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Il Malmantile racquistato 05-3

Post n°1780 pubblicato il 23 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

QUINTO CANTARE

46
Però se voi adesso, a cui s'aspetta,
Costà non impiccate questa troia,
Io stesso vo' pigliarmi questa detta (572),
E farle il birro, e in sulle forche il boia,
Mentre però Cupído non rimetta;
Ma se lo rende, non vi do più noia.
Va' dunque, e narra a lei quanto t'ho detto,
Ch'io qui t'attendo e la risposta aspetto.

47
La ronda, che far lite non si cura,
E vuol riguardar l'armi dalle tacche,
Quantunque ad alto sia sopr'alle mura
Molto lontana e già in salvummeffacche (573),
Non vuol tenersi mai tanto sicura,
Che rilevar non possa delle pacche.
Però, veduto avendo il ciel turbato,
Tace, ch'ei pare un porcellin grattato (574).

48
Lascia la sentinella, e caracolla
Giù pel castello, dando questa nuova;
E benchè il maggioringo (575) della bolla
Gli abbia promesso, mentre ch'ei si mova,
Di fargli porre a' piedi la cipolla (576),
Cercando della morte in bella prova,
Vuol avvisar di ciò Mona Cosoffiola (577),
Ch'è per basire a questa battisoffiola.

49
Ella insieme le schiere ha già ridotte
Di genti, che non vagliono un pistacchio;
Cioè di quelle a cui fece la notte
Col suo carro sì grande spauracchio.
Ed or quivi parare, e dar le botte
Insegna lor, che non ne san biracchio (578);
Ma quand'innanzi a lei costui si ferma
Così tremante, la cavò di scherma (579).

50
Mentre del fatto poi le dà contezza,
Con quella ambascia e lingua di frullone
Fa (perchè nulla mai si raccapezza)
Chi lo sente morir di passïone;
Ma quella, ch'a sentirlo è forse avvezza,
Lo 'ntende un po' così per discrezione;
E qui finiscon le lezion di guerra,
Perch'ella non dà più nè in ciel nè in terra.

51
Tutto in un tempo vedesi cambiare
L'amante ingelosita Martinazza;
Or ora è bianca, come il mio collare,
Or bigia, or gialla, or rossa, or paonazza;
Or più rossa del c... d'uno scolare
Dopoch'egli ha toccata una spogliazza (580).
In somma ella ha sul viso più colori,
Che in bottega non han cento pittori.

52
Rabbiosa il capo verso il ciel tentenna,
Quasi col piede il pavimento sfonda;
Or si gratta le chiappe, or la cotenna,
Or dice al messaggero che risponda,
Or lo richiama, mentr'egli è in Chiarenna (581):
Grida, e minaccia, e par che si confonda;
Mille disegni entro al pensier racchiude,
I enne inne (582), e nulla mai conchiude.

53
Il guardo al fine in terra avendo fiso,
'N un vasto mare ondeggia di pensieri,
E lagrime diluvia sopra il viso,
Grosse come sonagli (583) da sparvieri,
Che lavandole il collo lordo e intriso,
Laghi formano in sen di pozzi neri (584);
Al fin tornata in sè, colla gonnella
S'asciuga, e al messagger così favella:

54
Torna, e rispondi a questo scalzagatto,
Che si crede ingoiar colle parole,
Ch'io non so quel ch'ei dice; e s'egli è matto,
Non ci posso far altro, e me ne duole.
Poi, circa alla domanda ch'egli ha fatto:
Che gli darò Cupído, e ciò ch'e' vuole,
Se colla spada in mano ovver coll'asta
Prima di guadagnarlo il cor gli basta.

55
Però, se in questo mentre umor non varia,
Domani al far del dì facciami motto;
E s'io gli farò dar le gambe all'aria,
Quella sua landra (585) ha da pagar lo scotto (586);
Ma se la sorte, forse a me contraria,
Vuol ch'a me tocchi andar col capo rotto,
Prenda Cupído allor, ch'io gli prometto
Lasciarglielo segnato (587) e benedetto.

