Sonoviva

OGNI COSA CAMBIA


 Sono ormai 20 i giorni trascorsi, qui, in Campania, nell'isolamento domestico. La prima settimana è stata caratterizzata da una forte emotività e dalla scoperta di piccole grandi cose tanto lontane dal nostro usuale quotidiano. Per la prima volta da quando vivo in questa Città ed in questa casa, ho potuto aprire le finestre e respirare la tiepida aria di una primavera annunciata e continuata per l'intero inverno. Affacciandomi dal bacone, ho guardato a lungo il mare, ascoltato il cinguettìo degli uccelli, respirato ed annusato il dolce profumo del mare. Ho portato fuori una sedia ( cosa impensabile solo il giorno prima per il caos del traffico, del rumore e per lo schifo di una puzza innaturale in una Città di mare ) e lì mi sono seduta, semplicemente a non fare nulla. Un lusso incredibile. Mentre l'eco delle grandi sofferenze patite dai nostri amici al Nord ci rattristavano nel profondo, le nostre anime erano come unite in un legame di cui non ricordavamo più i contorni. I balconi si aprivano, gli abitanti li popolavano e le conversazioni tornavano come tanti tanti anni fa. Parlate, non gridate, ché il silenzio avvolgeva ogni cosa. Abbiamo cantato, ascoltato musica insieme, pregato, offerto al Cielo la nostra piccola umanità perché da Lassù qualcuno corresse in nostro soccorso. Ci siamo inventati un orgoglio nazionale forse lontano da tanti di noi, ma in periodi normali: ora non è tempo. Semplicemente. Poi è iniziata una nuova fase, legata alle incertezze che tanto sacrificio valesse a raggiungere l'effetto. Ognuno di noi ha cercato la motivazione e per me è sata quella di un rispetto verso quanti sono chiusi in questa quarantena da ben oltre che noi. Dal rispetto verso gli sforzi dei sanitari. Dal dolore di chi è morto e continua a morire in solitudine, per le famiglie private di un marito o di una moglie o di un padre o di una madre che, usciti di casa, non ne hanno fatto più ritorno, neanche perché qualcuno potesse piangerli nell'intimità delle pareti domestiche. E neanche in quelle di un obitorio. I loro cari sono, semplicemente, scomparsi, nel senso letterale di questa parola. Portati via e finiti chissà dove, restituiti in una cassettina contenente le ceneri. Come si può sostenere tutto ciò? Non c'è nulla di umano se si eccettua l'amore, gratuitamente offerto ai loro congiunti moribondi, da parte del personale sanitario divenuto, in quel momento, figlio, figlia, marito, moglie, madre, padre. Sanitari che non si libereranno tanto presto della sensazione di quelle mani imploranti un addio nell'istante del commiato. Un commiato duro, pieno di sofferenza fisica, di chi non ha più aria per sopravvivere. Ma ne avevamo visti altri, e tanti, solo fino a ieri, cercare di stringere una mano prima di morire, cercare di afferrarla per non morire: erano e restano i numerosi migranti scomparsi, in numero tanto maggiore, nelle fredde acque del Mare, che in un tempo ormai lontano, chiamavamo Nostrum. La loro morte ha turbato solo in parte le coscienze di noi, orgogliosamente italiani. Loro avevano la colpa di non essere rimasti a casa loro nonostante le guerre, le epidemie, le desertificazioni di un territorio massacrato dalla grande speculazione economica della quale nessuno di noi si può dichiarare innocente. La Terra, nostra Madre, ci ha parlato allora, perché i nostri cuori si unissero a quelli dell'umanità, fino ad oggi, così tanto più sfortunata di noi. Se la Terra sta male e soffre, ci dice Papa Francesco, non possiamo noi uomini pensare di rimanerne indenni, benché ricchi e, fino a ieri, proiettati in una dimensione che ci allontanava gli uni dagli altri. Riusciremo a ritrovare la nostra Umanità perduta? riusciremo di nuovo a guardarci negli occhi tutti, veramente tutti, senza pensare di girare la faccia dall'altra parte quando non siamo noi a patire? Nei campi profughi della Turchia, in Siria, nei confini dei Balcani, in Libia ed in tanti e tanti luoghi, le persone soffrono assai più di noi. I bambini non ridono più a Lesbo e si racconta di tentativi suicidi di chi, benché piccolo, non ha più neanche la speranza. Spero che questa generazione porti nella carne il segno della fragilità e che tutto questo porti con sé tanta umanità e solidarietà rinnovata perché, quando il virus sparirà, allora vedremo gli effetti devastanti che avrà prodotto.