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Il Trecentonovelle 90-92

Post n°2915 pubblicato il 22 Giugno 2016 da valerio.sampieri
 

Il Trecentonovelle
di Franco Sacchetti

NOVELLA XC

Un calzolaio da San Ginegio tratta di tòrre la terra a messer Ridolfo da Camerino, al quale essendo venuto agli orecchi, con belle parole lo fa ricredente del suo errore, e perdonagli.

Ancora mi conviene tornare a una delle novelle di messer Ridolfo da Camerino, la quale sta in questa forma. Uno calzolaio della terra di San Ginegio, la qual tenea il detto messer Ridolfo, fu una volta sì presuntuoso che cominciò a parlare e a trattare per via di stato contro al detto messer Ridolfo; di che gli venne agli orecchi. Essendo il detto messer Ridolfo nella detta terra, e saputo che ebbe il convenente del fatto, non corse a furia, come molti stolti fanno; e non volle che queste cose paressino, se non come da calzolaio. E ancora non volendo mostrare viltà, ma più tosto magnanimità, mostrò d'andare a sollazzo per la terra; e andando dove questo calzolaio stava con la sua stazzone, e messer Ridolfo si ferma e dice:
- Perché fa' tu quest'arte? - E quelli dice: - Signor mio, per poter vivere - . E messer Ridolfo dice: - Non ci puoi vivere con essa, non è tua arte e non è tuo mestiero, e non la sai fare -; e toglie le forme e falle portar via.

Il calzolaio poté assai dire, che non si trovasse senza le forme; e non sapendo che si fare, e non potendo pensare quello che questo volesse dire, se ne va più volte a messer Ridolfo a richiedere le sue forme. Alla per fine v'andò una volta, e trovò messer Ridolfo con una brigata di valentri uomini; e avvisandosi, se chiedesse le forme dinanzi a tanti, gli verrebbe meglio fatto di riaverle, considerando il detto messer Ridolfo per vergogna più tosto gliene rendesse; e fattosi innanzi, in presenza di tutti dice:
- Signor mio, io vi priego mi rendiate le mia forme, ché io non posso lavorare, né far l'arte mia.

E messer Ridolfo guarda costui, e dice:
- Io ci t'ho detto, che non è l'arte tua di cucire ciabatte e fare calzari.

E 'l calzolaio disse:
- O se questa non è l'arte mia, che sempre ce l'ho fatta qual è la mia?

Disse messer Ridolfo:
- Ben ci hai domandato; l'arte tua è di stare per questo bello palazzo, e darti alle cose più alte; e io voglio tener quelle forme, per imprender di cucire, e di fare le scarpe e' calzari, se mi bisognassi.

Questo calzolaio, continuando le sue domande, e messer Ridolfo facendo risposte strane e chiuse, e gli omeni che qui erano pareano come smemorati a udire il calzolaio domandare le forme e le risposte che 'l signor facea. Stati per alquanto spazio, e messer Ridolfo dice:

- Questo ciabattino che voi vedete qui, ha trattato di tormi la signoria; e io, sappiendo ciò, e veggendo che l'animo suo de' esser grandissimo, e non da tirare li cuoi con li denti, ma più tosto da esser signore in questi palazzi, gli ho tolto le forme, però che, se cerca questo mestiero e parli che questo debba essere il suo, di quello non ha a fare alcuna cosa, però che non è suo mestiere, ma è molto vile e basso al suo grand'animo.

Questo calzolaio si scusava, e cominciorongli a tremare li pippioni: e messer Ridolfo dice:
- Nella tua mal'ora, non ti pure scusare, ch'io so ogni cosa, e voglioti condannare in presenza di costoro -; e disse a uno che andasse per le forme.

Quando il calzolaio udì questo, s'avvisò che con le dette forme il dovesse fare uccidere. Giunte le forme, dice messer Ridolfo:
- Dappoi che ci hai detto innanzi a costoro che questo è il tuo mestiero, e io ti voglio credere, e rendoti le forme; ma lascia stare il mio mestiero che non è da te, né da tuo pari, e torna a tagliare e a cucire le scarpe nella tua mal'ora; e va' e fammi lo peggio che puoi.

Al calzolaio cominciò a tornare lo spirito; e disse:
- Signor mio, - inginocchiandosi, - io prego Dio che vi dia lunga e buona vita; e della grazia che mi avete fatta vi dia quel merito che alla vostra virtù e alla vostra misericordia si richiede. Io per me non sono da tanto che mai ve lo potesse meritare; ma bene siate certo d'una cosa che l'animo mio, e ciò che io posso, è tutto dato a voi.

E così si partì in quell'ora, che mai non pensò, né in detto né in fatto, se non ad esaltazione del suo signore. E 'l detto messer Ridolfo per questo ne divenne al suo populo sì amato che tutti parve che con un fervente amore ad ogni suo bisogno.

