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Isabella Mastrilli

Post n°4505 pubblicato il 23 Febbraio 2019 da valerio.sampieri
 

Cercando notizie sulla Mastrilli, mi sono imbattuto in un articolo molto ben fatto ed esauriente, intitolato "Isabella Mastrilli, la prima poetessa di Marigliano" di Mariangela Barretta, datato 5/10/2008. Ho verificato che il testo è liberamente utilizzabile a condizione che si ponga la dicitura "Fonte ilmediano.it; indirizzo telematico www.ilmediano.it". Ciò premesso, non mi resta che riportare qui di seguito la breve biografia.

La nobile e bellissima Isabella Mastrilli, bisnipote di Giulio, fu autrice di molte liriche e fondatrice dell’ "Accademia di Marigliano", dedita alla poesia.

Nella duchessa Isabella Mastrilli convivevano due anime: quella antica e rassegnata di nobildonna piegata ai voleri del casato, e quella di poetessa passionale e quasi ribelle che- in un’epoca non certo favorevole alle donne- ha diffuso le sue opere acquisendo i favori dell’intellighentia secentesca.

Nata il 29 Gennaio 1682, Isabella era l’unica figlia del duca Marcello e di Giulia Alberini dei Principi di Cimitile e come tale era duchessa di Roccarainola e dei suoi casali, del feudo di Fellino, di Marigliano e dei suoi casali, di Tufino, di Saviano, di Casamarciano, di Faivano, di Vignola e di Campasano. In quanto unica figlia era anche unica erede del nobile casato dei Mastrilli e, come tale, fu chiamata in tenerissima età a salvaguardare la sopravvivenza della dinastia: per questo motivo fu costretta ad accettare il matrimonio con il Marchese Giovanni Di Gallo (imparentato alla lontana con il nobile casato di Isabella), di ventisette anni più vecchio di lei e, come se non bastasse, quando andò in sposa al marchese aveva appena dodici anni e ventisette giorni.

Crescendo, Isabella divenne una delle dame più eleganti e raffinate del suo tempo, ingraziandosi l’intellighentia dell’epoca per il suo acume ancor prima che per la sua avvenenza. A tal proposito Maria Chiara Mandanici e Samantha Vivo scrivono: "I suoi occhi neri, vivaci e luminosi,la sua alta statura e il suo aspetto gentile ispirarono i versi di numerosi letterati dei quali soleva circondarsi nella sua casa e dai quali fu eternata come donna dalla rarissima bellezza e corteggiata con insistenza soprattutto dopo la morte del marito". Rimase vedova, infatti, nel 1728, a quarantacinque anni.

Isabella Mastrilli, però, non fu solo musa ispiratrice bensì ella stessa autrice di moltissime liriche nonché di alcune commedie, firmandosi con lo pseudonimo di Elinda Zalèa. A soli vent’anni compose la commedia "Il prodigio della bellezza", che fu rappresentata per la prima volta a Tufino e dedicata dall’autrice al suo nobile genitore. Fu autrice anche della tragedia "Ottone". Date le sue doti di scrittrice, venne insignita dall’ Associazione dei Poeti Napoletani del titolo di "Accademica Unica" ed alcune sue liriche (tra le quali la malinconica "Calde lagrime mie") furono inserite nella "Raccolta dei Poeti Napoletani" nel 1723. Inoltre, frequentò l’ "Accademia del Capraio" e quella della Stadera e, dulcis in fundo, fondò "l’Accademia di Marigliano" di cui fecero parte notissimi esponenti della cultura del secolo tra i quali Carlo Pecchia.

Isabella fu anche fervente religiosa: sua, infatti, una cappella che si trova nella chiesa Collegiata "Santa Maria delle Grazie" di Marigliano. Tuttavia, la figura di Isabella fu offuscata dalla scarsa avvedutezza in campo economico. "Condusse infatti- scrivono ancora Vivo e Mandanici- una vita mondana oltremodo dispendiosa e lussuosa portando quasi in rovina la famiglia se non fosse stato per il tempestivo intervento del marito e dei figli". Alla sua morte, nel 1761, privò il suo casato di molti beni: nel suo testamento non mancò di ricordare tutti i suoi corteggiatori e lasciò molti averi alle donne della sua famiglia (le quali in presenza di fratelli maschi perdevano ogni diritto di eredità). Le sue spoglie furono sepolte a Napoli, nella chiesa del Purgatorio ad Arco.

