo. Con lei faceva delle grandi chiacchierate. Le raccontava del papà, della sorella, della mamma e dei nonni. Con l'approssimarsi della solennità della Prima  Comunione, la bambina, come tutti i suoi compagni nutriva grandi aspettative per quel giorno. Tutti non facevano che ripetere che lo avrebbero vissuto in modo speciale. Sarebbero andati chi in campagna, chi in un lussuoso ristorante, chi al mare e così via. Lei manifestò, così, il desiderio di avere per quel giorno tanto importante, la presenza della mamma, della sorella e dei nonni. Ci facemmo così interpreti dei suoi desideri, e girammo la richiesta ai servizi sociali un mese prima della solennità. La risposta non arrivava nonostante le nostre rinnovate richieste. La bambina, era inquieta; sapeva c he la decisione non spettava a noi. Arrivammo così alla vigilia. Lei ci disse: mi basta un panino al bar, ma con la mamma, mia sorella ed i nonni. Chiamammo, cosi, per l'ennesima volta l'assistente sociale. La loro presenza fu consentita nello spazio temporale della cerimonia in chiesa. Poi una foto ed ognuno a casa propria. Mi ritrovai così a consolare il nonno piangente sul sagrato. La giornata che appariva compromessa divenne invece motivo di gioia, dopo aver individuato all'ultimo momento un'idea felice per trascorrerla Il giorno successivo manifestammo con fermezza il nostro disappunto per quella scelta adottata dai servizi. Da quel momento diventammo inadeguati. La denuncia della somministrazione di psicofarmaci alla sorella e quest'ultimo episodio ci fecero apparire agli occhi degli operatori non più rispondenti alle loro aspettative. Da quel momento l'assistente sociale ci negò il saluto… più avanti pagheremo lo scotto delle nostre prese di posizione Quell'episodio rappresentò per la bambina un momento chiave. Da quel momento fece un ulteriore grande passo avanti grazie alla complicità che si era instaurata. C 'erano ancora quei momenti ma andavano scemando, e quando accadevano, dopo una lotta corpo a corpo a terra con mamma Giovanna il tutto finiva in un pianto ristoratore. Ultimamente si ritrovavano entrambi a piangere abbracciate. Poi la bimba chiedeva scusa Alle soglie della pubertà, io e Giovanna iniziammo ad interrogarci sulle nostre capacità di affrontare l'adolescenza della bambina. Saremmo stati in grado di fronteggiare da soli quella delicata fase? Ci inquietava ma allo stesso tempo, sapevamo di voler continuare ad essere per lei una presenza costante nel tempo. Dopotutto noi eravamo diventati mamma Giovanna e papà Omero, così come peraltro gli operatori avevano auspicato redigendo il progetto per la bimba. Vedevamo nell'inserimento della bambina presso una comunità, con il rientro nei fine settimana, e  durante le vacanze, la più idonea delle soluzioni. Esponemmo, quindi, la nostra riflessione agli operatori che, approvarono. Questa delicata fase sarebbe iniziata gradualmente, per andare a regime dopo qualche mese. Quando a Gennaio del 2007, in dirittura d'arrivo dell'anno scolastico [la bimba frequentava la quinta elementare presso le scuole di L-(sempre ovviamente in Veneto)], ancora non c'era all'orizzonte una via percorribile, iniziammo a preoccuparci. Quanto più si avvicinava la fine dell'anno scolastico tanto più l'allontanamento sarebbe stato vissuto come uno strappo... Quei mesi volarono La bambina fece il suo primo incontro con la comunità il 14 giugno ed il 15 vi entrò, senza più uscirne. Uscì di casa la mattina del 15 giugno stringendo in pugno, la coroncina che la nonna Paola le aveva messo tra le mani e, con un angioletto appeso al collo, che mamma Giovanna aveva comprato pochi giorni prima. Un secondo angioletto, uguale, se lo appese al collo Giovanna. In questo modo, il dolore per la lontananza, sarebbe stato affievolito. Quella mattina, c'eravamo tutti ad accompagnare la bambina a C., in comunità. C'erano anche  Marcello, Gianmaria in carrozzella ed i cani Lussi e Figaro. Quando fu il momento di lasciarci, lei scompigliò i capelli di Gianmaria, così come aveva visto fare la nonna Paola per cinque anni. In questi nove lunghi mesi abbiamo visto la bambina una sola volta, per un'ora: il 2 agosto, presso i servizi sociali di ... Improvvisamente i ruoli si invertirono: gli esclusi non erano più i nonni e la mamma, ma noi. Su di noi scese la notte. Quando chiamavamo i servizi per avere notizie della bimba, ci dicevano che stava bene e non chiedeva di noi. Tutti gli operatori avevano sempre affermato che non ci sarebbe mai stato rientro in famiglia di origine per la bimba. La dottoressa M..., in carica fino al 30 agosto, lo aveva anche gridato sulle scale il 14 giugno: Omero, toglitelo dalla testa. Quella bambina non rientrerà mai  con la madre Dietro l'angolo c'era e c'è tuttora per la bimba  l'istituzionalizzazione. Sono state vietate le visite anche alle compagne di classe, per mesi. Quando la mamma di una delle compagne si presentò in comunità, con due di loro, per incontrare la bimba, si sentì rispondere da Don G....., referente della comunità, che la bimba non c'era, trascorreva i fine settimana in una località segreta, mortificando il desiderio della