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« Brani di opere famoseJaufré Rudel »

Se la donna è bene che studi

Se la donna è bene che studi

Aristofane bizzarro artefice di commedie ne intitola una l'Ecclesiazuse, ovvero le donne al parlamento. Vengono esse in piazza abbigliate da uomo, e con barbe pasticce, e discorrono di farsi dare il governo della città, avendo in sè medesime fiducia di amministrar meglio il pubblico, di quello che si facciano molti uomini. Ordinano, che i denari si mettano in comune, e si facciano leggi, fondamento della loro nuova repubblica. È scherzo questo di Aristofane, ma pare a me che sia uno scherzo non del tutto ridicolo, ma in gran parte serioso, e che abbia voluto per avventura il poeta sotto la maschera del riso accennare, l'usurpazione degli uomini aver fatto si che le donne rimangano escluse dai governi, e dalle faccende politiche, del resto possedere esse da per se spirito e talento e teste, quando che sia, da governare, non che una casa, una città, e come si dice, anche un mondo. Non mancano gli esempi nella storia, e senza che io ne tessa qui un lungo catalogo, voi, virtuosi Accademici, il sapete ottimamente, quante si contino non solo le buone madri di famiglia, e savie matrone, e consorti prudentissime, ma grandi ancora nelle virtù politiche, ed eroiche, e d'animo virile, e magnanimo, Principesse, e Regine. Siccome dalla costa d'Adamo fu tratta, e fabbricata la donna, non poté non trarre alcun seme di quel generoso, e di quel forte, che nel petto dell'uomo s' annida. Mi meraviglio d'Aristotile, che nel principio della Politica dichiara la donna serva, e schiava dell'uomo, come con greca albagia fa il barbaro schiavo per natura del Greco. Oppongo allo Stagirita filosofo, l' Ebreo legislatore, organo dell'eterna verità, il quale dice, che Iddio la fece per aiutorio dell' uomo, a lui somigliante.
Chi non sa il coraggio delle Spartano le quali consegnando lo scudo a' figliuoli, che andavano alla guerra, raccomandavano loro, che sempre il tenessero in braccio nè mai vergognosamente l' abbandonassero con dire quel famoso, e certo motto, o con questo, o in questo, servendo lo scudo ai morti in battaglia di bara? Uno che dalla battaglia fuggisse nel riconoscevano per suo, nè per Ispartano; bramandolo anzi gloriosamente morto, che ignominiosamente salvo, non essendo per altro loro lasciata a grado la vita, che per l'onore, anima della vita. Alla novella del figliuolo caduto coll' armi in mano in servizio della patria, non gittavano esse pure una lagrima, sdegnando di mostrare una minima in quel caso femminil tenerezza: ma piene di baldanza e di gioia dicevano pel paese suo è morto, al paese io lo partorii. Fortunate le mie doglie! O buono, o prode, o fino Spartano, o veramente mio figlio! Donde procedevano, Signori miei amatissimi, queste voci? Questo maschio coraggio in petti donneschi onde nasceva? Dallo studiar che facevano le donne spartane fin da fanciulle, negli esercizi d' agilità, e di forza, i quali aveano col viril sesso comuni. Tanto più l' assuefazione l'educazione e lo studio. E per istudio intendo non quello che si fa su i libri, del quale mancavano gli Spartani mossi alla guerra, ma quello de'costumi, delle instituzioni civili, e delle buone e prudenti massime. Ben so, che Omero introducendo Andromaca col picciol bambino Astianatte in braccio, a dissuader Ettore dal cacciarsi tra nemici con dire, che la sua troppa bravura sarà cagione della sua morte, le fa rispondere francamente da quel valoroso, che vada, ed attenda a' suoi lavori, alle tele, ed alla conocchia (che non si vergognavano di tessere, e di filare ne' buoni antichi tempi le matrone) che a lui sarebbe stata a cuore, come suo proprio affare, la guerra; e ciò per sua riputazione e del paese. Ma questi stessi uffizi, che alle donne appartengono, e che precisamente toccano alle buone madri di famiglia, del sopra intendere a' lavori domestici, facendo lavorare, e lavorando anch'esse; del tirare innanzi la casa; e inoltre dell'allevare le figliuole, e i figliuoli, e del bene, per così dire, creargli, e fargli (negozio importantissimo, e di quella conseguenza, che ognun vede) non possono esse, siccome gli uomini, apparare dai libri de'savi, che ne ragionano, e dalle vite di quelle, che felicemente tutto ciò praticarono? Il libro di Senofonte, intitolato l'Economico, il quale per suo esercizio, e per bene della favorita sua lingua latina, dal greco traslatar volle Cicerone, della qual traduzione affatto