MEMORIE DI UNA GEISHA

Il cuore muore di morte lenta. Perdendo ogni speranza come foglie. Finché un giorno non ce ne sono più. Nessuna speranza. Non rimane nulla.

 

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DIGRESSIONE

Post n°788 pubblicato il 15 Maggio 2015 da gameplayer

Non sono avvezza a usare articoli che leggo per il mio blog, ma questo articolo, mi ha folgorato, perché in maniera chiara e senza fronzoli analizza il vissuto di una donna abusata . Anni fa scrissi io stessa un post su questo blog, un post che aveva un senso profondo, come un senso profondo ha questo articolo che posto integralmente e di seguito posto nuovamente quello che scrissi allora.

 

Avevo poco più di 20 anni ed ero lontana da casa. Ero assieme a un ragazzo di cui mi fidavo, lo conoscevo da così tanto tempo, faceva parte della mia vita da quando ero poco più che adolescente. Il giorno in cui mi buttò su un letto, e mi girò la faccia per non vedere che piangevo, entrando dentro di me fino a saziarsi, non l'ho mai dimenticato. Ero sola, ero inesperta, ero in buona fede, ero lontana da chiunque potesse proteggermi. Ed ero terrorizzata. A morte. Non ne ho mai parlato. Me ne sono sempre vergognata. Mi sono sempre vergognata di far parte di quelle donne che hanno subito un abuso sessuale, che è un po' come dire che non sono stata abbastanza forte da impedirlo.

Perché io non ho lottato, ho solo pianto in silenzio, poi mi sono alzata, sono andata in bagno, mi sono fatta la doccia, lavata via le lacrime e ritornata letto, a tentare di dormire mentre mi convincevo che non era successo niente di grave. Che capita che tu non ne abbia voglia e l'altro sì, e capita che quell'altro se ne freghi. Capita di tutto nella vita: a me era capitato questo, dovevo solo andare avanti e mettere dei giorni in mezzo al ricordo, prima o poi tutto sarebbe tornato a posto. Quello che non sapevo è che la stessa scena si sarebbe ripetuta ogni notte, con poche varianti, fino al giorno del mio ritorno a casa.
Di anticipare il rientro non se ne parlava: come avrei giustificato quel ritorno frettoloso se non con la verità di quello che avevo vissuto?

Come avrei spiegato che il mio perfetto fidanzato, bello e paziente, in realtà non era che un disgraziato e, peggio che mai, io non ero in grado di arginarne il furore? No. Non potevo permettere a nessuno di andare oltre la mia facciata di perfetta felicità. Non potevo permetterlo neanche a me stessa, se fosse crollata l'immagine che avevo del mio rapporto e della ragazza che ero cosa mi sarebbe rimasto? Da dove sarei ripartita? Iniziai il conto alla rovescia: ogni giorno che passava era alle spalle. Dovevo solo mantenermi gentile, allegra e consenziente. Dovevo essere esattamente quello che il mio fidanzato si aspettava che io fossi.

Una sera non ci riuscii e mi ritrovavi con una ciocca di capelli in meno e la faccia attaccata al muro e una paura che non avevo mai conosciuto. "Resisti, resisti, andrà tutto bene". Provai a tranquillizzarmi e, non so come, ci riuscii. Riuscii a sopravvivere alla paura e all'angoscia, alla vergogna di essermi scoperta debole e al tradimento della persona che ero convinta mi amasse. Tornai a casa e lottai col mio cervello per archiviare il piccolo inferno che avevo vissuto. E non fui più io. Non fui più la giovane donna che non aveva paura del mondo: iniziai dopo poco a soffrire di attacchi di panico. Iniziai a disprezzare gli uomini, a sceglierne di assolutamente inadatti a me, ma del tutto innocui. Chiusi le gambe e il cuore per così tanto tempo che a un certo punto pensai di essere una pianta. Secca, per giunta.

Ma imparai la pietà, prima per le altre donne vittime di abusi, poi per me stessa. È più facile avvicinarsi al proprio dolore attraverso quello degli altri, è più facile smettere di vergognarsi per la propria debolezza se la si scopre in altre persone. Soprattutto è più facile iniziare a perdonarsi e capire che non sempre si ha la forza necessaria per scappare via. Perché anche per scappare ci vuole forza e le donne che subiscono un abuso sono talmente spaventate e provate che quel poco di forza che hanno la usano per sopravvivere, lì dove sono.

