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Affiarà

Post n°2995 pubblicato il 26 Luglio 2016 da valerio.sampieri
 

AFFIARÀ
[Bernoni]: Deriva, senza dubbio, da flagrare della lingua latina, che vale "fiammeggiare", "avvampare", "ardere". (I popolani romani hanno sempre detto e continuano a dire fiara per "fiamma" o "vampa"). C'è però da osservare che affiarà viene usato fra i Sette Colli, almeno da tre secoli, nel senso esclusivo di "assalire con la celerità propria d'una vampata"; e si deve subito avvertire che siffatto verbo risulta coniugato solo nella sua forma riflessiva affiarasse (cioè, "slanciarsi rapidissimamente come improvviso scoppio di incendio", "avventarsi").
Giuseppe Berneri ( 1634-1700): ... Non così và di pecorelle a caccia / nelle campagne un'affamata lup Butta l'ago e le forbice pe'a, / come inverzo la gente, 'st'animale, / s'affiala [sic!], e se pò farlo fà del male ... ("Meo Patacca", IX, II4).
G. G. Belli (1791-1863): ... Che vòi! appena fu arrivato sù, / je s' affiarò a la vita, e for de sé / la sbramò [sbranò] senza faje dì Gesù ... ("Er lupo-manaro").
Trilussa ( 1871-1950): ... Che te ne fai dell' ale tutte d'oro / se poi l' ucelli barberi / agguattati sull' arberi / te s'affiareno addosso co' l'artiji? ("La Farfalla e l'Ape").
Nel Belli si trova il participio passato di affiarà con il significato di "avventato": ... quann' ecchete, affiarato com' un farco, / un sguizzero [svizzero] der Papa duro duro ... ("La pisciata pericolosa").
[Chiappini]: Affiarasse, Affiararse, Affiararsi. Avventarsi, Sfogarsi addosso a qualcuno.
[Vaccaro Ge., Bell.]: AFFIARASSE. (v. denom. Dall'ant. it. fiara, fiamma, deriv. Dall'adattamento del provenz. flar, lat. flagrare, con pref. d'avvicinamento.illat. ad -af-) v. intr. Pr Avventarsi addosso a qualcuno, dopo essersi adirato. Lambire come fiamma: Affiarasse com'un cane, com'una tighera.
Belli, Li nobbili: "e ppe un capello / poi te s’affiara indov’azzecca azzecca." (T2-1632, S-1630)
Belli, La mollichella a galla: "Sto sciníco de pane che ss’è mmosso / nun paro tutto io, pasciocca mia, / quanno ar vedette me t’affiaro addosso?" (T2-1848, S-1812)
[Vaccaro Ge., Tril.]: AFFIARASSE. v. sopra. Sara ch'arinacciava, 'na carzetta Butta l'ago e le forbice pe' tera E je s'affiara come 'na saetta (Zanazzo, Le pretese de 'gnor Abbramo).
Trilussa, Lupi e Agnelli, La Farfalla e l'Ape: Che te ne fai dell'a le tutte d'oro/ se poi l'ucelli barberi / agguattati sull'arberi / te s'affiareno2 addosso co' l'artiji?
Trilussa, Libro muto, In finestra: Ma appena che la sente un Gatto rosso, / ch'è l'amico der sole, arruffa er pelo, / je raschia un soffio e je s'affiara addosso.
[Ravaro] riporta la sola forma riflessiva "affiarasse": Avventarsi come una fiamma alimentata dal vento, lanciarsi contro una persona con violenza e rapidità. Deriv. Da "fiara" (fiamma).
Berneri: Presto s'affiala e resta intimorito. || Beli: Poi re s'affiara, indove azzecca azzecca || Zanazzo: E je s'affiara come una saetta || Trilussa: Je raschia un soffio e je s'affiara addosso || Fefè: S'affiara contro ... la campagna aperta || Dell'Arco: Lavoranno de gommiti, e s'affiara.
[Malizia]: Affiarasse. Verbo che dà l'immagine della fiamma alimentata e spinta dal vento; nella stessa maniera si comporta chi si getta a capofitto contro una persona per usarle violenza.
[VS]: Jandolo, Torre de la Serpentara: "Quanno sente però che lui l'abbraccica / e l'arza pe' buttalla drento ar fosso, / a l'improviso je s'affiara addosso / e, disperata, se lo strigne a sé!".
Giuliani, Via dell'Orso (Er fattaccio): "Mia, la stella de carta: / a fatica se stacca da la via; / ma come sfiora un tetto, come odora / er celo, ce s'affiara."
Trilussa, Picchiabbò, 7: "E tutti ciaveveno da fa' quarche raccomannazzione. Dice: - Per carità, nun je grattate la panza, sennò ve s'avventa! Ve s'affiara come una saetta... Me raccomanno de nun tinticallo sotto a la coda, ché ce teme. Ve potrebbe, sarvognuno, sartà all'occhi ... E' tanto dilicato ..."
Dell'Arco, Ottave, Er sacco de Roma: "Guarda er Tevere: arriva a pecorone, / lavoranno de gommiti, e s’affiara / a testa bassa incontro ar murajone:"
Torini, Rigoletto, XIII: "Poi, mentre er temporale fa rumore, / quello debbotto je s’affiara addosso / e la trafigge: er sangue schizza rosso / e Girda, zitta, appoco appoco more."

 
 
 
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