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L'angolo di Jane

Tutto su Jane Austen e sui libri che mi piacciono!

L'ANGOLO DI JANE

Benvenuti nel mio blog!

Questo spazio è dedicato a recensioni di libri e film, ai miei racconti,  a riflessioni personali di varia natura e soprattutto a Jane Austen, una delle mie scrittrici preferite.

Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
il mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell'orgoglio e dall'orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.

(Hermann Hesse)

 


 

 

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Nel paese dei ciechi - H.G. Wells

Post n°988 pubblicato il 12 Febbraio 2013 da bluewillow
 

Titolo: Nel paese dei ciechi Titolo originale: The Country of The Blind Autore: Herbert George Wells Traduzione: Giorgio Salvatorelli Casa editrice: Adelphi pag: 61 formato: ebook costo:1,99 €

Un celebre proverbio sostiene che nel paese dei ciechi anche l'orbo è re, ma H.G. Wells si diverte in questo breve racconto a dimostrare che il conformismo è una malattia umana molto più pericolosa di qualunque cecità, perché ottunde non i sensi, ma la mente.
Caduto durante una scalata, sulle cime innevate di una regione sperduta delle Ande Ecuadoriane, l'esploratore Nunez finisce per venire a contatto con un leggendario popolo i cui abitanti, da almeno quattordici generazioni nascono tutti ciechi e totalmente ignari dell'esistenza di altra umanità.
Nonostante questo, il villagio dei ciechi è perfettamente  organizzato, in modo che essi, supplendo alla vista con i sensi rimasti, possano muovervisi attraverso senza difficoltà.
Poiché il paese dei ciechi è in un luogo da cui è difficile allontarsi, l'uomo è costretto a rimanervi.
Nunez sembra convinto, secondo la logica imperialista dei conquistatori, che la vista gli darà un vantaggio sugli abitanti che lo hanno accolto, consentendogli certamente di prevalere su di essi.
In realtà i ciechi rimangono molto perplessi di fronte alle pretese di Nunez di “vedere”: in un mondo in cui tutti sono ciechi, anche la parola “vista” perde di significato, così gli abitanti del villaggio ritengono in realtà che Nunez sia un essere inferiore, ancora poco formato intellettualmente e vittima di folli fantasie.
Dimostrare ai ciechi la propria pretesa superiorità sembra molto più difficile del previsto a Nunez: essi si muovono facilmente al buio, dove invece Nunez inciampa, e hanno un odorato ed un udito così sviluppato da capire al volto qualunque suo tentativo di sopraffarli.
Incredibilmente sarà Nunez a dover capitolare: non potendo vivere da solo, fingerà di essere cieco e di accettare tutto il sistema di credenze del paese dei ciechi.
Finirà anche per innamorarsi e solo quando per coronare la sua felicità sentimentale e aver il permesso di sposarsi, gli verrà chiesto di rinunciare sul serio alla vista, rimuovendo chirurgicamente gli occhi, perché essendo troppo mobili vengono considerati da uno dei saggi l'origine dei suoi discorsi strampalati sull'inesistente facoltà della vista, egli troverà la forza di allontanarsi da quel mondo che non è riuscito a sopraffare, ma da cui è stato invece sopraffatto.

Ho trovato molto interessante il modo in cui Wells rappresenta sia Nunez che il popolo dei ciechi: l'uno pronto alla sopraffazione, gli altri invece assolutamente disposti a tendere la mano allo sconosciuto bisognoso, ma entrambi praticamente irremovibili sulle proprie posizioni.
“Il paese dei ciechi” è in fondo una allegoria di come anche le migliori e più utili qualità possano essere considerate totalmente prive di valore da chi non le comprende o non le possiede.
Certamente si potrebbe obiettare, e a ragione, che il protagonista Nunez è però lui stesso incapace di farsi comprendere dai ciechi: sceglie modi poco opportuni e in effetti  il suo volersi imporre a forza non gli è d'aiuto. A Nunez mancano la compassione e la benevolenza dei suoi ospiti ciechi: a soggiogarlo non è il numero dei suoi avversari, ma il fatto di considerarli appunto tali.
Un raccontino, del 1904, di uno dei padri della fantascienza (autore dei celebri “La guerra dei mondi” e “La macchian del tempo") molto illuminante sull'incomunicabilità, sul conformismo e su quanto possano risultare false e ingannevoli le idee di superiorità.

 
 
 
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