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Il Malmantile racquistato 10-2

Post n°1919 pubblicato il 13 Agosto 2015 da valerio.sampieri
 

DECIMO CANTARE

29.
Tutta l'architettura e prospettiva
Questi a vestirsi mette di Vitruvio (1084);
Or mentre che più gonfio d'una piva
Tirar crede ogni dama in un vesuvio,
Spesso riguarda se 'l nimico arriva,
Perocch'egli ha paura del diluvio,
Che in un tempo estinguendo il fuoco al cuore
Alle spalle non susciti il bruciore.

30.
In quel ch'ei morde i guanti e fa quei giuochi
Che van de plano all'arte del Mirtillo (1085),
E ch'egli ha sempr'all'uscio gli occhi a' mochi (1086),
Dietro alla strega giunge Calagrillo,
Che lui non sol, ma spaventò quei pochi (1087);
Ond'egli, che più cuor non ha d'un grillo,
Fece, stimando quello il suo rivale,
Più de' piè che del ferro capitale.

31.
Tosto tornando l'amicizia in parte (1088),
Si viene all'armi, chè ciascuna armata
Ciò tien dell'altra un segno fatto ad arte
Per darle a tradimento la pietrata (1089).
Di qui si viene a mescolar le carte (1090),
Tal ch'in vederla (1091) tanto scompigliata,
Ritirandosi, a dir badan le dame:
Basta, basta, non più, dentro le lame.

32.
Prima che tra costoro altro ci nasca
E che la rabbia affatto entri fra' cani,
E' mi convien saltar di palo in frasca,
E ripigliar la storia del Garani
Ch'è dietro a far che 'l Tura ci rinasca;
Acciò tornato poi come i cristiani,
Ad onta della strega ogni mattina
Ritorni a visitar la Regolina (1092).

33.
Paride giunto in mezzo a' casolari,
Ove messer Morfeo a un tempo solo
Fa dir di sì (1093) a molti in Pian Giullari (1094),
Strepitando, fuggir lo fece a volo,
Sì ch'ognun desto vanne a' suoi affari,
Ed ei che star non vuol quivi a piuolo (1095)
Anzi dare al negozio spedizione,
Dimanda di quel lupo informazione.

34.
Un gran villano, un nom d'età matura,
De' quarantotti (1096) lì di quel contado,
Che perchè ei non ha troppa sessitura (1097)
Ed è presontuoso al quinto grado,
Innanzi se gli fece a dirittura,
E con certi suoi inchin da Fraccurrado (1098):
Benvenga, disse, vostra signoria,
E le buone calende il ciel vi dia.

35.
In quanto al lupo, egli è un animale;
Ma che animal dich'io bue di panno (1099)?
Un fistol di quei veri, un facimale
C'ha fatto per ingenito (1100) gran danno:
E già con i forconi e colle pale
I popoli assiliti (1101) tutto uguanno (1102)
Quin'oltre gli enno (1103) stati tutti rieto,
Per levar questo morbo da tappeto (1104).

36.
Ma gli è un setanasso scatenato
Che non teme legami né percosse.
S'è carpito più volte ed ammagliato,
Ed ha reciso funi tanto grosse;
Le bastonate non gli fanno fiato,
Ch'e' non l'ha a briga (1105) tocche, ch'e' l'ha scosse.
D'ammazzarlo co' ferri non c'è via,
Ch'egli è come frucar'n una macía.

37.
Là entro in quella selva ei si rimpiatta,
Perch'ella è grande, dirupata e fitta,
Acciocchè nimo (1106) un tratto lo combatta
Quand'egli ha dato a' socci (1107) la sconfitta;
Chè tutti gli animali ch'ei raccatta
Ciuffando, gli strascina liviritta (1108).
E chi guatar potesse, io fo pensiero
Ch'e' v'abbia fatto d'ossa un cimitero.

38.
Sta Paride a sentirlo molto attento;
Ma poi, vedendo quanto ci si prolunga,
Fra sè dice: costui v' ha dato drento,
Come quel che vuol farmela ben lunga:
Gli è me' troncargli qui il ragionamento,
Acciò prima che il dì mi sopraggiunga.
Io possa lasciar l'opera compita,
Però gli dice: ovvia, fàlla finita.

