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Sonetti Romaneschi 9

Post n°2247 pubblicato il 13 Novembre 2015 da valerio.sampieri
 

Sonetti Romaneschi (1750-1767) di Benedetto Micheli

Pe’ Lucullo

O capitán, tra l’antri, troppo bello,
che mannóne a fá guerra Pontemollo!
tu Metridáte fai fuggì’ de bello
du’ vorte, e quasi jé fai rompe’ el collo;

Poi de l’Arméni tanto fai macello
che ’l tu’ sordato ne remán satollo;
e aggrappánnoie ’l regno fai, che in quello
l’aquila romanesca pigli el pollo.

Pe’ invidia, Ovante, poi, sol’ a cavallo
trionfi, ma ’sto torto pe’ trastullo
sai piglià’; desprezzánno el passagallo.

Dette, è ver, poi Pompeo l’urtimo sgrullo
a Ponto, e ’n trionfal carro fece ’l Gallo:
ma el monno allor gridò: Viva Lucullo!

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889



Pe’ l’istesso

Da galantómo: la penzassi giusta,
de Roma prevedénno la tempesta,
o Lucullo, a scanzá’ quel che desgusta,
é un contínovo fá giorno de festa.

A le grann’opre tue la patria ingiusta
non corresponne? e tu gniénte de questa
’ngratitudine sua te dai la frusta,
ma de bevé’ e magná’ te metti in testa.

El tu’ belardo a provedette abbasta
sempre quant’á de raro, e che piú costa,
pe’ pranzo, e cena, la natura vasta;

E tu sciáli in vedé’, con faccia tosta,
pe’ sbatte’ bene, senza scioglie un’asta,
tutto el senato fatte ognor la rosta.

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889



Pe’ Pomponio Attico

Tutti li gran filosofi ànno ditto
che chi s’affanna pe’ la morte é matto;
perché gnisciúno pó mancá’ a quel patto,
che la natura co’ i viventi à fitto;

E deppiú le raggione n’ànno scritto,
’nzegnanno: che s’è un ben? vienghi defatto,
e s’è un mal? presto pur pigli lo sfratto;
ma ’sta sentenzia in lor non ebbe el dritto:

Perché molti de lor smaniánno a letto
pe’ pácchete de fá l’urtimo botto
se sbrigórno, e da femmine fá un Ghetto,

Ma tu, o Pompónio, senza fáne un fiótto
con lassá’ el táffio, annéssi in cataletto
tienénno Croto al tu’ commanno sotto.

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889



Pe’ Lisandro Magno

Tu sei quelúi, che avé’ un sol monno sotto
de sé, je ne crepáva el córe in petto?
tu, che volessi dal vassal merlotto
fatte stimá’ nato de Giove al letto?

Tu, che de ’na sgualdrina al pazzo fiótto
imbriáco abbrusciássi el reggio tetto?
tu, che Clito ammazzá’, dal vin pur cotto,
licito te facessi, e poi fá un Ghetto?

Tu, che zompá’ da un alto muro, e dritto,
tra i nemmichi credessi ésse’ ben fatto?
e pe’ ’ste cose fussi Magno ditto?

Abbi pacénzia: sott’al tu’ retratto,
si a me toccava, ce averebbe scritto:
Lisandro Magno, no, Lisandro Matto.

Benedetto Micheli
Sonetti Romaneschi (1750-1767), editi a cura di Enrico Celani, Roma Tipografia dell'Istituto Gould, 1889.

 
 
 
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