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ALBERTO IL GRANDE, A DIECI ANNI DALLA MORTE DI ALBERTO SORDI

Foto di Convallaria_majalis

“Tu non sei solo un grande attore. Tu sei molto di più. Tu sei Alberto Sordi”


Così Gigi Proietti dava l'addio, 10 anni fa, al nostro Albertone nazionale. 
 

 

                            

  

Una folla impressionante, si mise in fila per rendere omaggio alla camera ardente in Campidoglio, e oltre 250mila persone si assieparono in piazza San Giovanni in Laterano per seguire i funerali di Alberto Sordi, morto il 24 febbraio 2003 a 82 anni.

Se n'era andato un pezzo di storia dello spettacolo italiano, che lui aveva saputo interpretare alla grande.

Sordi raccontò i mostri italiani del dopoguerra: falsi, sbruffoni, affabulatori, ghignanti, feroci, patetici, cupi, pavidi.

"Ci ha fatto conoscere meglio l'Italia, e gli italiani, Alberto Sordi coi suoi film che non tanti sociologi con le loro barbose e fumose dissertazioni", dice Roberto Gervaso.

Seguono film e personaggi entrati nel mito ma sopratutto nel cuore dei romani, che vedono sullo schermo uno di loro.
Il modo con cui i "sordismi", i tic linguistici o dialettali, frasi celebri con cui Sordi fa parlare i suoi personaggi, si fondono con il dialetto romanesco e con la parlata quotidiana è un caso di osmosi linguistica da manuale.

La grande stagione della commedia all'italiana a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta lo vede indiscusso protagonista, interprete di personaggi spesso scomodi, per i quali è difficile provare simpatia e quasi ci si vergogna a guardarli perché li si scopre subito troppo simili al vicino di casa, al collega d'ufficio, al cognato, all'amico.

Una filmografia prodigiosa composta da più di 150 titoli, una cinquantina dei quali girati proprio a Roma, che lo ha visto diventare praticamente di tutto: vigile, prete, vedovo, giornalista, frate, artista, detenuto, militare, disoccupato, libertino, mantenuto, nobile, medico della mutua, marito, avaro, malato immaginario, marchese, ladro, mafioso, magistrato, deputato, censore, fenomeno paranormale, tassinaro, vetturino e borghese piccolo piccolo.

Nella realtà invece era un uomo riservato, imperfetto. Un uomo «del passato», che non volle mai andare in America con De Laurentis, che non volle mai imparare l’inglese. Un attore che rubava la scena ai colleghi, per i quali «lavorare con Sordi è un  incubo».
Schivo e pantofolaio dunque, amante delle belle cose, chiuso nella villa-fortezza di via Druso insieme alle sue sorelle.
Un uomo a cui nessuno aveva mai regalato niente, uno che si era fatto «il mazzo tanto» e quindi era parecchio diffidente verso gli altri, tanto da apparire «anaffettvo», conservatore dei sentimenti, «uno che a pensar male ci si azzecca sempre».
Nonostante ciò gli sono stati attribuiti molti flirt e amicizie particolari, anche con alcune fra le bellissime del nostro cinema, ma non si è mai sposato perché, come ripeteva sempre fra il serio e il faceto, «non si voleva mica mettere un'estranea in casa».

Alla sua morte, come ricorda Enrico Giacovelli, ha lasciato tra l'altro: la Fondazione Alberto Sordi per anziani fragili; il Centro per la Salute dell'Anziano (CESA) costruito sull'area che lui stesso aveva donato al Comune di Roma, accanto al terreno dove dal 2007 sorge il Campus Bio-Medico di Trigoria, di cui la Fondazione Alberto Sordi è uno degli enti sostenitori; una tenuta a Castel di Guido per il "Progetto Nestore", una struttura che accoglie i cavalli non più utilizzati da botticelle ed esercito per strapparli al mattatoio.

Ed a dieci anni dalla sua morte, Roma lo ricorda ancora con tanto affetto e tante iniziative.

A cominciare è stata una mostra curata da Vincenzo Mollica, Gloria Satta, Alessandro Nicosia, nei locali del Vittoriano: ingresso gratuito, apertura fino al 31 marzo, ricchissima di fotografie, filmati, documenti, lettere, manifesti, oggetti.
Tra le cose più curiose una sedia da barbiere e un enorme cavallo a dondolo.

A finire sarà la notte del 24 la proiezione di pezzi di suoi film e interviste sui muri del Colosseo.

Ma Sordi lo ricorda anche l’Italia tutta grazie alla Rai, stavolta davvero servizio pubblico.
Un ciclo di dieci film su Raitre a cominciare dal 25, subito dopo le elezioni, più una serie dei suoi famosi interventi radiofonici su Radiodue, da Il Conte Claro a Mario Pio.

L’omaggio destinato a restare nel tempo è, però, il documentario Alberto Il Grande voluto dalla regione Lazio e realizzato dai fratelli Verdone, Carlo e Luca.