39.
Poich' egli ha inteso dov'ei possa battere
A un dipresso a rinvergare il Tura,
Dell'esser folto il bosco, e d'altre tattere
Che gli narra costui, saper non cura.
La lanterna apre e il libro, onde al carattere
Possa, vedendo, dare una lettura;
Così leggendo, sente darsi norma
Di quanto debba fare in questa forma.

40.
Vicino al boschereccio scannatoio,
Mentre fuoco di stipa vi riluca,
Pallon grosso, bracciali e schizzatoio
Co'giocatori a palleggiar conduca:
Al rimbombar del suo diletto cuoio
Tosto vedrà che 'l gocciolone (1109) sbuca,
Quei ricchi arnesi vago di mirare
Che già in Firenze lo facean gonfiare,

41.
Paride in questo subito ubbidisce;
Accender fa le scope, e intorno al fuoco
Già questi e quel si spoglia (1110) ed allestisce
Col suo bracciale, e si comincia il giuoco;
Al suon del qual l'amico comparisce,
Ma è ritenuto perch'ei vede il fuoco:
Elemento, che vien dall'animale
Fuggito per instinto naturale.

42.
Il Garani, che stava alle velette,
Vedendo che 'l compar viene alla cesta (1111),
Che le scope si spengano commette
Ed in un tempo a' giocator dà festa (1112).
'N un batter d'occhio il giuoco si dismette,
La stipa si sparpaglia e si calpesta;
Talchè sicuro l'animal ridotto,
Va Paride pian piano e fa fagotto (1113).

43.
Ciò ch'è in giuoco in un fascio egli ravvia
E tra gambe la strada poi si caccia,
Il tutto strascicando per la via
Con una fune d'otto o dieci braccia.
Spinto dal genio a quella ghiottornia
Da lunge il Tura séguita la traccia,
Come fa il gatto dietro alle vivande
E il porco a' beveroni ed alle ghiande.

44.
Vagheggiato, s'allunga, zappa e mugola;
Talor s'appressa e colle zampe il tocca;
Or mostra sbavigliando aperta l'ugola;
Or per leccarlo appoggiavi la bocca
Tutto lo fiuta, lo rovistia e frugola;
Così mentre il suo cuor gioia trabocca,
Ei, che non tocca per letizia terra
Entra nel borgo e in gabbia si riserra.

45.
Perchè Paride fa serrar le porte,
E poi comanda a un branco di famigli,
Che quivi fatti avea venir di corte,
Che di lor mano l'animal si pigli;
Ma i birri, che buscar temean la morte,
Non voglion accettar simil consigli;
E fan conto (1114), sebben'ei fa lor cuore,
Ch'ei passi tuttavia l'Imperadore.

46.
Poichè gran pezzo a' porri ha predicato
E che fan conto tuttavia ch'ei canti
Perocchè da' ribaldi gli vien dato
L'udïenza che dà il papa a' furfanti,
Senza più star a buttar via il fiato,
Tolti di mano al caporale i guanti,
Bisogna, dice, con questa canaglia
Far come il podestà di Sinigaglia (1115).

47.
E quei guanti che san di caporale
Legando ad una delle sue legacce (1116),
Uno per testa, addosso all'animale
Mette attraverso a uso di bisacce;
Al fragor(1117) di tal concia di caviale
La bestia fece subito due facce,
Ch'una di lupo, ed una d'uomo, sembra;
E di sua specie ognuna ha le sue membra.

48.
Si resta il lupo, e 'l Tura uomo diviene,
Ma non però che libero ne sia,
Ch'ambi sono appiccati per le rene
Formando un mostro qual'è la bugia.
Dice Turpino, e par ch'ei dica bene,
Ch'essendo questa sì crudel malía,
Non erano a disfarla mai bastanti
Gli odor birreschi semplici de' guanti.