perduta se ne conservano tuttavia alcuni preziosi frammenti presso Columella, non é egli pieno d' utilissimi precetti, e di regole santissimo pel buono incamminamento, e per la conservazione, e per l' accrescimento d' una casa? I doveri, che corrono tra padre e figliuolo, tra marito e moglie, ed altre domestiche obbligazioni, e buone osservanze economi che si sono con non minore puntualità, che eleganza, e saviezza descritti. Or come che ad esse donne destinate alla cura della famiglia e per mantenimento ancora, ed illibatezza del proprio decoro, non conviene molto l'andare attorno, e la maggior parte del tempo vengono a star ritirate, ed a guardare la casa, non sarà male il tramezzare i loro lavori con qualche studio che serva loro insieme e di divertimento e di profitto. Una Diotima fa pure la teologhessa nel convito di Platone, e discorre altamente della natura d'amore. Una Aspasia Ateniese sentì, pare a me, le lezioni di Socrate, e fu nell'arte del dire, che colla filosofia si perfeziona, maestra di Pericle, insigne oratore della sua repubblica, il quale possedeva una eloquenza fulminante. Ebbevi una Teano Pittagorica di cui si leggono, presso lo Stobeo, frammenti di filosofia morale; una Ipazia d' Alessandria, fanciulla, figliuola del matematico Teone, che leggeva pubblicamente nella professione del padre, menzionata nell'intitolazione di alcune di quei libri di Teone medesimo sopra l' Almascato di Tolomeo, che nella celebre libreria laurenziana il sereniss. Gran Duca, suo clementissimo Signore, e di questa Accademia protettore benignissimo, unicamente possiede. Delle donne filosofe ne fece un libro latino il Menagio, uomo di rara ed amena dottrina, nel quale per errore mise per Senese la sig.ra Selvaggia Borghini Pisana, onore del nostro secolo, e della più nobil filosofia, e della toscana sublime poesia singolare coltivatrice. Io tralascio le Veroniche Gambare, le Tullie d' Aragona, le Vittorie Colonna, le Battiferre Ammannate, le Faustine degli Azzi, ed altre molte, dell'antico, e del moderno tempo, che emularono nella leggiadria dei versi, ma nella bontà del costume superarono quella, che fu detta la decima musa, la graziosa ed amorosa Saffo. E quando esse rivolgano il loro stile a trattare argomenti, che contengano sentimenti d'amor coniugale, od onesto, o divino; non so vedere, perché esse non possano aspirare a guadagnarsi, come gli uomini, sublimità di gloria, ed eccellenza di fama. Oh questi studi di lettere le devieranno dalle loro principali obbligazioni, chiamandole a loro, e da quelle astraendole. Ma questo pericolo è ancora negli uomini, ai quali é biasimabile il trasandar per cagione della soverchia applicazione agli studi, i civili doveri, e le politiche incumbenze; il compire le quali, se essi bene attendono, è dalle medesime lettere consigliato che si possono dalla lettura degli amorosi, e degli allegri libri non solamente svagare, ma guastarsi nell'animo, e rovinarsi nel costume. E per questo Ovidio trattando de' rimedi della malattia d' amore, proibisce a chi non é ben sodo, e ben fermo la lettura de' Catulli, de' Properzii, de' Tibulli, degli Anacreonti, e degli altri, che possono co' graziosi loro detti seminare guasta passione, e rincrudire le mal saldate piaghe. Tanto adunque pende dal giudizio, e dalla scelta delle materie, e dagli autori da studiarsi; e inoltre dall'uso, e dal maneggio di quelli, che dalla disposizione di chi in essi medita, studia, o legge.
Ne usciranno esse dottore, e salamistre, e non ne potranno i buoni mariti con esso loro, riottose arroganti, superbe per lo studio divenute. Ma questo pure è difetto di chi studia male, e non usa bene lo studiato, o pure è di così malvagia indole, che il buono non gli fa pro, e ciò che dovrebbe servirgli d'alimento, gli si converte in veleno. Che se si studierà bene, e a fine di cavarne profitto, e di divenirne non solo più dotti, ma migliori; e se studieranno cose proprie delle figure, che uno fa nel mondo, e degli esercizi, in che Iddio ci ha posti, non vi ha ragione alcuna, che tanto alla donna, che all'uomo lo studiare non si convenga, essendo tanto l'uno, che l'altro d'ogni pulimento di dottrina, e d'ogni raffinamento capaci.

Anton Maria Salvini (Firenze, 12 gennaio 1653 - Firenze, 17 maggio 1729)
Da: Florilegio femminile compilato da Emanuele Rossi Volume Tezo Genova Presso l'Editore G.B. Ferrando 1841, pagg. 374-380

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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