signora a ritornarvi. Nell'occasione di uno degli incontri con la psicoterapeuta, la bimba aveva nel frattempo, scritto un biglietto, con la richiesta di farcelo pervenire. Quel biglietto fu poi, invece trattenuto per giorni e giorni, dalla dottoressa Castegnaro. La stessa si affrettò a portarcelo, personalmente, quando la informammo che ne eravamo a conoscenza. Pochi giorni dopo ricevemmo una cartolina, scritta dalla bimba nella quale scriveva: Voglio tornare a casa perchè non posso stare senza di voi. Presi dallo sconforto telefonammo ai nonni, che non ci avevano mai nascosta la loro gratitudine. Con loro avevamo vissuto un momento di intensa commozione, pochi giorni prima dello strappo. Notammo, però, fin da subito che ci erano diventati ostili Con l'inizio della scuola si aprì per noi la sola possibilità di vedere la bimba: piazzarci lungo il percorso del pulmino nel tentativo di catturare il suo sguardo Dopo pochi giorni, quando gli operatori vennero a conoscenza delle nostre iniziative intraprese, l'assistente sociale P. B, ci informò sull'esistenza di una lettera scritta dalla madre nella quale manifestava la volontà che la bimba non potesse vederci. Com'era possibile? La mamma della bimba aveva sempre tenuto con noi un atteggiamento più che cordiale. Ogni qualvolta incontrava la figlia non faceva che ripetere: saluta tutti a casa, dai un bacio a Gianmaria. Ci è stato negato di vedere la bimba anche nell'occasione delle festività natalizie. Dopo estenuanti insistenze abbiamo ottenuto il permesso di chiamare in comunità, il giorno del suo compleanno. Qualche giorno dopo sapremo che la bimba era paralizzata dall'emozione, ed altrettanta ne aveva riconosciuta nella voce di Giovanna Dopo quella telefonata è stato un susseguirsi di affermazioni e di smentite, di lusinghe ed infine di volgarità. pur di distogliere la nostra attenzione dalla bimba, l'assistente sociale ci ha proposto l'affido di una creatura, un bimbo idrocefalo, di 21 settimane abbandonato dalla madre dopo il parto. Aveva appena subito un intervento. Comincia a pensarlo perchè ne ha bisogno, aveva detto a Giovanna, la B. Giovanna, già all'opera con lana e ferri, per tessere un berrettino aveva risposto: lo sto già facendo da quando me ne hai parlato la scorsa settimana. Due settimane dopo, la B. dirà che si era fatta prendere dall'emotività, che il bimbo era più morto che vivo, che era in vita solo grazie all'accanimento dei soliti medici obiettori clericali, che lei l'avrebbe lasciato alla sua sorte, che doveva subire decine di interventi, che un medico era stato nominato tutore e che infine mai l'avrebbe affidato a noi. Mentre due settimane prima aveva affermato che la nostra esperienza nel mondo dell'handicap ci faceva apparire adeguati a prenderci cura di quella povera creatura, della quale ci aveva fornito le generalità,dirà poi che non lo siamo ne per lui, ne per altri. Avete lavorato bene fino al quarto anno (episodio Prima Comunione ); dopo di che vi siete sovrapposti agli operatori, dimostrandovi inadeguati. Nelle settimane a cavallo dello strappo, la dottoressa M..., ci aveva proposto una collaborazione a C. ed un'altra poi al villaggio sos. Avevamo iniziato a fare affido prima ancora di sostenere il consueto corso. Era stata proprio la B, a catturarci nel 2001 quando noi le avevamo chiesto un aiuto per dare un sollievo alle giovani coppie che si trovavano a fronteggiare la nascita di un figlio portatore di handicap.. Ad oggi, la bimba è sotto ricatto. Se ci vedrà, la mamma non la premierà.....non si sta per sempre in comunità.. ci aveva detto la bimba il 2 agosto. Sembra invece che Don G. abbia affermato che possa essere trattenuta fino al ventunesimo anno di età. Se dovesse rientrare in famiglia d'origine, noi saremo i primi a gioirne. Una cosa è certa, non tollereremo che la bambina diventi una voce di bilancio della cooperativa R. [...Ho scelto di omettere dei particolari a mio parere troppo personali  e, tutto sommato, secondari...] Non può diventare un alibi per garantire un posto letto coperto alla cooperativa R, alla quale il comune di  e l'ulss riconoscono una retta giornaliera prossima a 120 euro/giorno. La legge 149/2001 assegna ai servizi affido il compito di facilitare il dialogo fra la famiglia di origine e la famiglia affidataria, non di mettere l'una contro l'altra. La legge 149/2001 nata per dare a tutti i minori in difficoltà una famiglia, ha visto invece crescere a dismisura comunità e case famiglia, particolarmente in Veneto dove 2 minori su 3 sono in comunità. La regione Piemonte attraverso politiche virtuose, ha fatto precipitare in pochi anni il numero degli inserimenti in strutture. Solo un minore su tre, infatti, è collocato in comunità. Lo stato spende oggi più di 500 milioni di euro/anno per tenere i minori lontani dai loro affetti Il Veneto ne spende da solo 24 milioni. Sia rivalutato il ruolo della famiglia affidataria, come ha saputo fare la regione Piemonte. I bambini non possono finire nelle mani dell'industria della solidarietà. - ANACRUSI associazione di promozione sociale  3384296616 http://www.anacrusi.org  - info@anacrusi.org