Indice poesie

A che sì neghittosi, e in aria mesta
Calde lagrime mie, voi, che sovente
Da la beata, eterna, alta magione
La notte, che succede al fausto giorno
Qual di barbara gente inqua schiera
Quali vegg’io scoscese balze, e rupi
Scoscese rupi, orrido speco, e nero



A che sì neghittosi, e in aria mesta


A che sì neghittosi, e in aria mesta
Amici eccelsi Vati? Ah! Non è questa
L’antica vostra a me pur nota, e rara,
Umilmente altera, e lieta usanza.
Voi neppur me guardate! Io son pur quella
Tanto a voi cara Madre alma Colomba;
Per cui la chiara tromba
Di gloriosa fama appena ha fiato.
Ma, se il vero mi avviso,
L’insigne tra di voi io non diviso
Raro eccelso compagno, il mio Pompeo;
Quei che più volte feo
Tra noi del suo savere auguste prove.
Ahimè! quale in voi scorgo
Dirotto, e mesto pianto? Ov’ei s’asconde?
Tremo, né so perché. Niun risponde?
Cari Figli, voi piangete,
E fissate i lumi al suolo!
Per pietà mi rispondete,
Tanto duolo,
Oh Dio! perché?
Ah! che un roco mormorio
Va spiegando i mesti accenti,
Che l’amabil Figlio mio
Più tra i vivi egli non è.

Ah! che non ha compenso il nostro affanno.
Ma qual dal Ciel discende
Raggio di chiara luce? Egli m’accende
E vuol che rincorata a voi favelli.
Non più mestizia e duol, dolci miei Figli,
Ciocché fa il vostro lutto,
Bella cagion di nuovo gaudio è in Cielo.
Egli dal sommo Amore
Già penetrato, a lui divien simile,
Qual ferro, che rovente, esce dal foco:
Egli, ch’eterno in Dio fruisce, e gaude,
Divin savere impetreravvi e laude.
Qual chiaro fonte,
Che giù dal monte
Nel prato scende,
Inaffia, e avviva
Quell’Acquaviva
Questo, e quel fior,
Così dal Cielo
Nelle vostr’alme
Ei lume accende,
E allori, e palme
V’appresta ognor.

Ultimi Ufficj del Portico della Stadera - Al P. Giacomo Filippo Gatti tra i Porticesi Pompeo Acquaviva - In Napoli 1746 nella Stamperia de' Muzj (pagine 204)



Calde lagrime mie, voi, che sovente

Calde lagrime mie, voi, che sovente
La più remota e solitaria parte
Del mio albergo irrigate a parte a parte,
Unico sfogo di mia doglia ardente;

Gitene a lui, che di mia stanca mente
Tien l' alto impero, e dite (onde abbia in parte
Pace il mio cor) che spesso in marmi, e in carte
Suo nome a imprimer va mia man dolente.

Dite che l' ardor mio, lassa, ormai veggio
In vasto incendio alzarsi, onde il martire
Forza è che scopra, o che tacendo io mora.

Ma perchè grave errore il primo fora,
E sperar pace altronde è van desire,
Morte chiamo sovente, e morte chieggio.

Agostino Gobbi, Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), p. 627.
Mastrilli, Isabella (?-1717) Collected Poems [1700] (Chicago: Italian Women Writers Project, ca. 1700), Ed. Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K
Delle Rime scelte di Varj Illustri Poeti Napoletani, Volume Primo, In Firenze a spese di Antonio Muzio, 1723.



Da la beata, eterna, alta magione

Da la beata, eterna, alta magione,
Ove tra mille e mille eletti cori
Vivommi lungi dagli umani errori,
Dal tempo, che lasciai la fral prigione,

Perchè mi chiami? e dove? e chi l'impone
Sublime genio de' miei sacri allori?
Tu, che quaggiù tergesti i miei sudori,
E di palme e trofei fosti cagione,

Vuoi che là volga i lumi, ove del Lazio
Siede l'alma Città, che grata io veggo
Rinnovar la di me spenta memoria.

Chi m'illustrò dopo sì lungo spazio?
Sì, per te, Sommo Vero, in Cielo io seggo,
Per te, Luigi, in terra ho nuova gloria.

