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DATECI UN GLOBAL DAY AL GIORNO

Post n°1824 pubblicato il 21 Giugno 2017 da kayfakayfa

Oggi 21 giugno 2017 si celebra il Global Day, la giornata mondiale della SLA, sclerosi laterale amiotrofica, per sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale verso questa terribile malattia, (solo in Italia 6 mila casi).

In tutto il mondo sono 67le associazioni di pazienti affetti da SLA – in Italia ce ne è solo una, AISLA presieduta dall'ex calciatore Massimo Mauro – che con il sostegno di familiari e sanitari hanno come obiettivo rendere pubbliche le problematiche dei pazienti e dei loro familiari.

Un'iniziativa assolutamente lodevole, che merita l'incondizionato sostegno di tutti noi.

Anche perché le problematiche dei malati di SLA e dei loro parenti sono molti simili a quelle di pazienti affetti da altre malattie neurodegenerative, ad esempio l'alzheimer.

Mi permetto di scrivere ciò avendo perso nel 2010 papà con l'alzheimer, dopo un lungo calvario durato più di otto anni dal momento della diagnosi a quello della sua scomparsa.

Papà era un uomo attivo,amante dello sport e dell'arte. Una persona introversa e pudica che,viveva unicamente per la famiglia. I suoi unici svaghi, la partita di pallone il sabato pomeriggio, e a volte la domenica, con gli amici sui campi di calcio dell'ex poligono di Cavalleggeri d'Aosta;dipingere e andare per mostre e per musei, da solo o portando con sé mia sorella e me quando eravamo ancora ragazzini. È grazie a lui se conosco posti di Napoli tuttora ignoti a molti.

Quando iniziarono a manifestarsi i primi sintomi del male - problemi di deambulazione e depressione - unitamente ai medici cui ci rivolgevamo per capire cosa stesse succedendo, inizialmente pensavamo che tutto quello fosse una reazione inconscia di papà all'essere andato da poco in pensione: un rifiuto incondizionato alla nuova vita.

Tuttavia quando iniziavamo a raccontare dei tanti hobby e interessi che coltivava, i medici erano concordi nel sostenere che per una persona con come lui la pensione doveva rappresentare un momento di liberazione anziché di sofferenza in quanto avrebbe finalmente avuto a disposizione tuttoil tempo che voleva per dedicarsi alle proprie passioni. Quindi lostato depressivo in cui versava era incomprensibile.

Fu solo dopo un'analisi particolare che apprendemmo la tremenda verità: da allora iniziò un calvario che si concluse alle 4 del mattino dell'8 maggio 2010,quando papà si spense nel letto di casa e le mie mani gli chiusero per sempre le palpebre.

In quegli otto anni che seguirono alla diagnosi, il calvario, sia per lui che per noi, crebbe in maniera esponenziale. Soprattutto per mia madre e mia sorella che,non mi vergogno ad ammetterlo, si accollò gli impegni maggiori tipo andare dal medico per farsi prescrivere le ricette, recarsi alla ASL per ritirare i medicinali e quant'altro.

Personalmente quando andavo a casa dei miei genitori mi fermavo pochi minuti, giusto il tempo per un saluto e subito scappavo via: trovarmi al cospetto di quell'uomo il cui sguardo spiritato testimoniava le tenebre della sua mente, con i pannoloni che fuoriuscivano dai risvolti dei pantaloni,il quale si ostinava a voler fare i bisogni nel water, facendo un macello, era una sofferenza dalla quale cercavo di fuggire non appena potevo.

So che mia sorella spesso si lamentava con mamma di quel mio modo di fare; e so che mamma mi giustificava, dicendo, “non è cattiveria, sulamente è che nun so fire e vedè accussì” (non è cattiveria, solo che non riesce a vederlo in queste condizioni).

Era vero! Per me quell'uomo malato, la cui mente confondeva sempre più il passato con il presente, non era mio padre. E quando, per via del cedimento del femore, mamma cadde e fu ricoverata, costringendomi ad alternarmi con mia sorella al capezzale di papà, ho sempre pensato che si trattava di un sottile disegno del destino per costringermi ad assumermi le mie responsabilità di figlio.

Per quasi cinque anni,mattina e sera, sono stato vicino a papà, vedendolo consumarsi lentamente come una candela.

In quegli anni ho condiviso con i miei familiari il dramma fisico e morale che malattie simili inoculano in un ambiente familiare, non solo nell'ammalato.

Per quanto puoi cercare un badante per sgravarti, seppure in parte, da quell'enorme peso –la tua libertà di individuo va a farsi benedire -, alla fine le problematiche da affrontare restano comunque tante. A partire dai soldi per comprare i pannoloni, all'assistenza a domicilio di un infermiere e di un fisiatra per evitare che le giunture e i muscoli si irrigidiscano in maniera irrimediabile.

