L'intollerante

Uk: la guerra in Afganistan diventa una canzone "per la pace"


Ogni anno, nei paesi anglosassoni, il clima natalizio lancia in autentico delirio retorico, ipocrita e buonista un numero imbarazzante (e preoccupante) di persone. Il trionfo del “volemose bene” trasforma i solitamente gelidi inglesi in veri “warm people” che elargiscono sorrisi, “hugs” e canzoni così smielate che a cantarle ci si cariano i denti. Il Natale 2011, però, ha conosciuto forse uno dei più deprimenti e sfacciati esempi di inno alla retorica spicciola, lanciando al numero uno della Hit Uk il molto orecchiabile (e patetico) “Werhever You Are” delle Military Wives. Ma chi sono queste signore e queste ragazze con gli occhi sbrilluccicosi? Le compagne e le mogli dei militari che “servono l’Inghilterra in Afganistan” combattendo una guerra che oramai solo i sassi dovrebbero ancora considerare “missione di pace”. E proprio a proposito di neolingua, i soldati impegnati al fronte nella canzone vengono descritti come “prince of peace” (principi della pace). Le donne canterine rassicurano i propri uomini in guerra attraverso il coro angelico ben addestrato dal choirmaster Garreth Malone e le insopportabili parole scritte da Paul Mealor. Il videoclip, che su youtube ha già superato le 600.000 visite, è tutto un trionfo di “il mio amore ti proteggerà ovunque” e di immagini di militari sorridenti con cuccioli di cane tra le braccia e bandiere britanniche sventolanti. Insomma: fare la guerra per meri scopi economico-coloniali è sempre e comunque eroico, necessario e addirittura romantico. Chi parte per l’Afganistan è un angelo della pace che spara rose, distribuisce solidarietà ed esporta democrazia in maniera indolore. Certo la lontananza da casa un po’ pesa ma alla fine tutto si supera con la forza ed il link perpetuo dell’amore. Un favola indecente e lontana anni luce dalla realtà che però ben 556.000 persone hanno già deciso di ascoltare e raccontarsi acquistando il singolo nella prima settimana d’uscita. E poco importa se la guerra è la negazione non solo dello spirito natalizio ma dell’essere umano: ciò che conta e rivestire tutto di rosso, organizzare un bel coro e, proprio per rendere più clamorosa possibile la presa per i fondelli, devolvere il ricavato alle famiglie dei soldati deceduti in guerra o “in difficoltà”. Come a dire: vi mandiamo a morire e a uccidere per il petrolio ma poi, a Natale, vi stacchiamo un assegno per il vostro compagno, il vostro fratello o il vostro figlio uccisi in terra straniera. Il punto di critica in effetti è semplice e se vogliamo addirittura banale: perché mai ostinarsi a definire "missione di pace" una guerra per il petrolio? Perché trattare le persone con tanta, sfacciata manipolazione linguistica? Come mai, se quei soldati fanno un lavoro di cui essere fieri, c'è bisogno di chiamare le cose con nomi di fantasia e distorcere in maniera così plateale la realtà? Buon Natale rosso (sangue), anche quest'anno.