49.
E che se tanto oprò tal masserizia,
Avrebbon molto più fatto le mani;
Perchè gl'incanti in man della Giustizia
Come i fichi alla nebbia, vengon vani.
E Paride che già n'ebbe notizia.
Da quel suo libro, si dà quivi a' cani (1118);
Perchè più oltre il libro non ispiega
Ond'ei fa conto al fin di tôr la sega.

50.
Perciò fatti venir due marangoni
Con tutto quell'ordingo che s'adopra
A segare i legnami ed i panconi,
A divider il mostro mette in opra.
Mentre la sega in mezzo a'duoi gropponi
Scorre così, va il mondo sottosopra
Mediante il rumor de'due pazienti,
Che l'un fa d'urli, e l'altro di lamenti.

51.
Pur senza ch'intaccato ell'abbia un osso
La sega insino all'ultimo discese
Lasciando il Tura libero, ma rosso
Dietro di sangue, com'un Genovese (1119),
La bestia gli volea tornare addosso;
Ma Paride che subito l'intese,
Presa la spada, la tagliò pel mezzo,
Pensando di mandarla un tratto al rezzo (1120).

52.
E morta te la dà per cosa certa;
Ma quel demonio insieme si rappicca,
E qual porco ferito a gola aperta
Per divorarlo sotto se gli ficca.
Ed egli ch'all'incontro stava all'erta
In sulla testa un sopramman gli appicca
Che in due parti divisela di netto,
Com'una testicciuola di capretto.

53.
Ma ritornato a penna (1121) e a calamaio,
Pur questo stesso a Paride si volta;
Che per veder il fin, di quel moscaio,
Se e'fosse mai possibile una volta,
Mena le man che, e' pare un berrettaio (1122)
Ed a chius'occhi pur suona a raccolta (1123)
E dágli e picchia, risuona e martella;
Ma forbice!(1124) l'è sempre quella bella (1125).

54.
Talch'ei si scosta nove o dieci passi,
E piglia fiato, perch'ei provar vuole
Se la virtude a sorte gli giovassi
C'hanno l'erbe, le pietre e le parole;
Perciò gli avventa il libro e poi de' sassi,
Con una man di malve e petacciuole (1126);
E parve giusto il medico indovino,
Già detto mastro Grillo (1127) contadino.

55.
Perchè 'l demonio, o si recasse a scorno
Che un uomo uso alle giostre e alle quintane,
Con tal chiappolerie gli vada intorno,
E lo tratti co' sassi come un cane;
Ovver ch'e' fosse l'apparir del giorno,
Che scaccia l'ombre, il bau e le befane;
Sparisce affatto e più non si rivede:
Ma Paride per questo non gli crede.

56.
Resta in parata, molto gira il guardo,
Prima ch'un piè nè anche egli abbia mosso,
Mercè ch'ei sa che 'l diavolo è bugiardo
E quanto ci sia sottile e fili grosso (1128);
Perciò si mette un pezzo a Bellosguardo (1129),
Credendo ognor che gli saltasse addosso;
Ma poich'ei vedde omai d'esser sicuro,
Andò all'oste e cavollo (1130) di pan duro.

