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DONALD TRUMP, I LIMITI DELLA DEMOCRAZIA

Post n°1803 pubblicato il 10 Aprile 2017 da kayfakayfa

All’indomani dell’inattesa vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane, in tanti iniziammo a chiederci se quella nomina non rappresentasse l’inizio della fine. Nel senso che, visti gli argomenti razzisti, maschilisti e guerrafondai sviscerati da Trump in campagna elettorale, quell’elezione non rischiava di minare i già fragili equilibri di pace nel mondo, risultando ilpossibile innesco per un conflitto planetario.

Questo dubbio veniva lenito dagli infiniti esperti di cose americane – per intenderci, quegli stessi che prima avevano pronosticato come remota, se non addirittura impossibile, l’eventualità che Trump vincesse le primarie repubblicane;  quindi, una volta che le aveva vinte, ritenevano altrettanto improbabile, se non addirittura impossibile la vittoria del tycoon sulla democratica Clinton – i quali, sempre in virtù della loro “insuperabile” esperienza in cose americane, garantivano che, avendo la democrazia americana dei forti anticorpi a eventuali derive dittatoriali, mai sarebbe stato concesso al Presidente la possibilità di scatenare l’inferno; che nell’attimo in cui questi avrebbe cercato di soverchiare i fondamenti costituzionali, quegli anticorpi rappresentanti dal congresso, dall’opposizione interna nel proprio partito, dalla giustizia e dalla stampa, ci avrebbero pensato loro a fermarlo.

E così era sembrato quando un giudice si era opposto al bando di Trump che negava l’accesso negli USA a stranieri provenienti da 7 paesi islamici.

Quello schiaffo al Presidente sembrava davvero la garanzia che gli Usa fossero in grado di tenere a bada le smanie di Trump; frenarne sul nascere ogni pericolosa velleità che avrebbe potuto mettere a rischio la pace nel mondo. Quantomeno meno laddove tuttora esiste.

Da quando la scorsa notte gli USA hanno bombardato con 59 missili la base militare siriana da cui sarebbe partito l’attacco chimico contro i ribelli al regime di Assad che martedì  scorso ha mietuto strage di civili nella provincia di Idlib, tutti sono meno tranquilli. In primis i soliti esperti di cose americane che  avevano preconizzato con il loro solito fare saccente un Trump dai poteri limitati.

Come più di un analista ha osservato, vedi Lucio Caracciolo direttore di LIMES, è molto probabile che, essendo in difficoltà in politica interna, Trump abbia deciso di vestire i panni del Comandante in Capo per  lanciare un chiaro segnale ai suoi oppositori politici anche del proprio partito, dimostrando che, alla fine,  a decidere è sempre e solo lui. Nel contempo riaccreditando gli USA come paladini del mondo, dimostrando di non temere la concorrenza della Russia alleata di Assad.

Nell’attesa di conoscere quale sarà la reazione Siriana all’attacco americano - la risposta di Damasco ci sarà senz’altro, lo ha affermato Assad, probabilmente dopo averla concordata con la Russia – sorgono forti dubbi sul valore della democrazia rappresentativa. Quella che ha consentito a Trump, attraverso il voto popolare, di ricoprire il ruolo di uomo più potente del mondo.

Già la brexit - il referendum popolare che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dalla UE - aveva evidenziato quanto il voto popolare possa rivelarsi un’arma a doppio taglio. Condannando quella scelta dei britannici, il Presidente emerito Giorgio Napolitano aveva criticato come una decisione così importante fosse stata rimessa alla volontà popolare; attirandosi addosso le critiche di molti, sottoscritto incluso, i quali interpretavano quelle parole come un chiaro segnale antidemocratico.

Ora che il mondo intero è in fibrillazione per quanto sta avvenendo, la sensazione che il voto popolare, in alcuni casi, possa rivelarsi pericoloso per i risvolti che ne potrebbero scaturire è evidente.

Visto che anche Trump apparterrebbe al club dei populisti - coloro che parlano alla pancia della gente per ricavarne consensi elettorali, individuando nel “diverso” l’origine dei mali sociali – è evidente che la sua elezione è conseguenza di un disagio generale vissuto da una grossa fetta di americani che il tycoon ha saputo cogliere e sfruttare in campagna elettorale. Ed è altresì evidente che l’elezione di un populista al comando di una delle nazioni più potenti al mondo può scatenare un apocalisse di dimensioni bibliche.

Preso atto di ciò, bisognerebbe che coloro che si pongono come obiettivo di arginare i populismi si domandassero  perché Trump e gli altri leader populisti trovino sempre più consensi nell’opinione pubblica.  Per fare ciò bisognerebbe che costoro anziché segregarsi in autoreferenziali Leopolde e consessi simili, tornassero a confrontarsi nelle piazze con la gente, anche a costo di beccarsi fischi e uova marce, per tastarne gli umori e capire di cosa realmente ha bisogno.

Fino a quando costoro invece si chiuderanno in un circolo chiuso, asettico, lasciando fuori dalla porta il mondo con i suoi problemi reali, una volta usciranno sconfitti dalle elezioni, non potranno attribuirne la colpa all’idiozia degli elettori. Non sarebbe né onesto, né giusto!

 Se il popolo ha fame e invece del pane si pretende di offrirgli l’acqua perché la si ritiene migliore per i suoi bisogni, non ci si può poi stupire se la gente ti gira le spalle e vota che le promette il pane!

Trump prometteva alla gente  ciò che la gente chiedeva, per questo è stato votato.

Ora che il danno è stato fatto, non ci resta di sperare che l’azione militare dell’altra notte sia solo un episodio isolato; un gesto “simbolico” di Trump per dimostrare a tutti chi comanda.

Diversamente non ci resta che affidarci a Dio.

 
 
 
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