IL FARAONE AKHENATON

Ake....Quando le madri uccidono


"Quando le madri uccidono"Se Veronica non confessa, questa storia terribile sarà di nuovo come quella di Anna Maria Franzoni, con tutto il suo orrore e le sue certezze, e con tutto quel tempo e quei processi passati a rivedere il massacro di un bambino da un qualsiasi studio tv o da un’aula di tribunale, come se non fossero altro che un lavacro per ripulire le nostre coscienze e i nostri dubbi. Lei non ha fatto come Veronica Sbano, 32 anni, di Carovigno, in Puglia, che uccise la figlia di 3 anni facendole bere del diserbante lasciando un biglietto accanto prima di buttarsi dal secondo piano: «Benedetta la porto via con me». O come quell’altra madre che strangolò i suoi bambini di 5 e 8 anni, e poi distese i loro corpi sul lettino con le mani congiunte sopra il cuore. Anche lei si tolse la vita, impiccandosi. Perché le madri che uccidono i propri figli uccidono una parte di se stesse, tolgono alla loro vita una ragione della loro essenza. Molte lo fanno come Medea, che compì il terribile gesto per punire Giasone, il marito che si era innamorato di un’altra donna. E appena pochi mesi fa una mamma di 29 anni, di origini albanesi, a Lecco accoltellò i suoi tre piccoli un mese dopo che il suo uomo l’aveva abbandonata. Tentò di uccidersi pure lei, ma prima di entrare in sala operatoria lasciò la sua flebile e tragica confessione: «L’ho fatto perché sono disperata». Ma al di là dei miti e delle ragioni folle e disperate che spingono una madre ad ammazzare la propria creatura (solo nel nostro Paese 80mila donne all’anno soffrono di depressione post partum, senza che neppure quelli che le stanno vicino lo sappiano) sono altre le cose terribili che colpiscono di più le nostre coscienze. La prima è che dobbiamo ammettere che la mamma che uccide il figlio è come l’uomo che uccide la donna, cioé il brutale esercizio di un potere ancestrale e primitivo sul soggetto più debole, posseduto come una proprietà esclusiva. La verità è che l’amore è una prova molto ardua da affrontare, «la difficilissima consapevolezza», come dice la filosofa Iris Murdoch, «che esiste qualcosa di reale oltre a noi». Troppe volte, invece, finiamo per non rendercene conto, continuando solo ad amare noi stessi attraverso gli altri, e non gli altri attraverso noi. E’ un circolo vizioso che può portare all’esaltazione e alla deformazione della realtà. «Il troppo amore fa male come il non amore», mi confessò una volta Serena Cruz, adottata da due famiglie diverse in una guerra senza fine. Non a caso, la psicoterapeuta francese Benhaim sostiene che «quando l’amore è estremo si approssima alla morte». Ora, se in Italia i figlicidi sono una piccola parte della cronaca rispetto al femminicidio, visto che da noi ogni 3 giorni muore una donna uccisa da un uomo, è altrettanto vero che l’assassinio di un figlio sembra ancora più terribile, perché esprime una violenza sul soggetto più debole e indifeso di tutti. Nessuno protegge i bambini, neanche la legge. E’ un dramma che riguarda tutti. Se nei Paesi più sottosviluppati e più poveri del mondo, i bambini sono addirittura sfruttati come guerrieri, vengono fatti prostituire, venduti come schiavi o usati per il fiorente mercato degli organi, in quelli più ricchi il figlio diventa centrale nella famiglia moderna guastata dal benessere, vittima persino di un altro dramma della nostra società evoluta: il troppo amore, non quello di Iris Murdoch, però, semplicemente il nostro, malato amore. In questa scala di valori della nostra comunità, in questa classifica gerarchica, più deboli delle donne ci sono solo i figli, spesso considerati l’unico ambito su cui esercitare il proprio potere da donne afflitte dalla propria disperazione o che inseguono altri sogni per se stesse e per loro. In provincia di Roma, poco tempo fa, una mamma uccise le sue tre figlie di 13, 10 e tre anni, e poi quando confessò tutto davanti al magistrato, disse: «tanto sarebbero diventate prostitute e avrebbero solo sofferto». Colpisce il fatto che sia proprio la donna a esprimere questa violenza. Ma la verità è che non sempre essere dalla parte debole della storia insegna a guardare le cose da un altro punto di vista, a rifiutare i rapporti di dominio, e a prendere le parti del sottomesso, come pensava Virginia Wolf, diventando quasi un manifesto del femminismo. Non è così, anche perché la donna è rimasta sempre più sola, nella sua crescita di potere, e nel suo ruolo dimezzato di madre prigioniera della luccicante società dei consumi. Se Veronica Panarello ha davvero ucciso il piccolo Loris, non dovremmo nemmeno stupirci troppo dell’incredulità di suo marito, David Stival: «Se è stata lei, mi cade il mondo addosso, non ci posso credere...». Come qualunque medico e psicoterapeuta può spiegare benissimo, molte delle depressioni post partum sono sconosciute alle famiglie e alle stesse madri, che provano persino vergogna a confessarle, come se quella malattia fosse una colpa. Oltre la violenza, la follia e la disperazione di una mamma assassina, c’è questa solitudine infinita, che riguarda tutte le donne, lasciate sole da tutta la gente rassicurante che galleggia sulla superficie delle cose opache e non scende mai dentro a guardare la verità, con tutto il suo mondo anche torbido di angosce e di dolori. Potrebbe trovare la paura.Pierangelo Sapegno-La Stampa----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Solo tanta tristezza,ogni commento è superfluo.Buona serata a tutti Antonello