Oh quanto egli è da commendare uno signore quando per uno vile uomo gli è fatto simile offensa, che egli se ne curi come curò costui, mostrando la sua magnanimità e l'animo liberale, il quale il fa grande e montare fino alle stelle, per aver annullate e fatto poca stima di quelle cose le quali molti vili fanno maggiori, temendo che ogni mosca non gli offenda.


NOVELLA XCI

Minonna Brunelleschi, essendo cieco, di notte guida altrui ad imbolare pesche; e alcun altro furto per lui piacevolmente fatto.

Minonna Brunelleschi da Firenze fu ne' miei dì, e fu cieco, come che in molte cose passava gli alluminati, per tale che niuno suo vicino era che, se aveva a mettere cannella in botte di vino, non mandasse per lo Minonna che la mettesse; e io più volte il vidi che mai non versava gocciola di vino, giucava a zara e andava solo sanza niuna guida. Avea costui un suo luogo alle Panche, e avea per vicino un Giovanni Manfredi, vocato Giogo. Avea appostato il Minonna nella vigna di questo Giogo certi peschi carichi di bonissime pesche; e una sera di notte ebbe due compagni, e disse:
- Volete voi venire meco in tal luogo per le pesche?

Dissono costoro, ch'erano capitati a casa sua, ed erano fiorentini:
- O noi non sappiamo il luogo noi.

Dice il Minonna:
- Non ve ne caglia; verrete, come io vi guiderò, e recate questo sacco.

Costoro due guardano l'un l'altro, dicendo:
- Questa è ben gran cosa, che gli alluminati sogliono guidar e' ciechi, e questo cieco vuol guidare gli alluminati.

Infiammorono via più d'andare, e dissono:
- Andiamo, per vedere tanto nuova cosa.

Andorono, e troppo bene di campo in campo il Minonna gli ebbe guidati; e giugnendo per entrare nella vigna, dov'erano li peschi, questa era molto bene affossata, e con buona siepe. Dice il Minonna:
- Lasciate andare me innanzi; venite in quaggiù, ché ci dee essere una cotale callaietta nascosa -; e coloro dietro.

Quando fu alla callaia, dice il Minonna:
- Or passate qui, e tenete da man ritta, e vedrete i peschi.

Costoro così fanno, e così truovono ciò che dice; e 'l Minonna con tutto ciò fu a' peschi quand'eglino; e coglievane egli per amendue loro: in fine egli empierono 'l sacco; e 'l Minonna volea che gliel mettessono in collo. Costoro non vollono, e pigliono questo sacco il meglio che possono, e tornansi a casa e vannosi a letto.

La mattina il Minonna ed ellino se ne vanno a Firenze, e questi due non potendosi tenere che la detta novella non divolgassino, pervenne la detta cosa agli orecchi di Giovanni Manfredi. Non potendosi il detto dar pace, sanza dir alcuna cosa, la seguente notte se ne va con alcuno nell'orto del Minonna, e tagliato molti belli cavoli che v'erano, e colti quelli frutti che poté portare, e fare danno, fece.

Arriva la novella al Minonna, e subito si pensa essere stato Giovanni Manfredi; e comincia a soffiare che parea un porco fedito, con un naso sgrignuto e con un leggìo di drieto per ispalle, che parea un dalfino quando sopra il mare si getta soffiando a indovinare tempesta. Subito si mette la via fra gambe, e caccia il capo innanzi con la foggia, come andava, per andare alle Panche; e passando con questo impeto dalla bottega di Caperozzolo, di fuori nella via era uno bariglione su uno desco con non so che cose da fare o lattovari o savori in molle, e davvi sì fatta entro che 'l bariglione e 'l desco, con ciò che v'era, andò per terra; e va pur oltre a suo cammino. Caperozzolo, o suo lavoratore, che pestava dentro, vedendo questo, esce fuori e guata dietro al Minonna, gridando:
- Morto sie tu a ghiado, o non vedi tu lume? che perdere postù gli occhi.

Il Minonna fece vista di non udire, e va pur via, e giugne alle Panche, ed entra nell'orto, e va tastando li cavoli con ciò che v'è, dolendosi forte, e massimamente de' cavoli de' quali spesso mangiava gran minestre; e stette alcun dì, mostrando non sapere chi ciò gli avesse fatto. Alla per fine pensò che la cosa non rimanesse qui. Una sera ebbe due contadini, e pregolli fussino con lui, e così fu; ché venuta la notte, con due sacca e con coltellini andorono all'orto di Giovanni Manfredi, dove era un campo d'agli di smisurata bellezza, e de' quali il detto Giovanni sempre ragionava, e questi agli divegliendo a uno a uno, tagliarono li capi e mettevano ne' sacchi, e 'l gambo rificcavono nella terra, e così tutti gli ebbono divelti e portati i capi e lasciati i gambi nel luogo loro.

Da ivi a due dì, essendo e Giovanni e Minonna al Trebbio, dove usavono, il Minonna si dolea de' cavoli suoi. Dice Giovanni Manfredi:
- Io vorrei che mi fussino stati innanzi tolti gli agli miei, che si guastassino come pare che si guastino.

