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Vecchie monelle parte seconda: Citroen Mehari, il dromedario da corsa!

L

a Citroen Mehari nacque nel 1968, anno della contestazione giovanile, su iniziativa di un nobile francese che voleva una vettura da utilizzare nel tempo libero e contrapporre alla 2 Cavalli, simbolo dalle frange di giovani contestatori di tutta Europa.

Il nome richiamava una razza di dromedari utilizzati per la corsa ma, guizzi e ripresa propri di un’auto da corsa vi assicuro che non erano affatto tra le sue caratteristiche. Piuttosto,  la Mehari aveva ereditato dalla 2CV  il motore e l’aspetto spartano che anzi fu ancora più estremizzato nel nuovo modello marchiato Citroen.
La Mehari era sostanzialmente una vasca, si avete letto bene, una vasca in plastica ABS, colorata nella massa e soggetta a scolorirsi rapidamente, nella quale, quasi miracolosamente, erano comparsi due sedili anteriori in pelle.
Uno “straccetto” di gommapiuma ad elle, rivestito anch’esso di pelle, doveva fungere da sedile posteriore una volta fissato ad una base in legno. Cambio alla francese, predisposizione per l’avviamento a manovella in caso di difficoltà, completamente smontabile (anche negli sportelli) e copertura anch’essa in materiale plastico, erano le altre caratteristiche salienti.
Gioco forza la vasca, come ogni vasca che si rispettasse, era destinata a riempirsi di acqua durante le precipitazioni invernali oltre che “prendere il volo” come una piuma in caso di raffiche di vento o peggio ancora di vere e proprie trombe d’aria.
Al mattino, soprattutto d’estate, una volta entrati in auto era necessario passarla in rassegna perché ci si trovava di tutto: gatti addormentati, lattine di birra, persino preservativi usati!
Questi ultimi, per me, neo-diciottenne irrequieta, estroversa e compagnona, erano ovviamente piccoli particolari insignificanti e trascurabili, né immaginavo che col tempo avrebbero cominciato a darmi noia. Io ero quella che subito dopo uno shampoo sfrecciava in moto con la chioma rigorosamente bagnata perché essa diventasse riccia al punto giusto, ero quella con la chitarra sempre pronta in spalla ed il plettro in qualsiasi tasca dei jeans, ero quella che nello zaino di scuola portava sempre un telo da mare, figuratevi un po’ se al momento di scegliere l’auto avrei dedicato una sia pur minima riflessione all’idea di comfort e sicurezza...
Mi serviva piuttosto un’auto che rispecchiasse il mio egocentrismo, il mio carattere libero ed indipendente, quel sentimento comunitario che mi portava a circondarmi di stuoli di amici ed amiche  ed ovviamente, questo si particolare degno di nota, mi occorreva un’auto che fosse  rigorosamente “d’acchiappo”.
La mia Mehari mi giunse tra le mani con uno squallido color verde petrolio che non tardò a diventare ancora più scialbo visto l’uso che di quell’auto io ho sempre fatto: percorsi sterrati, spiagge chilometriche intervallate da dune, acquitrini costieri e fangosi ed ogni tratturo o mulattiera sperduti che avevo scoperto andando a cavallo, diventavano immediatamente pretesti per testare le doti da fuoristrada di quel giocattolo molleggiato incastonato su quattro ruote.
I miei amici non disdegnavano affatto quest’uso poco urbano della mia strana vettura, anzi, facevano a gara per accompagnarmi nelle mie pazze avventure e per ammassarsi nel vano posteriore che, una volta privato dei sedili diventava maledettamente capiente. Per la cronaca siamo riusciti ad entrarci in 11 più un cane!

 

 

 

I falò notturni in spiaggia erano all’ordine del giorno, e sin dalla prima stagione primaverile, (quella dei diciott’anni da poco compiuti a dicembre), la mia citroen mehari divenne lo strumento per bigiare la scuola ed andarsene a mare già a marzo.

 

Fu così che la macchinetta da poco acquistata ebbe il suo soprannome e divenne “Geppa Mehari”. Il nome Geppa derivò dalla imprecazione stizzosa della mia insegnante di chimica che, messa a dura prova dalla mia sfacciataggine, una mattina urlò in classe la frase: "Rosangela non viene a lezione e poi passa a prendere le amiche con la GEEP!"
Eh si! Non doveva esserle andato a genio quel mio menefreghismo, quella forma di autogestione, quella mia assoluta tendenza a decidere autonomamente contro le regole cosa si potesse o non si potesse fare; io ero strafottente anche nel marinare la scuola, non temevo di presentarmi all’uscita ed essere “scoperta” dagli insegnati, per questo,  nella foga di esprimere il suo disappunto, tra le risate di tutti  la Prof sbagliò la pronuncia ed urlò GEEP con la E invece di Jeep con la i. Da quel giorno la mia Jeep divenne appunto “Geppa Mehari”.
Geppa non tardò a manifestare i suoi inconvenienti, primo tra tutti la difficoltà di avviamento dopo una notte gelida ed umida. Certo, c’era in soccorso la possibilità di avviare a manovella, ma, premesso che l’operazione non andava mai in porto al primo giro, di norma la mia giornata scolastica iniziava con una lunga serie di imprecazioni. Alle imprecazioni si univano gli sguardi divertiti della gente, soprattutto quella mattina che pur non essendo Carnevale, io mi recai a scuola conciata così.

