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Anonimi (Scuola Siciliana)

Anonimi della Scuola Siciliana.

Deh, com'egli è gran pietate

Deh, com'egli è gran pietate
delle donne di Messina,
veggendole scapigliate
portando pietre e calcina!
Dio gli dea briga e travaglio
chi Messina vuol guastare.

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: C. Muscetta e P. Rivalta (a cura), Parnaso italiano, vol. I, Poesia del Duecento e del Trecento, Einaudi, Torino, 1956.



Donna, lo fino amore

Donna, lo fino amore
m'ha tutto sì compreso,
che tutto son donato a voi amare.
Non pò pensar lo core
altro che amore acieso,
e come meglio vi si possa dare.
E certo lo gioioso cominzare
isforza l'amorosa mia natura;
ond'io mi credo assai magnificato,
e 'nfra gli amanti in gran gioi coronato.

Eo porto alta corona,
poich'eo vi son servente,
a cui m’asembra alto regnar servire,
sì alta gioi mi dona
a voi stare ubidiente:
pregone voi che 'l degnate gradire.
E vero ciertamente credo dire,
ch'emfra le donne voi siete sovrana
di ogni grazia, e di virtù compita;
per cui morir d'amor mi sana vita.

Se lingua ciascun membro
del corpo si faciesse,
vostre belleze non porian contare.
Ad ogni gioi v'asembro,
che dicier si potesse:
ciò avete bel che si può divisare.
Molto ci ha belle donne e d'alto affare:
voi soprastate, come il ciel la terra:
ché meglio vale aver di voi speranza,
che d'altre donne aver ferma ciertanza.

Ancor che sia graveza
lo tormento d'amore,
ma ciò ch'abo d'amor m'asembra bene:
e nulla crudeleza
poté pensar lo core
che aveste, donna, 'n voi, che non s'avene.
Gioco e sollazo me sostene in pene,
sperando ch'avenir può la gran gioia.
Meglio mi sa per voi mal sostenere,
che compimento d'altra gioia avere.

Madonna, il mio penare
per fino amor gradisco,
pensando ch'è in voi grande conoscienza.
Troppo non de' durare
l'affanno che sofrisco:
ché bon segnor non dà torta sentenza.
Compiutamente è 'n voi tutta valenza;
merito voi siete, e morte e vita.
Più vertudiosa siete in meritare,
che io non posso in voi servendo amare.

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: C. Muscetta e P. Rivalta (a cura), Parnaso italiano, vol. I, Poesia del Duecento e del Trecento, Einaudi, Torino, 1956.



L'altrier fui 'n parlamento

L'altrier fui 'n parlamento
con quella cui agio amata:
feciemi grande lamento,
ch'a forza fue maritata.
E dissemi: "Drudo mio,
merzè ti chero, or m'aiuta;
ché tu se' in terra il mi' dio;
in tuo' mani so' arenduta:
per te colui non vogl'io.

Cierto ben degio morire,
ché 'l cor del corpo m'è tratto.
Vegio 'l mio padre amanire
per compier 'l mal che m'ha fatto.
Sir Idio, or mi consiglia,
donami lo tuo conforto
de l'om ch'ha forza mi piglia.
Uguanno lo vegia io morto:
di farmi dol s'asotiglia!

Drudo mio, da lui mi parte
e tràmi d'esta travaglia;
mandame in altra parte,
ché m'è in piacier san' faglia.
Perché non agio in balìa
lo padre mio che m'ha morta?
Non pare ch'altro mi dia
se non di gioi mi sconforta
e di ben far mi disvia".

"Donna, del tuo maritare
lo mio cor forte mi duole:
cosa non è da disfare,
rasgion so ben che non vuole.
Ché io t'amo sì lealmente,
non vo' che facie fallanza;
che ti biasmasse la giente
ed io ne stesse in dotanza:
dico il ver fermamente.

Assai donne mariti hanno
che da lor son forte odiati:
de' be' sembianti lor dànno,
però non son di più amati.
Così voglio che tu faccia,
ed averai molta gioia:
quando t'avrò nuda in braccia
tutt'andrà via la tua noia.
Di così far ti procaccia".

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: C. Muscetta e P. Rivalta (a cura), Parnaso italiano, vol. I, Poesia del Duecento e del Trecento, Einaudi, Torino, 1956.



Lévati dalla porta

"Lévati dalla porta:
lassa, ch'or foss'io morta
lo giorno ch'i' t'amai!

Lévati dalla porta,
vatten alla tua via;
ché per te seria morta,
e non te ne encresceria.
Parti, valletto, partiti
per la tua cortesia:
deh, vattene oramai".

"Madonna, ste paraule
per dio non me le dire.
Sai che non venni a càsata
per volermene gire.
Lévati, bella, ed aprimi,
e lasciami trasire:
poi me comanderai".

"Se me donassi Trapano,
Palermo con Messina,
la mia porta non t'àpriro,
se me fessi regina.
Se lo sente marìtamo
o questa ria vicina,
morta distrutta m'hai".

"Marìtato non sentelo,
ch'el este addormentato,
e le vicine dormeno:
primo sonno è passato.
Se la scurta passàssenci,
serìa stretto e ligato".
"E tu perché ci stai?"

"Che la scurta passàssenci,
o vergine Maria,
tutti a pezzi tagliàssenci
en mezzo della via!"
"Ma non dinanzi a càsama,
ch'io biasmata serìa.
E perché non te n'vai?"

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: C. Muscetta e P. Rivalta (a cura), Parnaso italiano, vol. I, Poesia del Duecento e del Trecento, Einaudi, Torino, 1956.



Part'io mi cavalcava

Part'io mi cavalcava
audivi una donzella,
forte si lamentava,
dicea: "Oi madre bella,
lungo tempo è passato
ch'io degio aver marito,
e tu non lo m'hai dato;
quest'è malvagio invito,
ch'io sofro, tapinella.

La vita de sto mondo
nulla cosa mi pare,
quand'altri è giucondo,
me ne membra penare:
non agio quel ch'io voglio,
ma perdo lo sollazo;
spesso languisco e doglio,
fra me me ne disfazo,
membrando quello affare".

La madre le risponde:
"Figlia mia benedetta,
se l'amor ti confonde
de la dolce saetta,
ben ti puoi soferire:
tempo non è passato,
ché tu porrai avire
ciò c'hai disiderato,
ca tèntene in distretta".

"Per parole mi mini,
tuttor così dicendo;
questo patto non fini,
ed io tutta ardo e 'ncendo.
La voglia mi domanda
cosa che nomar suole
una luce miranda
ch'è più chiara che 'l sole;
per ella vo languendo".

"Oi figlia, non pensai
sì fosse mala tosa,
ché ben conosco ormai
di che se' goliosa;
ché tanto n’hai parlato,
non s'avene a pulcella,
credo che l'hai provato
sì ne sai la novella.
Lascioti dolorosa".

"Oi vecchia trenta cuoia,
non mi stare in tenzone,
se non vuoli ch'io muoia
o perda la persone;
ché lo cor mi sollaza
membrando quella cosa
che le donne sollaza,
per ch'amor ne riposa,
ed io ne sto 'n arsione!"

Canzonetta novella,
moveti a lo palese
e vanne a la donzella,
che sta ne le difese:
a Saragosa n'anda,
e va fedelemente,
canta là ad ogni banda
per la rosa più gente
chi sia ne lo paese.

Anonimo (Scuola Siciliana)
Fonte: A. Giuliani, Antologia della poesia italiana. Dalle origini al Trecento, vol. I, Feltrinelli, Milano, 1975.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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