Dice il Minonna:
- Come? egli erano così belli.

E quelli dice:
- E' sono tutti appassati da ieri in qua.

Dice il Minonna:
- Saranno forse bruciolati.

Costui se ne va, e comprende troppo bene che 'l Minonna abbia fatto qualche cosa; ed entrato nell'orto, tira uno aglio, tirane due, e' poté assai tirare che trovasse il capo a niuno. Subito immaginò quel che era; e l'altro dì, essendo al Trebbio, non si poté tenere il Giogo che non dicesse:
- Minonna, almeno ne avestù lasciato qualche uno.

Disse il Minonna:
- Ha' tu il farnetico?

Disse il Giogo:
- Io l'ho bene, quando tu m'hai tolto gli agli miei.

Dice il Minonna:
- Di' tu de' cavoli miei? mandastegli tu a vendere alla Ciacca?

- Che Ciacca, che sia mort'a ghiado?

- Anzi sia tu.

- Anzi tu -; e vanno l'un contro all'altro per darsi.

Aveano centocinquant'anni tra amendue, e uno era cieco, e l'altro avea gli occhi arrovesciati che pareano foderati di scarlatto. La gente fu su, feciono fare la pace; al Minonna rimasono gli agli, al Giogo i cavoli e mai non si vollono bene, e sempre borbottavano niuno per ammendarsi, aveano i piè nella fossa, e imbolavano agli e cavoli: averebbono ben tolto altro, perché cane che lecchi cenere non gli fidar farina.


NOVELLA XCII

Soccebonel di Frioli, andando a comprare panno da uno ritagliatore, credendolo avere ingannato nella misura, e 'l ritagliatore ha ingannato lui grossamente.

Fu in Frioli nel castello di Spilinbergo già uno ritagliatore fiorentino; e andando uno friolano, che avea nome Soccebonel, a comprare panno, cominciò a domandare del panno di qualche bel colore, però che volea fare una cioppa da barons. Lo ritagliatore dice:

- Vuo' tu celestrino?
- No.
- Vuogli verde?
- No.
- Vuogli sbiadato?
- No.
- Vuogli cagnazzo?
- No.
- Vuogli una cappa di cielo?
- Sì, sì, sì.

Avvisossi al nome, che vi fosse il sole e la luna, e le stelle, e forse gran parte del Paradiso. Fatto venire questo cappa di cielo, furono in concordia del pregio per quattro canne. Il ritagliatore truova la canna, e dice a Soccebonel:
- Piglia costì, e comincia a metter su la canna.

Il friolano metteva, e tirava il panno più su che la canna, quando uno sommesso, e quando più, e stavasi tanto attento che ad altro non guatava. Il fiorentino, che nel principio subito se ne fu avveduto, quando mettea il panno su la canna lasciava mezzo braccio della canna a drieto, e quando più, sì che ogni quattro braccia tornavano al buon uomo forse tre e mezzo. Misurate le quattro canne, e pagato, il friolano se ne fa portare il panno; e perché lo 'nganno s'occultasse, dice il venditore:
- Vuo' tu far bene? attuffalo in una bigoncia d'acqua e lascialo stare tutta notte, sì che bea bene, e vedrai poi panno ch'el fa.

Costui così fece; e la mattina lo scola alquanto dall'acqua, e mandalo al cimatore, che l'asciughi nella soppressa e che lo cimi. Cimato il panno, e Soccebonel va per esso, e dice:
- Che de' tu avere?

Dice el cimatore:
- E' mi par nove braccia; da' nove soldi.

Dice costui:
- Come nove braccia? oimè! che di' tu?

Il cimatore il truova, e dice:
- Vedilo, misuralo tu.

Rimisuralo, e non lo truova più; e dice:
- Per lo corpo della madre di Jesu Cristo, che mi serà stato furato.

E va al ritagliatore, e va di qua, e va di là; l'uno gli dicea:
- Questi panni fiorentini non tornano nulla all'acqua.

E il ritagliatore dicea:
- Guarda dov'egli stette la notte che 'l mettesti in molle, che chi che sia non l'avesse imbolato.

Un altro dicea:
- Questi cimatori sono tutti ladri.

E un compagno del ritagliatore, che forse sapea il fatto, dicea:
- Vuo' ti dica il vero, gentiluomo? Ché non è molto che io udi' dire che uno levò un braccio di panno fiorentino, e la sera l'attuffò, come tu facesti questo, in uno bigonciuolo d'acqua, e lasciovvelo stare tutta notte, la mattina quando andava per trarlo dell'acqua, egli lo trovò tanto rientrato che non vi trovò nulla.

Dice Soccebonel:
- Au, può esser cest?

E que' rispose:
- Sì, può esser canestre.

Or così costui credendo ingannare, rimase ingannato, e fu per impazzarne; e la cappa di cielo tornò che non arebbe coperto un ciel d'un piccol forno; e la cappa da barons si convertì in un mantellino, che parea un saltamindosso. E così avviene spesse volte che tanto sa altri quant'altri.

 
 
 
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