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RAGAZZA DI CARTA E DI PENNA - 1a parte

Post n°28 pubblicato il 18 Giugno 2010 da gli_internauti
 
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Quello che segue è la prima parte del racconto "Ragazza di carta e di penna" realizzato da Sergio Romeo di Tuosto, ospite della Comunità Dedalo. Una ragazza viene ferita gravemente ad una arteria mentre tentava di aiutare un'amica a difendersi da uno scippo e vede passarsi la vita davanti agli occhi.

 

 RAGAZZA DI CARTA E DI PENNA

 

Francesca cadde nel tentativo di aiutare Lucia a difendersi; aveva colluttato con uno degli scippatori e quello l’aveva colpita al braccio con un coltello. Lucia in preda alla paura e all’angoscia le si era inginocchiata a fianco. Avevano notato il suo giubbino di valore, ma lei che poteva farci se gliel’avevano regalato? Francesca, al momento di difendere l’amica, aveva quasi abbracciato lo scippatore, come se avesse voluto dissuaderlo da quel gesto. Lui non aveva usato violenza, sferrò un solo colpo che la ferì al braccio. Poi i due malviventi erano fuggiti: lui l’aveva allontanata con una mano, lei – cadendo – si era aggrappata ad un’auto in sosta, Lucia l’aveva presa e fatta sedere su di una panchina lì vicino. Si era liberata del pullover e l’aveva legato stretto al disopra della ferita. A Francesca si era appannata la vista e quel poco che vedeva lo confondeva con i suoi ricordi e si rivedeva come era stata in alcuni momenti della sua vita…

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Richiamò alla mente di quando camminava accanto a Paolo sul marciapiede e scorreva sempre lo sguardo sui passanti. Lui di tanto in tanto poggiava il suo braccio su quello di lei: i due camminavano così per un piccolo tratto e, nelle loro passeggiate, non avvertivano noia.

Una volta capitò che un anziano signore, con un ombra di barba incolta, passo di lì, vide i due ragazzi e si aggiustò gli occhiali sul naso per guardare meglio Francesca. Due bambini sulla soglia di casa in quel viale di L. giocavano con delle pietruzze bianche. Un motociclista fece il gesto del cavallo su una sola ruota. Tutto a Francesca sembrava un gioco e con i piedi, ora tirava un calcio ad una cartaccia, ora ad un sasso. Era anche divertente: non voleva solo allontanare gli ostacoli come Don Abbondio nella sua passeggiata prima di incontrare i “bravi”, come la professoressa le aveva spiegato al Ginnasio.

Francesca non aveva mai capito perché non era mai riuscita ad approfondire la conoscenza con il suo compagno di banco Silvio, per cui lei provava una tenerezza intermittente. Lui conosceva le storie e i problemi di lei, quelli di scuola per esempio: il libro con la rilegatura e le cancellature dei loro quaderni che lei continuamente sfogliava, i suoi timori al momento dell’interrogazione. Era come un compagno di camerata , ma passava indifferente nei suoi giorni.

Ricordava l’odore di gomma per cancellare. Per Silvio Francesca era l’abitudine della mattina e lui le voleva bene per questo.

Lei lo teneva lì come sicuro riferimento dei suoi affetti e custode dei suoi pastelli di riserva nell’ora di disegno. Il loro gioco preferito, poiché i propri cognomi iniziavano entrambi con la “R”, era quello di scambiarsi la suspense per l’interrogazione. Così lei, Francesca, pensava al contenuto del suo sentimento per lui: le strade del rione che si dividevano per loro all’uscita di scuola e il loro “ciao” carico di cose non dette che si scambiavano per abitudine, sempre.

Poi correva a salutare Paolo e avvertiva il fastidioso ingombro del sentimento che provava per lui, a differenza di quanto accadeva per il suo compagno di banco Silvio, per il quale nutriva un affetto che aveva un peso più sopportabile. Con Paolo era diverso, era la sua aspirazione, l’occasione mancata; Silvio la sua abitudine.

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Francesca si ridestò dai suoi pensieri e notò il capannello di gente che le si era fatto attorno: “Ma che fanno” pensò “sto perdendo sangue, non ho bisogno delle loro crisi di coscienza”.

Francesca sentiva sulla sua pelle il fastidio della maglietta lisa, il sudore che la bagnava. Attorno i clacson delle auto e dei pullman le attraversavano i timpani.

Un ragazzo arrivò dove erano Lucia e Francesca: guardò esitante, si sentiva spaventato e in colpa, perché non sapeva cosa fare per aiutarle; con uno scossone della testa si riavviò i capelli. Aveva vagabondato per la città nelle ore di scuola. Fece qualche passo avanti verso le due, stette a guardarle ma si sentiva inadeguato e scomposto. Francesca lo vide e si sentiva inadeguata anche lei. I suoi capelli erano intrisi della polvere del marciapiede. Continuavano a passarle sugli occhi delle ombre bianche insieme ai suoi ricordi.

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Le sovvenne una riflessione: negli ultimi anni era stata particolarmente attenta quando a chiederle l’elemosina erano gli extracomunitari. In quelle occasioni veniva presa dalla paura ma nello stesso tempo era contenta, poi chiudeva la sua mano su quella del “terzo mondo” perché non si vedesse l’entità della sua offerta.

Adesso, con quell’incidente, era diventata come una di loro, ridotta anche lei a temere la morte.

Quante volte i suoi amici l’avevano lasciata da sola a fare quell’elemosina e lei li ricordava mentre le dicevano “quelli hanno più soldi di te”. Una volta aveva parlato con uno di loro, un nero studente di scienze politiche: per un momento gli occhi del giovane le avevano sorriso. Quella volta capì che c’era tutto un mondo “fuori”: lauree non riconosciute, vite spezzate dalla guerra e considerò terribilmente cretini quei discorsi dei “ragazzi”. Certe volte le sembrava che prima o poi non avrebbe voluto più saperne di loro: erano dei buoni a nulla che pensavano solo a trovare un posto al caldo.

 

Proprietà letteraria riservata.
Questo racconto è stato realizzato interamente da Sergio Romeo diTuosto, il quale si riserva ogni conseguente diritto ai sensi della normativa vigente e ogni possibile utilizzazione commerciale dei suoi contenuti autentici.
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