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La cultura dell’accoglienza che distrugge i popoli

Post n°1226 pubblicato il 29 Giugno 2015 da kiwai
 

 

 

Voglio sintetizzare qui un articolo di Francesco Borgonovo, apparso su Libero di qualche giorno fa, è una lucida analisi della “sinistra cultura dell’accoglienza”.

Meditate gente .. meditate!

Il 23 scorso si è celebrata - con grande abbondanza di manifestazioni pseudo artistiche e sfilate di star impegnate nel sociale - la Giornata mondiale dei rifugiati al grido (boldriniano) di:

“Noi come voi siamo tutti migranti.”

È un’offensiva pseudo-culturale.

Slogan, parole d’ordine, mantra da scandire, frasi da piantare nel cervello degli italiani affinché ne scaturisca rigogliosa la pianta dell’accoglienza, dimenticando che nel solo 2014, l’Italia ha speso per l’assistenza agli sbarchi 746.172.000 euro, 2.288.000.000 dal 2011 al 2014 ….

Cifra con la quale si sarebbero potuti creare nel continente africano, oltre un milione e ottocentomila posti di lavoro, che avrebbero sostenuto qualcosa come dodici milioni di persone.  

Invece questi soldi li spendiamo per ingrassare le cooperative rosse e bianche, intrallazzatori mafiosi, albergatori paraculi .. e concerti di “solidarietà” ... secondo i dettami della Presidenta Boldrini, di Cecilia Strada e del grigio Mattarella.

È l’ideologia dominante (non maggioritaria) dell’accoglienza indiscriminata, creata da una élite intellettuale e benestante che ha fatto dello sradicamento e del «nomadismo» le proprie bandiere, una malattia mentale che serpeggia per l’Occidente ... altro che la «scabbia mentale fascioleghista» di cui bercia Gad Lerner. 

L’accoglienza indiscriminata è un prodotto squisitamente occidentale, la nefasta fusione di internazionalismo marxista e capitalismo sfrenato, quella di una élite per cui la patria è il mondo intero, per cui la delocalizzazione dell’anima è il primo passo verso la realizzazione.

Il concetto di nazione va superato, dicono, così come quello di comunità.

Libera circolazione delle merci e degli uomini, dunque.

Peccato che tra la merce e l’uomo, alla fine, non si faccia alcuna differenza.  

Il “creativo” deve essere sempre pronto a partire, a spostarsi, a cambiare vita e lavoro: nomade, insomma. Ovviamente con un superstipendio e magari con il conto corrente in un paradiso fiscale, la casa a Miami, il capoufficio a Palo Alto e la scrivania a Parigi, che fa tanto Bohème.

La differenza non esiste più.

O, meglio, esiste come patina: l’individuo, si dice, ha diritto di «esprimere se stesso», ha diritto alla propria originalità. Che si risolve, per lo più, nell’omologazione: gli impiegati di Google possono andare al lavoro in camicia hawaiana e calzoncini, ma è pur sempre una divisa.

La differenza vera è osteggiata.

Il patrimonio culturale è un fardello: va bene se produce il ristorante orientale sotto casa, meno se si esprime sotto forma di differenti tradizioni.

Ma poiché l’Occidente è il centro del globo e il responsabile di tutti i mali, deve porvi rimedio: per esempio accogliendo gli immigrati, i quali arrivano qui, si dice, in virtù di guerre e carestie provocate per lo più dall’Occidente.

Lo sradicato dell’élite creativa, ovviamente progressista, si sente vicino al «migrante», e si sente colpevole. Quindi espia i suoi peccati accogliendo.

Risultato:

la civiltà europea viene erosa da due parti. Prima dagli individui che la compongono. Poi da quelli che arrivano da fuori.

In fondo, il creativo nomade non ha tempo né voglia di fare figli, gli immigrati allora non solo vanno accolti, ma «servono».

Come forza lavoro sostitutiva, se non come schiavi da far lavorare gratis (a discapito dei lavoratori occidentali), come propose un ministro italiano poco tempo fa e come ribadiva la Caritas nel suo decalogo sull’immigrazione, dicendo che i «migranti» vanno «ospitati in esperienze di volontariato civico a favore delle comunità d’accoglienza».

Si attua così la «Grande Sostituzione».

A un popolo se ne sostituisce un altro.

Anche perché l’immigrato, a differenza dell’europeo «internazionalista», alle sue abitudini e tradizioni ci tiene eccome, e vuole conservarle anche nei Paesi in cui si stabilisce.

In questo quadro, il profugo è l’eroe del nostro tempo.

Egli è la «vittima» perfetta del Maschio Bianco Occidentale (ovvero il Demonio), e allo stesso tempo è il modello da seguire, l’«avanguardia» di una nuova civiltà, come ha teorizzato la Boldrini.

Il profugo supera i confini, che l’élite vorrebbe distruggere per diffondere l’omologazione vestita da compassione.

Questa è la cultura da combattere.

La frontiera non impedisce di scambiare conoscenze e ricchezze. È la migrazione che fa perdere tutto.

Ecco perché lo straniero andrebbe aiutato nel suo Paese, di cui dobbiamo rispettare il governo e le usanze, pretendendo che anche le nostre siano rispettate.

Altrimenti, saremo profughi a casa nostra.

 

http://www.liberoquotidiano.it/news/opinioni/11803373/La-cultura-dell-accoglienza-che-distrugge.html

 

 
 
 
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QUANTO COSTA
LA LIBERTA'???




La morte di un prigioniero di
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carcere per le sue idee, senza
aver commesso alcun reato.
Orlando Zapata Tamayo,
42 anni, fù arrestato durante
la primavera del 2003 e condannato
a tre anni di carcere.
Durante la prigionia a causa della
sua attività di dissidenza nel
carcere, gli furono aggiunti altri
anni di detenzione fino a un totale
di 30 anni di reclusione.
BASTA YA!

 


 

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