Superare una violenza è questione di esercizio e di disciplina: si tratta di allenarsi ad accettare il passato ed essere disposte a non farsene una colpa. A non indagare a colpi di "se avessi, se mi fossi", a non darsi manate in fronte per non essere state come ci aspettavamo di essere in quella circostanza. Il primo dolore, il più grande e lacerante, che le donne stuprate vivono è quello della colpa: sono state vittime e pensano di essersi meritate quel ruolo. Perché è vero che non esiste carnefice senza vittima consenziente, ma è altrettanto vero che la vittima di un abuso sessuale, di uno stupro, di una scarica di legnate non ha mai, mai mai, fatto niente per meritarsi ciò che subisce. Nessuna donna al mondo merita di trovarsi con la faccia girata dall'altra parte, una mano sulla bocca, un ginocchio tra le gambe e gli occhi bagnati di lacrime, impietrita dal terrore e schiacciata tra vergogna e senso di colpa. Nessuna donna merita di venire picchiata perché non accetta di essere quello che un uomo pretende che sia.

Ho impiegato quasi 20 anni a capirlo, li ho spesi in gran parte a infuriarmi ogni volta che scrivevo di stupri e abusi, di violenze e assassini di donne come me. Li ho spesi a lottare, con le sole armi che ho a disposizione (un foglio e una penna, uno schermo e una tastiera) perché mai più nessuna donna dovesse vivere quello che ho vissuto io. Ogni volta che leggo, o scrivo, di una donna stuprata, o picchiata, o ammazzata, sento di avere perso la mia battaglia. Ma vado avanti senza pace. Non avrò mai pace: gli uomini continueranno a fare alle donne quello che un uomo ha fatto a me, lo so. E io continuerò a scrivere, a raccontare, a infuriarmi e lottare: è la mia vita, me la sono scelta così.

Deborah Dirani (giornalista)

 

Ed Ora il post che scrissi allora:

 

 

 

 

Uomini o bestie?

 

Questa è una delle storie con le quali devo confrontarmi.

E. era una studentessa universitaria, fino a quando non lo conobbe la sua vita si svolgeva sui normali binari dello studio, le lezioni da seguire, le amiche.

Lo conobbe mentre si stava iscrivendo ad un seminario, era il tipico studente grande, trentenne che dopo aver lavorato aveva deciso di studiare e laurearsi. Cominciarono a parlare e lui  mostrò subito il suo lato affascinante; E. non era una ragazzina, aveva impiegato un po’ di tempo prima di decidere la facoltà e la personalità eclettica e accattivante di M. la colpì subito, spiccava sugli altri in maniera netta. Non era una ragazza impulsiva a quel tempo e quindi rimase molto sulle sue anche se cordiale.

M. la corteggiò senza tregua  e al primo appuntamento al laghetto dell’Eur si dichiarò esplicitamente, E. a cui quell’ uomo piaceva molto non resistette e da quel momento si considerarono fidanzati.

M. era un fuorisede e fu naturale per la famiglia di E. accettarlo in casa per i pasti… erano tutti molto affascinati da questo “uomo” e sempre più spesso M. Si fermava a studiare con lei fino a sera.

Nessuno ci faceva caso se M. ogni tanto chiedeva in prestito dei soldi.. in fondo era di famiglia no?

Un pomeriggio adducendo la scusa di un mal di testa M. le chiese di andare  a studiare a casa sua e lei accettò senza farsi problemi.

La casa che M. divideva con altri studenti era vuota e i due cominciarono a studiare; dopo un po’ M. cominciò ad avvicinarsi a lei e a  toccarla ovunque , mentre E. imbarazzata tentava di sottrarsi, lui si faceva più pesante ed audace… “Dai in fondo siamo fidanzati no?” L’imbarazzo per E era immenso e si alzò riunendo i libri, voleva andarsene ( fino a quel momento i loro approcci erano stati solo baci, come con i ragazzi precedenti), a quel punto M. la strattonò stringendola a sé “dai che lo so che ti va…” E sempre più spaventata “no non voglio, no lasciami…” ma ormai M. aveva perso il controllo e le tirava gli abiti. Terrorizzata tentava di sfuggirgli, ma M. la buttò sul letto violentemente: ”Dai bella che voi donne quando dite no vuol dire sì’..” A questo punto i ricordi di E. si fanno frammentari, dolore, tentativi inutili di fuggire ma lui era un macigno su di lei e la bloccava, fino a quando tra le lacrime e i singhiozzi, il no  sembrava un disco rotto. Ricorda E,. che ad  certo punto una saracinesca scese sul suo cervello.. pensava solo ininterrottamente “E’ un incubo, ora mi sveglio” con quelle parole di sottofondo che le rimbombavano dentro “Sì bella ti piacerà.. tanto quando voi donne dite no è sì”

Mentre ancora piangeva sul letto, M. con la massima freddezza si rivestì e le disse:”Dai sbrigati ho da fare”.