Note:
(1084) VITRUVIO. Scrittore latino di architettura.
(1085) MIRTILLO è l'innamorato nel Pastor fido del Guarini.
(1086) MOCHI. Una specie di biade di cui sono avidi i colombi: e perciò si deve aver l'occhio ad essi quando sono seminati, perchè i colombi non vadano a danneggiarli.
(1087) QUEI POCHI. È detto per antifrasi.
(1088) PARTE. Fazione, inimicizia.
(1089) LA PIETRATA. Colpo mortale.
(1090) MESCOLAR LE CARTE. Venire alla zuffa. Vedi c. IX, 33, e VIII, 61.
(1091) VEDERLA, Veder la faccenda.
(1092) LA REGOLINA, detta così da regolina specie di focaccia, era una bottega che stava aperta in tempo di quaresima, e vi si vendevano frittelle, tortelli, e cose simili. Questa bottega è sempre nel Lungarno presso al ponte Vecchio; ma non so che la chiamino Regolina.
(1093) DIR DI SÌ. Descrive la mossa di chi si addormenta senza appoggiare il capo.
(1094) PIAN GIULLARI, o di Giullari, è un borghetto vicino a Firenze. Per Pian Giullari anticamente s'intendeva il letto.
(1095) STARE A PIUOLO. Stare in disagio aspettando.
(1096) IL QUARANTOTTO in Firenze era la dignità senatoria.
(1097) SESSITURA. Considerazione, riguardo, giudizio. Propriamente è una piegatura che si fa da piè alle vesti per allungarle al bisogno.
(1098) FRACCURRADO. Fantoccio, burattino.
(1099) BUE, di cenci ch'io mi sono.
(1100) INGENITO, Istinto.
(1101) ASSILLITI. Punti dall'assillo, inveleniti.
(1102) UGUANNO. Unguanno, quest'anno. Vedi c.VI, 92.
(1103) ENNO. Sono. I contadini di Toscana l'usano sempre.
(1104) LEVAR DA TAPPETO. Levare dal supremo magistrato; levare di dignità, da qual si voglia luogo; levar dal mondo.
(1105) A BRIGA, A pena, appena.
(1106) NIMO. Niuno. Vedi c. VII, 89.
(1107) SOCCIO. Bestiame che si dà al contadino per fare a mezzo.
(1108) LIVIRITTA. Ivi. Costui parla contadinescamente.
(1109) GOCCIOLONE. Baccellone, bacchillone, pinchellone, balordo.
(1110) SI SPOGLIA. Si mette in maniche di camicia.
(1111) ALLA CESTA. Come il porco va alla cesta ov'è la ghianda.
(1112) DÀ FESTA. Li licenzia; dal maestro che dà festa, vacanza agli scolari.
(1113) FA FAGOTTO di ciò ch'è in giuoco, cioè palloni, bracciali ecc.
(1114) FAN CONTO ecc. Non badano, non curano. Dice il Minucci che questo modo può avere avuto origine dalla trascuranza con cui accoglievano i Fiorentini l'imperadore greco Giovanni Paleologo dopo che la vista di lui si fu resa familiare, e forse, dopo che, mancatili i danari, non compariva più così pomposo.
(1115) IL PODESTÀ DI SINIGAGLIA comandava, e faceva da sè.
(1116) LEGACCE delle calze.
(1117) FRAGOR. Alla fragranza di così fetente concia.
(1118) SI DÀ A' CANI. S'arrabbia.
(1119) COME UN GENOVESE. V'era una compagnia di Genovesi in Firenze che, la sera del Giovedì Santo, s'andava processionalmente disciplinando a sangue.
(1120) AL REZZO. All'ombra eterna.
(1121) A PENNA ecc. Per l'appunto.
(1122) UN BERRETTAIO o cappellaio, che feltri cappelli, dimena assai le mani, per esser l'acqua bollente.
(1123) A RACCOLTA. Quando la campana suona a raccolta, suona a lungo.
(1124) FORBICE. Detto che esprime ostinazione: e dicono che venga da una tal moglie che, offesa di non aver ottenuto dal marito che le comprasse un paio di forbici, ad ogni domanda gli rispondeva: forbice; nè a farla chetare valsero minacce e percosse: finchè impazientito l'uomo la gettò in un pozzo. Ed ella gridò forbice finchè, ebbe fiato; e questo mancatolo, colle dita accennava forbice.
(1125) QUELLA BELLA. Sempre la medesima.
(1126) PETACCIUOLA. Piantaggine.
(1127) MASTRO GRILLO è il soggetto di una favola in cui si narrano le sue prodezze nell'arte medica e in quella dell'indovinare.
(1128) FILAR GROSSO. Fingere d' esser goffo e balordo.
(1129) BELLOSGUARDO. Poggio vicinissimo a Firenze, ove sono molte ville da cui si guarda intorno molto paese.
(1130) CAVOLLO ecc. Gli finì tutto il pane che aveva in casa.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

 
 
 
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