L’idea dei due autori, uno popolarissimo regista di cinema, l’altro documentarista accurato, è stata costruire il filmato intorno alla villa di Sordi, una splendida costruzione dell’architetto Busiri-Vici che Sordi comprò nel 1958 soffiandola a Vittorio De Sica.
Affacciata sul Palatino e il Circo Massimo, arredata con pezzi di arte che si faceva consigliare dall’antiquario Apolloni, con una predilezione spiccata per il 700, straboccante di tende, tappeti, divani, tavolini, ha due cose assolutamente particolari: una immensa sala da bagno dove si dice Sordi riposasse davanti a uno specchio con luci da teatro, e una sala cinematografica ornata da stucchi e statue in ceramica.

«Di Sordi si sa tutto o quasi tutto - spiegano i Verdone all’unisono, anche se Carlo parla di più - La sua casa, però, per la maggior parte degli italiani era rimasta ignota. Aperta a feste, cene, ricevimenti fino agli Anni 70 quando morì sua sorella Savina, da allora fu riservata solo a una ristrettissima cerchia di amici tra cui alcuni prelati, come fosse diventata un tempio inviolabile». Grazie alla sorella Aurelia che tuttora la abita, è stata finalmente mostrata al pubblico che può conoscere così un Sordi segreto, familiare, metodico.
La mania per l’ordine, la «pennica» nel dopopranzo a letto dopo essersi spogliato,
la passione per la pasta al sugo con le polpette (adorava letteralmente il sugo di sua sorella), la serena fede da cattolico privo di dubbi, l’affabilità con i domestici.

Oltre alle immagini tratte dai film da lui interpretati, i ricordi degli amici rimasti: la Cardinale, Baudo, Fofi, la Valeri, Scola, i Vanzina, Lucisano, Emi e Christian De Sica, Rondi, più una vecchia intervista a Dino De Laurentiis e qualche parola della sorella Aurelia.

C’è anche una «chicca» cinefila. Anzi due. Una è la prova in costume fatta da Sordi per Il Casanova di Fellini che poi gli preferì Sutherland.
L’altra è la sequenza tagliata dal film Roma, ancora una volta di Fellini, girata in piazza Santa Maria in Trastevere.
L’ha trovata Luca Verdone alla Cineteca di Bologna, perché aveva visto il film da ragazzo con suo padre Mario, docente di cinema, a una anteprima per addetti ai lavori. §
C’è Alberto alla tavolata di un ristorante che per vedere cosa sta succedendo in piazza, grida a un ragazzo con spessi occhiali neri: “Levete cieco, che nun me fai vede!”.
A pregarlo di toglierla era stato Sordi che nella vita, a differenza che nei film, non era mai né cattivo né volgare, e quindi ritenne ingiusta l’immagine che Fellini stava dando di lui».

Aggiunge Carlo: «Alberto era stato molto amico di Federico e Giulietta, però, alla fine, i suoi film non lo convincevano più.
“Sì, sarà grande - sosteneva con me - Ma non ti fidare. E’ anche un po’ un imbroglio”. E io che giudico Fellini un genio lo contestavo. Anche di Petrolini, cui fu paragonato all’inizio di carriera, diffidava. “Ha dei momenti da guitto”, mi diceva. Io dissentivo: “Ma no, è un mito” . E lui: “Zitto tu che non l’hai conosciuto! Io sì”. E mi metteva tacere».

Sordi avaro? Aveva fama di essere avaro, anche fra gli amici, ma lui rispondeva: "Sono un borghese romano che compra bene e non butta i soldi, tutto qua".
Nient’affatto, quindi, ma parsimonioso, e generoso verso chi aveva bisogno.
Conservava i suoi vestiti con la massima cura, ed era fiero di poterli indossare senza aver preso un chilo a distanza di molto tempo».
Sordi narcisista? «No. Quando girai con lui In viaggio con papà durante la lettura del copione, a un certo punto lesse una tirata lunghissima e noiosa. Io, credendo l’avesse scritta Sonego, lo sceneggiatore, gli dissi che andava tagliata. Lui precisò che l’aveva scritta da solo e offeso insistette perché i tagli li facessi io. Mortificatissimo li feci, ma quando girammo la scena lui la ripeté interamente. Ero convinto, perciò, che quando avrei visto il film montato, le mie battute si sarebbero ridotte a due. Invece mi aveva lasciato sempre: si era tagliato lui, da solo!».

I film di Sordi più belli, secondo Carlo, sono I vitelloni, La grande guerra, Una vita difficile, Lo scapolo.
Luca aggiunge Il Marchese del Grillo.

Concludono all’unisono: «Aveva una genialità rivoluzionaria, una comicità surreale. Era un precursore. Come tutti i geni innovatori a un certo punto s’è fermato e ha cominciato a ripetersi, anche perché non capiva più cos’era diventata l’Italia. Ma anche in quei pochi casi è stato sempre grande».



 

(Simonetta Robiony, Chiara Cecchini)

 

 

 

 
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