56
Ciò detto, parte: e quei, ch'era uomo esperto
(Essendo stato cavallaro, e messo),
Al cavaliere ad unguem fa il referto
Di quel che Martinazza gli ha commesso.
Ed in viso vedendolo scoperto,
Quest'ha bisogno, dice, d'un buon lesso (588);
Perch'egli è duro, e non punto pupillo (589):
Lo conosco bensì, gli è Calagrillo.

57
Ma qui la dama e Calagrillo resti;
Quest'altro giorno rivedremgli poi.
Il passo meco ora ciascuno appresti
Per giungere il Fendesi e gli altri duoi,
Che seguitaron, come voi intendesti,
Perlon che se n'andò pe' fatti suoi;
Chè troveremgli, se venir volete,
Più presto assai di quel che vi credete.

58
Chè giò giò (590) se ne vanno giù nel piano
Sbattuti, com'io dissi, dalla fame:
Ma non son iti ancora un trar di mano,
Che senton razzolar tra certo strame;
Perciò coll'armi subito alla mano
Corron dicendo: qui c'è del bestiame;
Sicchè quando crediamo di trar minze (591),
Il corpo forse caverem di grinze.

59
Curiosi quel che fosse di vedere
Dentr'a una stalla inabitata entraro.
E vedder, ch'era un uom posto a giacere
Sopr'alla paglia a guisa di somaro;
Accanto aveva da mangiare e bere,
E gli occhi distillava in pianto amaro;
E tra i disgusti e il vin, ch'era squisito,
Pareva in viso un gambero arrostito.

60
Questo è quel Piaccianteo già sublimato
Al grado onoratissimo di spia:
Quel che, per soddisfar tanto al palato,
Ha fatto in quattro dì Fillide mia (592);
E lì colla sua spada s'è impiattato,
Dell'onor della quale ha gelosia;
Chè avendola fanciulla (593) mantenuta,
Non gli par ben che ignuda sia tenuta.

61
Ma perchè un uom più vil mai fe natura,
Si pente esser entrato in tal capanna;
Perocchè a starvi solo egli ha paura,
Che non lo porti via la Trentancanna (594):
E perchè tutto il giorno quant'e' dura,
Egli ha il mal della lupa che lo scanna,
Non va mai fuor, s'a cintola non porta
L'asciolver(595) col suo fiasco nella sporta.

62
Ovunque egli è, d'untumi fa un bagordo,
Ch'ognor la gola gli fa lappe lappe;
Strega (596) le botti, di lor sangue ingordo,
E le sustanze (597) usurpa delle pappe;
Aggira il beccafico, e pela il tordo,
E a' poveri cappon ruba le cappe (598);
E prega il ciel che faccia che gli agnelli
Quanti le melagrane abbian granelli.

63
Vedendo quivi comparir repente
L'insolite armi, sbigottisce il ghiotto;
E dal timor ch'egli ha di tanta gente,
Trema da capo a piè, si piscia sotto.
Con tutto ciò digruma allegramente,
E spesso spesso bacia il suo barlotto;
E acciò stremata non gli sia la vita (599),
Non dice pur: degnate, o a ber gl'invita.

64
Ma i cavalier famosi a quel plebeo,
Che non profferì lor della rovella (600),
Furon per insegnare il galateo,
Con battergli giù in terra una mascella.
Chi sei? diss'un di loro: e Piaccianteo,
Ch'è un pover uom risponde; e in quella cella
Molt'anni in astinenza ha consumati
Per penitenza de' suoi gran peccati.

65
E quei soggiunge: mi rallegro, e godo
Che voi facciate bene, e vi son schiavo:
Ma se 'l patire è fatto a questo modo,
Penitente di voi non è più bravo;
Tal ch'io per me vi mando a corpo sodo,
Non nel settimo ciel, ma nell'ottavo;
Donde a' mondani (601), e a me, che sono il capo
Pisciar potrete a vostra posta in capo.

