Ma che bello quando il nostro cinema torna a rappresentare cose appena appena un po' più vere, cose "altre" dalle solite famiglie per bene con case ai Parioli, figli/e adolescenti isteriche e liceali, cose diverse dai tradimenti di coppia e dalle crisi esistenziali dei trentenni prima e dei quarantenni poi. La Sicilia, Palermo sempre bella e sudata anche nei suoi angoli più cadenti fa da sfondo perfetto a questo dramma costruito su una questione di viabilità stradale. Una strettoia che è allegoria di uno dei tanti punti critici a cui giunge talvolta la vita. Attorno al dramma la fauna "umana" dà nel frattempo il meglio di sé, dalla pulizia delle seppie (con relativi spaghetti al nero di) all'organizzazione di una riffa per lucrare sul testa a testa in corso. I difetti sono poca roba, perlopiù cose tecniche di fonici e bisbigli ma la somma è notevole e il film è assolutamente bello, quasi lurido, anche onesto nel raccontare il ritorno alla normalità, la fine delle cose. Quando la scena riprende le dimensioni originarie, quelle pre-dramma. Vai così, Emma! |
Uno va a vedere 'sto film carico di fazzoletti, memore dei precedenti del regista e poi si ritrova ad usarli solo per il raffreddore. Questo non vuol dire necessariamente che sia un brutto film, anzi, trattandosi di roba italiana siamo ad un livello decisamente accettabile: la mano è ferma nel dirigere e gli attori sono veramente bravi, anche belli, il tutto con un sottile velo di patinato. Ciò che non ha funzionato, a modesto avviso di chi scrive, è stato il tentativo di voler rappresentare la storia della propria famiglia (quella dell'autore) illudendosi di mantenere tutto il distacco che richiede un'impresa del genere. Senza fare psicanalisi spicciola, agli occhi di un maschietto il ricordo del papà funziona diversamente da quello della mamma. E se tua madre ha vissuto alcune vicissitudini personali di tipo mooolto intimo mentre avevi 9-10 anni non è che prendi e le metti tanto facilmente in un film. Ecco, il ricordo di papà ha funzionato, quello di mammà un po' meno. Insomma, ci si accontenta. |
Purtroppo si può andare solo di poco oltre il plauso alle buone intenzioni. C'è una certa originalità nel montaggio e nella scelta delle immagini ma si insiste su cose che dovrebbero essere ormai vietate, come la tenda della doccia con l'acqua che scorre o l'inquadratura dall'abitacolo mentre si attraversa Milano. E prendiamocela con il budget risicato, ma il tax credit e il "riconoscimento come film d'interesse" rendono ancora più amara la pillola. Lo stimatissimo Battiston sembra di passaggio. Silvio Orlando fa Silvio Orlando. Quella che fa la figlia di Silvio Orlando è una cagna. Andiamo avanti. |
Scrivere qualcosa di Sorrentino è come scrivere dello Ius soli, del sindaco De Luca, della frittura di pesce con o senza limone, del sugo con l'aglio o con la cipolla, di Grillo, delle correnti del PD, dell'Alfa Romeo, della Ducati, delle Hogan, di Saviano e di altre centinaia di cazzate su cui non si troverà mai un parere unanime nel raggio di centinaia di Km... Secondo me è semplicemente "genio", dotato di una capacità straordinaria di rendere in parole (i romanzi) e immagini estremamente potenti ciò che gli attraversa la mente. Ecco, al massimo il problema potrebbe essere "ciò che gli attraversa la mente" ma trattandosi di idee sento di dovergli lasciare il beneficio della licenza poetica o registica. Il film migliore continua ad essere, per quanto mi riguarda, "Le conseguenze dell'amore" (e non solo per la splendida Olivia Magnani) ma a partire da "Il Divo" c'è stato un continuo crescendo di risorse economiche che gli hanno consentito di strafare con la Produzione: sempre più roba, sempre più pellicola, sempre più attori di grido e così via. E' normale quindi che a qualcuno possa cominciare a stare sulle palle, siamo pur sempre in Italia e l'invidia vince facile. Con "La grande Bellezza" ha voluto occuparsi dell'effimero, di quella stronza di Roma che ti strega e ti stende quando ti lascia a secco. Quella Roma godona e magnona di cui i reportage Cafonal di Dagospia ci regalano sublimi scatti, politici falliti o di quarta fila, grandi firme maestre di opportunismo, nobili decaduti magari anche a noleggio, meteore dello spettacolo, ex qualcosa e prossimi chissacché. Se n'è occupato con grandissimo sfarzo, abbondanza di facce, corpi e ambientazioni più o meno funzionali ma sempre e comunque potenti e mai, mai fuori luogo. Fatale arriva la frustrazione, il "cosa ho fatto in tutti questi anni" e la ricerca di una possibile redenzione per via spirituale... Insomma un grande libro, tanti capitoli che si fanno leggere golosamente ma (sorpresa) è un film! Destinato a far discutere e quindi a vivere a lungo. Genio. Ah già, dimenticavo Servillo. Che palle. Temo di incontrarlo di notte mentre vado in bagno, è ovunque, farà la fine di Morgan Freeman. Che palle, ma tant'è. Genio (Sorrentino).