 
 
 
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PREMIO MASANIELLO 2009
Napoletani Protagonisti 
a Marina Salvadore

Motivazione: “Pregate Dio di trovarvi dove si vince, perché chi si trova dove si perde è imputato di infinite cose di cui è inculpabilissimo”… La storia nascosta, ignorata, adulterata, passata sotto silenzio. Quella storia, narrata con competenza, efficienza, la trovate su “La Voce di Megaride” di Marina Salvadore… Marina Salvadore: una voce contro, contro i deboli di pensiero, i mistificatori, i defecatori. Una voce contro l’assenza di valori, la decomposizione, la dissoluzione, la sudditanza, il servilismo. Una voce a favore della Napoli che vale.”…

 

PREMIO INARS CIOCIARIA 2006

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A www.vocedimegaride.it è stato conferito il prestigioso riconoscimento INARS 2006:
a) per la Comunicazione in tema di meridionalismo, a Marina Salvadore;
b) per il documentario "Napoli Capitale" , a Mauro Caiano
immagine                                                   www.inarsciociaria.it 

 

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DEDICATO AGLI EMIGRANTI

 

NOMEN OMEN

E' dedicato agli amici del nostro foglio meridionalista questo video, tratto da QUARK - RAI 1, condotto da Piero ed Alberto Angela, che documenta le origini della Nostra Città ed il nome del nostro blog.

 

IL MEZZOGIORNO CHE DIFENDIAMO

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vuoi effettuare un tour virtuale e di grande suggestione tra le numerose bellezze paesaggistiche, artistiche ed architettoniche di quel Mezzogiorno sempre più obliato dalle cronache del presente?
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I consigli di bellezza
di Afrodite

RITENZIONE IDRICA? - Nella pentola più grande di cui disponete, riempita d'acqua fredda, ponete due grosse cipolle spaccate in quattro ed un bel tralcio d'edera. Ponete sul fuoco e lasciate bollire per 20 minuti. Lasciate intiepidire e riversate l'acqua in un catino capiente per procedere - a piacere - ad un maniluvio o ad un pediluvio per circa 10 minuti. Chi è ipotesa provveda alla sera, prima di coricarsi, al "bagno"; chi soffre di ipertensione potrà trovare ulteriore beneficio nel sottoporsi alla cura, al mattino. E' un rimedio davvero efficace!


Il libro del mese:



 

 
 
 
 

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