Tornare a casa per lei fu un incubo, non poteva credere fosse accaduto proprio a lei, si sentiva impotente, debole, umiliata e sporca.. tentava di convincersi che non era veramente accaduto, ma le calze smagliate le dicevano altro. A casa corse nella sua stanza spogliandosi rabbiosamente e gettando gli abiti; sotto la doccia caldissima cominciò a strofinarsi così forte da quasi strapparsi la pelle di dosso. In famiglia non riuscì a dire nulla e si costruì una vita apparentemente normale; voleva denunciarlo, ma si vergognava, eppoi pensava che non l’avrebbero creduta, in fondo per il mondo era il suo ragazzo!

M. fortunatamente sparì, era tempo di esami ed era normale…ma riprendendo i contatti in facoltà l’orrore dentro di lei crebbe, M. aveva corteggiato tutte, a tutte aveva chiesto di sposarlo e lei cominciò a domandarsi perché  le era capitato tutto questo, forse era “cattiva” e se lo meritava; ma cominciò a provare una forte rabbia e umiliazione nei confronti delle altre che avevano visto M. solo sotto il suo lato “piacione” e affascinante, e non il bruto e il violento che lei invece aveva conosciuto. Non fece parola con nessuno dell’accaduto tranne che con due amiche.

Passò un anno che E. non ricorda chiaramente, si era costruita una storia di apparente normalità, un rapporto troppo impetuoso con l’allora suo ragazzo… ma la notte sapeva cosa era accaduto veramente  e quelle immagini non l’abbandonavano mai. Fuggiva ogni ragazzo e cominciava a tremare per una mano poggiata sulla spalla, ritraendosi come un animale ferito.

Dopo un lungo periodo una mattina uscendo dalla facoltà lo vide, attorniato dai vecchi compagni di corso, ma lei fuggì senza farsi vedere ed una volta in auto cominciò a tremare incontrollabilmente.

Qualche tempo dopo lui la chiamò supplicandola di incontrarlo, doveva parlargli urgentemente; E. non voleva ma dopo infinite insistenze gli diede appuntamento nel bar più affollato della facoltà… lui voleva invece Villa Borghese!!

M.:”Ho portato i tuoi occhi con me sempre ogni giorno, ma ci sono cose che devi sapere, avevo una compagna al mio paese.. ma ora è finita e io ti amo… Riproviamo? “ Non un parola, non un accenno su quello che aveva fatto e in testa dentro lei rimbombavano solo quelle parole “Le donne quando dicono no vogliono dire sì” Si alzò senza una parola e lo lasciò lì a quel tavolo.

Per ben tre anni durò la sua anestesia sentimentale, nessuno poteva toccarla o andare più in là di prenderla per la mano, ma quando tutto questo le impedì di amare l’uomo che era stato il suo primo e vero amore a  18 anni  e che nel frattempo era tornato a lei, ma che le disse che si sentiva un violentatore con lei, una rabbia infinita la invase; M. le stava rovinando la vita. Allora cominciò una terapia, lunga ed intensa che la aiutò a capire che non era lei sbagliata o cattiva, ma che era qualcosa che era capitato e cominciò a lavorare sulla sua autostima e sullo scendere a patti con se stessa. Certe ferite non guariscono, quando E. è più vulnerabile si sente ancora umiliata e sporca e anche se ora ha una vita sentimentale viva e appagante, c’è ancora un attimo, quando fa l’amore, in cui le saracinesche si abbassano e tutto viene chiuso fuori, immobilizzandosi come una statua di ghiaccio.

Io e E. sappiamo che le cicatrici resteranno sempre perché non si può cancellare ciò che è accaduto.. ma almeno lo sguardo sul mondo e sugli altri è più limpido e sereno.

 

 

 

 

 
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