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Buon esordio alla regia di Valeria Golino. Intendiamoci, il film è imperfetto ma siamo a un livello decisamente buono considerando quanto viene mediamente distribuito nelle sale come made in Italy. La Golino si è davvero impegnata e le scelte registiche, i quadri, i tagli e quant'altro sono di una certa qualità. Il tema è coraggioso e affrontato senza paure. Le recitazioni sono di ottimo livello, Jasmine Trinca è brava e alcune sequenze sono degne di nota, più di tutte quelle dove lei agisce da "angelo" della (dolce) morte: la contrapposizione spaziale estrema tra lei e la "vittima", il viso tormentato... insomma ha funzionato bene. Buone le altre prove d'attore, forse di un personaggio si poteva fare a meno, chissà. Unico appunto serio che sento di muovere è al fenomeno dei dialoghi "bisbigliati": o abbiamo fonici di presa diretta che fanno davvero schifo o c'è la convinzione (diffusa tra i registi quaranta/cinquantenni) che recitare a bassa voce costringa lo spettatore a tenere desta l'attenzione, davvero non so ma l'effetto è snervante, parlate più forte cazzo! |
Sfiziosa opera prima dalle diverse sfaccettature: apologo sulla sorte del nostro disgraziato pianeta, avventura fantasy guidata dallo sguardo dei bambini, saggio di resistenza umana contro la Terra matrigna e altro a piacere, dipende dagli occhi di chi guarda. Ambientato nell'umida Louisiana vessata da uragani a ripetizione, si inneggia alla resistenza e si aspetta la fine facendosi beffe delle tragiche conseguenze. Originale e interessante, si fa seguire con curiosità e inaspettatamente intenerisce. Da vedere.
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Un peccato, diverse buone cose strozzate da una sceneggiatura che, specie nel capitolo del "cattivo" Gosling, patisce seri problemi di credibilità e spigoli tagliati con l'accetta. Verrebbe quasi da sospettare che la troupe di "creativi" trovatasi con abbondanti risorse economiche tra le mani si sia ritenuta in dovere di metterci tanta roba, inevitabilmente troppa. Il capitolo "Bradley Cooper" è forse il migliore (del trittico): siamo nell'ambito della ragionevolezza e della consuetudine, con sbirri corrotti e arrivismo tutto d'un pezzo, qui il gioco era facile. Così così il finale, con i pargoli dei due capitoli precedenti che arrivano alla resa dei conti, ma tra "Era mio padre", "Elephant" e un centinaio di altre cose da cui prender spunto è risultato tutto un po' troppo, un po' tanto. Un vero peccato. Lode infine a Eva Mendes, due occhi profondissimi, anche con canottiera senza reggiseno. |
Il tipico film che si va a vedere perché c'è Servillo, quel film che dici "ma è quello con Servillo?". In omaggio poi, crepi l'avarizia, di Servillo ce n'è un altro per un totale di ben due Servilli. Ah già, il film... che dire, una politicamente corretta lettura della situazione nazionale dove un partito condannato perennemente all'opposizione (in primo luogo all'opposizione verso se stesso) balza incredibilmente in testa ai sondaggi (tipo 66%) grazie ad una sana iniezione di follia da parte del suo segretario che però non è il vero segretario. Il vero segretario, intanto, fugge depresso verso il cinema francese della sua gioventù, come un Veltroni qualsiasi. Trascurabile, e mi trattengo. |
Caso di eccezione alla regola di questo diario di non tracciare film di cui l'estensore possieda dispensa cartacea... quindi un capolavoro! Salubre cinema di immagini e ritratti semplici, tormenti, nevrosi e assoluta normalità. Percorso coinvolgente nel pathos di insegnanti, adolescenti e ambienti devastati. Assolutamente inutile parlarne. |
Non lo stile a cui ci ha abituato Gus Van Sant, questo è un problema. Sia per tema trattato che per livello di recitazione l'opera è comunque godibile ma perché tarparsi le ali in questo modo? Il racconto è dominato dal denaro, tema freddo per eccellenza, ma stilisticamente siamo un po' troppo piatti. Bei volti, bel verde, lieto fine... insomma, ti abbuono questa ma sei più forte quando prendi a schiaffi il pubblico, vecchio Gus. |