66
Ma perch'al certo Vostra Reverenza,
Ch'è stenuata come un carnovale,
Avrà fatta fin or tant'astinenza
Che basti a soddisfare a ogni gran male;
Or può lasciar a noi tal penitenza,
Acciò baciam la terra del boccale (602),
Per più mondi accostarci a questi avanzi
Delle reliquie ch'ell'ha qui dinanzi.

67
Qual madre che ripara il suo figliuolo
Ch'è sopraggiunto da mordaci cani,
Ei cuopre tutto col suo ferraiuolo;
Ed eglino gli danno in sulle mani,
E col lazzo del Piccaro Spagnuolo (603),
Che dalla mensa vuol tutti lontani,
Acciò poi a tal cosa non arrivi,
Con due calci lo fan levar di quivi.

68
Così fan carità (604) di più rigaglie,
Oltr'ad un'oca grossa arciraggiunta (605);
Ma vedendo più in là fra quelle paglie
D'un pezzo d'arme luccicar la punta,
E del giaco scappare alcune maglie
Da quella sua casacca unta e bisunta,
Insospettiron, com'un'altra volta
Potrà sentir chi volentier m'ascolta.

Note:
(572) DETTA, dal pl. latino Debita, Assunto, Incarico.
(573) SALVUMMEFFACCHE. Salvum me fac. Luogo di salvamento.
(574) UN PORCELLINO che strida, grattandolo, si cheta.
(575) MAGGIORINGO ecc. In furbesco valeva Il principe.
(576) LA CIPOLLA. La testa.
(577) COSOFFIOLA. Affannona.
(578) BIRACCHIO. Straccio, punto.
(579) CAVAR DI SCHERMA. Far perdere il filo del discorso. Ma qui ci cade più a proposito, perchè Martinazza stava insegnando la scherma.
(580) SPOGLIAZZA. Cavallo a calzoni calati. Uno scolare prendeva a cavalluccio il paziente spogliato dei calzoni, e il maestro gli dava sferzate nel sedere. Oggi spero che ad intendere questo passo ogni scolare abbia bisogno di questa nota.
(581) IN CHIARENNA. Assai lontano. Modo di cui non si rende ragione; e ne ha il Boccaccio de' più strani.
(582) I ENNE INNE. Così dice il bambino che cómpita. Serve ad esprimere il darsi gran moto irresolutamente e senza concluder nulla.
(583) SONAGLI che si appiccavano a' piedi degli sparvieri allevati per la caccia.
(584) POZZI NERI o bottini chiamansi in Firenze i ricettacoli di tutte le schiferie.
(585) LANDRA. Sgualdrina.
(586) SCOTTO. Qui, pena.
(587) SEGNATO ecc. Liberamente e senza alcuna eccezione.
(588) D'UN, BUON LESSO. D'una buona lessatura, di bollir molto. È quel che dicesi, un osso duro.
(589) NON È PUPILLO. Non ha bisogno di tutori, chè sa far bene i fatti suoi da sè.
(590) GIÒ GIÒ. Adagio adagio.
(591) TRAR MINZE. Stentare, morire.
(592) FAR FILLIDE. Finire la vita o la roba.
(593) FANCIULLA. Vergine, non mai adoperata.
(594) TRENTACANNA. Animale favoloso che ingoia e tracanna.
(595) ASCIOLVERE. Colazione.
(596) STREGA. Dicono che le streghe succiano il sangue a' bambini.
(597) SUSTANZE delle pappe son la carne.
(598) LE CAPPE. Per molti la pelle del cappone è un boccon ghiotto.
(599) LA VITA. Il vitto, il cibo.
(600) DELLA ROVELLA. Un canchero,nulla.
(601) MONDANI. Peccatori.
(602) LA TERRA cotta del boccale.
(603) LAZZO ecc. Astuzia, arte del furbo pitocco, zingano spagnuolo.
(604) FAR CARITÀ, nel linguaggio di persone pio, vale Mangiare insieme. E dal cibo che davasi per elemosina, per pietà, è venuto il nome pietanza.
(605) ARCIRAGGIUNTA. Grassissima.

Lorezo Lippi
Da "Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

 
 
 
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