Delle Rime scelte di Varj Illustri Poeti Napoletani, Volume Secondo, In Firenze a spese di Antonio Muzio, 1723.



La notte, che succede al fausto giorno

La notte, che succede al fausto giorno
In cui s' adora il Redentor risorto,
Mentre ogni senso era nel sonno assorto,
Che l' umid' ali a me spandeva intorno;

Pareami di veder l' alto soggiorno
Del divo Apollo atro, dolente, e smorto,
E mesto ei dir; non più bramo conforto,
Dotte Muse, da voi col canto adorno.

Stupida allor chinando al suolo i rai,
Dissi con fievol voce: altero Nume,
Qual rea cagion si ti confonde, e attrista?

Ed ei: destati, Elinda, e lo saprai.
Sorgo, ed odo piangendo: e spento il lume,
Che al saver ne scorgea, morta è Batista.

Luisa Begalli Gozzi, Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d' ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, p. 236.
Mastrilli, Isabella (?-1717) Collected Poems [1700] (Chicago: Italian Women Writers Project, ca. 1700), Ed. Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K
Delle Rime scelte di Varj Illustri Poeti Napoletani, Volume Secondo, In Firenze a spese di Antonio Muzio, 1723.



Qual di barbara gente inqua schiera

Qual di barbara gente inqua schiera
L'inerme peregrin tra via con fello
Impeto assale, ond'è ch' il meschinello
Scampo a la dubbia vita indarno spera;

Scorge da presso già l'ultima sera,
Nè sa se quello è il fatal colpo, o quello,
Che a morte il tragge, e indarno il fier drappello
Guatando piagne: ahi crudel sorte, e fiera!

Tal'io tra mille danni or serena,
Lassa, non veggio ancor, nè stanco, o sazio
D'insidie atroci Amor promette calma.

Così passando vo di pena in pena
Trista, e dolente, e d'uno in altro strazio,
Nè so qual di mia morte avrà la palma.

Delle Rime scelte di Varj Illustri Poeti Napoletani, Volume Secondo, In Firenze a spese di Antonio Muzio, 1723.



Quali vegg’io scoscese balze, e rupi

Quali vegg’io scoscese balze, e rupi,
Fosche grotte, ner’antri, atri cipressi,
Minacciosi baleni orridi e spessi,
Larve, nottole triste, ingordi lupi.

Tutti in proprio sermon noiosi e cupi
Mandano stridi; indi dal duolo oppressi
Turban greggi, ed armenti; ond’è ch’espressi
Lascian segni di strage in que’dirupi.

Voci odo intanto miste a crudi lai:
Morte morte, alternando, orrida morte,
Morte, cagion del nostro acerbo affanno!

Lassa! qual grave danno esser può mai,
Che terra, ed aere a tanto duol trasporte?
Ahimè! Morto è Pompeo. Qual maggior danno?

Ultimi Ufficj del Portico della Stadera - Al P. Giacomo Filippo Gatti tra i Porticesi Pompeo Acquaviva - In Napoli 1746 nella Stamperia de' Muzj (pagine 204)



Scoscese rupi, orrido speco, e nero

Scoscese rupi, orrido speco, e nero,
Funesti alti cipressi, atre caverne;
L' occhio doglioso in voi più non discerne
Quel tetro taciturno orror primiero.

Da che mio reo destin spietato, e fero
Mi sferza, e pugne ognor con doglie interne,
Più dolci sembran vostre asprezze esterne
Al combattuto mio stanco pensiero.

Sprezzo l' umane cose, odio me stessa,
Scerno in lor, veggio in me d' infido amante
L' immago ingannatrice a segni impressa:

Ma, lassa, oh Dio, troppo quel bel sembiante
Un dì mi piacque, onde per legge espressa
L' amai fido, or l' adoro anche incostante.

Agostino Gobbi, Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), p. 627.
Mastrilli, Isabella (?-1717) Collected Poems [1700] (Chicago: Italian Women Writers Project, ca. 1700), Ed. Hillman, Cynthia; Quaintance, Courtney K
Delle Rime scelte di Varj Illustri Poeti Napoletani, Volume Secondo, In Firenze a spese di Antonio Muzio, 1723.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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