 


Avevamo semplicemente deciso di ravvivare il grigiore del nostro austero istituto scolastico gestito da gesuiti, presentandoci a scuola le ragazze vestite da uomo ed i ragazzi vestiti da donna.
I “pretacci”, come li chiamavamo noi, non gradirono molto l’iniziativa, ricordo anzi che il vicerettore, anziano prete napoletano noto per il fatto di non disdegnare qualche buon bicchierino, mi strappò scandalizzato la barba biascicando qualcosa, salvo poi mettersi  a urlare quando scoprì che sotto la barba posticcia io avevo anche baffi e pizzetto disegnati col matitone del trucco.
Fummo immediatamente cacciati e sospesi da scuola, col risultato che vagammo divertiti per la città, tutti conciati come strani figuri.

 

 


Quanto all’acchiappo Geppa Mehari svolse sempre il suo ruolo egregiamente. Tanti, davvero tanti gli amorazzi estivi che misi a segno nel corso degli anni grazie a quell’auto. Di norma non appena comparivano le prime giornate di sole io ne approfittavo per togliere il tetto e non appena arrivava l’estate smontavo gli sportelli e giravo col parabrezza abbassato ed i capelli al vento. L’acchiappo era garantito! Non era infatti raro che mi saltassero in macchina ragazzi intraprendenti desiderosi di fare amicizia, altrettanto ricorrenti erano i bigliettini d’amore lasciatimi ovunque, anzi,  se nell’auto si girava con un gruppo di amiche, ci ritrovavamo immediatamente con un codazzo di auto pronto a seguirci.
Una notte, nel corso di uno di quegli inseguimenti, inaugurai divertita un nuovo tipo di inversione: l’inversione a O.
Stufa di portarmi dietro in modo inconcludente un’auto con una coppia di ragazzi bellocci, imboccai una strada molto ampia e non trafficata e cominciai a fare inversione a O girando continuamente a cerchi concentrici. Dopo il primo sconcerto i due bei tomi capirono l’antifona e cominciarono a seguirci anch’essi a cerchio, sino a quando morte dalle risate, io e la mia amica decidemmo di fermare l’auto e fare amicizia.
Di quegli amori nati per scherzo con la complicità di un’auto stravagante io ricordo il primo, che rubava tempo allo studio per la maturità classica e soprattutto l’ultimo che segnò la fine di un’epoca mettendo a nudo tutti gli inconvenienti di un’auto tutt’altro che comoda ed affidabile.
Era una sera di agosto come tante ed in compagnia di un’amica ero andata in un paese della provincia barese per assistere ad un concerto. Nei pressi del campo di calcio che avrebbe accolto la manifestazione, il traffico era serrato e si girava tutti come folli in cerca di un parcheggio. Geppa Mehari era come al solito in assetto estivo d’acchiappo: senza tetto, con il parabrezza abbassato e con la catena al posto degli sportelli. Se anche io e la mia amica fossimo state due “cozze” comunque con quell’auto non saremmo passate inosservate. Si dà il caso però che cozze non eravamo e così ad un certo punto ci sentimmo urlare una frase divertentissima  legata al fatto che girassimo con quella sottospecie di automobile. Bastò un primo sguardo per renderci conto che la frase proveniva da due fighi di tutto rispetto ed un secondo sguardo per decidere inter nos a chi sarebbe spettato il bruno ed a chi il castano con i capelli ricci.
Con grande disappunto dopo averli ribeccati all’interno dello stadio, ci rendemmo però conto che i due figoni erano in comitiva e probabilmente anche accompagnati, sicchè quella sera, terminato il concerto, toccò a noi, leggiadre ma intraprendenti donzelle, lanciarci in un inseguimento discreto ma determinato.  Seguimmo in lontananza quell’auto, ne annotammo la targa ed avemmo la fortuna di vederla imboccare una strada che avrebbe potuto condurre solo ad un determinato paese.
All’indomami ci recammo in quel paese e ci mettemmo a caccia di quell’auto e così il giorno successivo, sino a quando il terzo giorno finalmente la vedemmo parcheggiata in una stradina. Lasciammo un biglietto sotto il tergicristallo scrivendo la frase che loro ci avevano urlato qualche giorno prima ed insieme ad essa scrivemmo  le indicazioni per un eventuale appuntamento in serata. L'appuntamento non fu però meramente eventuale, anzi, divenne reale, ma, soprattutto, quello che era nato come l’ennesimo amorazzo estivo, per me si trasformò  in breve tempo in una passione bruciante, coinvolgente, di quelle che non si dimenticano…ed infatti non l’ho mica dimenticata! ^___^
Però, ahimè, il mio amore pur essendo pugliese viveva e lavorava a l’Aquila ed entrambi ci trovammo di lì a pochi mesi a far  di tutto per stare insieme combattendo la distanza.
In quegli anni Geppa Mehari subì mille trasformazioni: oltre a cambiare colore per motivi puramente estetici, la dotai di vari accorgimenti e modifiche che potessero rendermi comodo, sicuro e soprattutto caldo, il tragitto Bari l’Aquila, ma il tutto  sortì scarsissimi risultati, sicchè, pazza d’amore e stufa di trovarmi sempre nei casini, fradicia ed inzuppata decretai la fine della nostra storia: non quella tra me e il giovanotto, bensì quella tra me ed un’auto con la quale avevo vissuto tante avventure.

Rimasi fedele solo ad una mia ferma ed antica convinzione: avere i capelli lunghi non ha senso se non si guida un’auto cabrio… fu così che arrivò lei.

 

 

 
 
 
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