Vorrei non essere drastico ma questo film è una truffa. Complici altre proposte cinematografiche "sospette", gli oscar (candidature a) sulla locandina, un'astinenza involontaria dalle sale e una certa unanimità nei pareri positivi ci si è infine fatti convincere. |
Nicolai Lilin è un giovane scrittore caratterizzato da una gigantesca faccia di culo: nonostante risulti poco credibile che quanto narrato nei suoi libri sia effettivamente la sua vita vissuta ha avuto comunque il merito di introdurre roba fresca nel panorama dei criminali "buoni", quei "cattivi" alla Robin Hood, i fuorilegge con un'etica, qualunque essa sia. Ricordo che quando uscì il suo "Educazione siberiana" lo acquistai proprio perché l'argomento dei russi cattivi era per quel che mi riguardava abbastanza nuovo. Il libro mi piacque, anche il successivo (dove faceva il cecchino nell'esercito russo) ma la novità finì lì, si cominciava a sentire puzza di "maniera". |
Alla Bigelow piacciono i soldati. "The hurt locker" è stato un buon film, ambientazione guerra in Iraq ma bei personaggi, stress a manetta e zero trionfalismo yankee. Con questo "Zero Dark Thirty" è inevitabile la deriva verso la vulgata dell' "americanata", se non altro per il tema del trionfo (tardivo, ammesso che sia tutto come ci raccontano...) per eccellenza, l'uccisione dello sceicco del terrore. |
Prima di entrare in sala vedi che dura oltre 140 minuti, cerchi la locandina e leggi: "Lincoln", "Steven Spielberg", "Daniel Day Lewis" e capisci che stai per vedere la classica megaproduzione che si propone di fare incetta di premi Oscar (il buon Spielberg, essendo uno che la sa lunga ma lunga assai, è anche produttore). |
La vendetta è l'arma vincente. Lo fu in Kill Bill (secondo me ancora il migliore), lo è in Django. Quentin Tarantino lascia chiaramente percepire in ogni sequenza quanto stia sessualmente godendo di ciò che sta girando e inevitabilemente tale eccitazione finisce con il travolgere anche lo spettatore. Nella malaugurata ipotesi poi che lo stesso povero spettatore abbia in comune con il regista la passione per uno stesso tempo-che-fu cinematografico allora non può esserci altro che godimento continuo fino al naturale sfinimento. E se il piacere cinematografico potesse misurarsi con la quantità di tempo spesa con il busto proteso in avanti, dimenticandosi dello schienale della poltrona, allora qui siamo su valori decisamente alti. |
Anche questa volta Tornatore impiega quasi un'ora più del necessario per dire ciò che voleva dire. Come in Baaria (fortunatamente con qualche centinaio di attori in meno a cui concedere il cameo) la magnificenza della messa in scena riempie lo sguardo, la bravura del protagonista è incontestabile e la storia comincia perfino ad appassionare lo spettatore. |
I Castellittos (moglie ai Soggetti, marito alla Regia e alla Recitazione insieme con il figlio) ne hanno fatta un'altra e sempre con Penelope Cruz. |
Andare a vedere un pompatissimo 007 in un multisala presso un centro commerciale in un giorno festivo ha sempre un suo perché che va dall'autolesionismo alla ricerca antropologica, ma veniamo alla pellicola: a me questo Craig convince, ha l'aria imperturbabile che deve avere James Bond. E' priva del ghigno alla Connery ma ciò che perde di ghigno lo guadagna in faccia di granito. Product placement a manetta, spettacolo a non finire (un inseguimento in Enduro sui tetti di non ho ben capito quale città turca, per dirne una) e inediti aspetti di età avanzata che fanno capolino. Il cattivo di turno è Bardem, premiato dal volto che dice tutto. C'è quanto serve per obnubilare quel che resta dei propri neuroni per circa 140 minuti, cullati tra esplosioni e raffiche di armi di ogni tipo. Inutile esprimere un qualsiasi giudizio critico, popcorn e basta. |
A me piacciono i film di Virzì. E' un lavoratore onesto che sa tenere in continuo movimento la macchina da presa, ha ritmo, tira fuori il meglio dai suoi attori e soprattutto ritrae con notevole fedeltà il contemporaneo, senza coloranti da fiction TV. Fa commedie agrodolci, le stesse con le quali gli USA e i multisala ci riempiono la programmazione da sempre, quelle per il classico pubblico "medio", non troppo ricercato, non troppo dozzinale. |