Tutte cose che dovrebbe passare l'ASL ma per le quali spesso, almeno per quanto concerneva i pannoloni, dovevamo anticipare noi i soldi visto che quando ci recavamo a ritirarli mancavano.

Senza contare la solitudine che circonda chi ha la sventura di vivere un dramma simile: le tante belle parole di conforto servono a poco, il problema è esclusivamente di chi lo vive. Confidare nell'aiuto degli altri è speranza vana. Ma è giusto che sia così, ognuno ha una propria vita da vivere, ed è suo diritto viverla!

All'inizio ho messo in evidenza che papà era persona “introversa “ e “pudica”. Ci tenevo a sottolinearlo in quanto, se all'epoca in cui la malattia iniziò a manifestarsi papà fosse stato relativamente lucido, se solo immaginato che un giorno mia sorella e io lo avremmo pulito e lavato intimamente e lo avremmo aiutato a defecare con le nostre mani, forse, in un lampo di lucidità, avrebbe compiuto un gesto inconsulto.

La fortuna di papà – è paradossale ma, in questo caso, debbo per forza usare il vocabolo fortuna – è che nel suo caso a degenerare contemporaneamente al fisico era la mente.

Viceversa, che io sappia,un ammalato di SLA ha invece la sventura di restare mentalmente lucido fino all'ultimo respiro. Per cui la sua sofferenza è raddoppiata, presumo come quella di chi gli sta vicino.

Papà in pochi mese mentalmente non fu più in sé. Le sue sofferenze furono soprattutto fisiche, per lo più indotte dalle piaghe da decubito. E quando dico“piaghe” uso un eufemismo visto che, soprattutto dietro alla schiena, per quanto mamma vigilasse affinché noi e le badanti rigirassimo papà su ambo i fianchi per prevenire le piaghe, si aprirono delle vere e proprie voragini di carne che in alcuni punti mostravano il bianco dei nervi.

Solo chi ha vissuto e vive un simile inferno può comprendere il dramma che coglie qualunque famiglia in cui vi sia un ammalato che necessita di cure ininterrotte 24 ore su 24.

Ecco perché ritengo che quella di oggi non dovrebbe essere esclusivamente la giornata per sensibilizzare il mondo sui problemi di chi soffre di SLA bensì di chiunque è colto da una malattia neurodegenerativa e, in generale,fosse affetto da qualsiasi malattia che inesorabilmente lo accompagnerà verso la fine.

Le malattie neurodegenerative minano la dignità dell'ammalato in quanto attaccano il cervello, esasperando le sofferenze dei familiari che null'altro possono fare se non assistere inermi il proprio caro fino al momento del trapasso, cercando di regalargli un minimo di sollievo con una carezza o un sorriso forzato.

Sofferenze amplificate dalla rigidità burocratica e dalle tante mancanze di uno Stato il quale spesso si mostra incapace di tutelare quanti hanno la sventura di vivere simili tragedie. Pertanto, mi dispiace dirlo, non ci si deve stupire se alcuni scelgono, per godere di un ultimo barlume di dignità, come estrema ratio la morte, come dimostrano i casi di WelbjdjFabio e tanti altri malati costretti coscientemente a vivere una vita da vegetali.

Non ci si stupisca se al cospetto di quei “cadaveri viventi” dai corpi incartapecoriti, un familiare in un momento di disperazione invoca Dio affinché ponga fine a quella vita non vita. Non è egoismo , o solo egoismo. Quell'implorazione è un disperato atto d'amore da parte di chi sa che tutto ciò che fa non serve che ad allungare l'agonia del proprio caro; che darebbe chissà che pur di non vederlo più soffrire.Magari sarebbe finanche disposto ad accompagnarlo in Svizzera o altrove dove l'eutanasia è consentita.

Facile giudicare da parte di chi funge da mero spettatore dei drammi altrui!

Chi si preoccupa di offrire una morta dignitosa al capo dei capi Totò Riina, pensasse a quelle tante persone che, pur non avendo commesso alcun crimine,affette da malattie che rendono la loro vita un vero inferno, insieme ai loro cari che le assistono, sono condannate a vivere un'esistenza disperata perché in questa società la voce dei deboli e dei disperati non ha alcun amplificatore

Oggi si celebra il Global Day. Forse sarebbe il caso lo si celebrasse quotidianamente. Non è detto che, alla lunga, l'eco dei disperati non inizi a trovare finalmente riscontro!

 
 
 
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