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Muzzarelli o Benalio

X
Di M. Giovan Mozzarello

19
[G2 G3 attribuito a J. A. Benalio]

Scuopri del bel cristal l’umida testa
Alto padre, beato e sacro Sile,
Ed a la voce mia ti movi e desta.

A riconoscer vien l’antico stile,
Che ne la etade mia più verde e nuova
Forse già non ti parve inculto e vile;

Che come a ogni benigno padre giova
Il figlio riveder dopo molt’anni,
Onde amor e pietade in lui rinova,

Così dopo miei lunghi exigli e affanni
Gioverà, padre, a te dopo mie’ errori
Vedermi il crin cangiato, il volto e i panni.

E come già miei giovenili ardori
Lungo le rive tue sfogando andai,
Bagnando del mio pianto l’erbe e i fiori,

Così ora nel mio canto udir potrai,
Mista tra le tue degne immortal lode,
La vera istoria de’ miei lunghi guai.

O felice quel cor che mai non rode
Pensiero amaro e nel suo antico nido
La lunga etade di sua vita gode;

Né mai fortuna col suo moto infido
L’ha fatto peregrin o l’ha costretto
Vago cercar l’altrui paese o lido.

Esso non teme il mar, non ha sospetto
D’oscura valle o solitario bosco,
Sicuro e salvo sotto ’l proprio tetto.

E benché ad altrui paia rozzo e losco,
Gode la vista del suo puro cielo
E i dolci frutti senza fiele e tosco.

Io nella età, quando di molle pelo
Incomincian fiorir le guancie e ’l volto,
Ed è più gioventù colma di zelo,

Fui, come sai, de la mia patria tolto
E mosso a ricercar l’altrui paesi,
Tra fatiche e perigli e cure involto.

E quattro lustri errando interi ho spesi
Sognando di gustar le tue dolci acque
E di calcar le rive tue cortesi.

Né fonte, o lago, o fiume mai mi piacque,
Né mai puoté acquietarsi il mio disio,
Né mai tue lode la mia lingua tacque.

O più ch’ogn’altro reverendo iddio,
Occhio d’i fiumi e re de gli altri fonti,
Chi ti potrebbe mai porre in oblio ?

Mentre che l’ombre caderan da’ monti
E l’urna tua si verserà nel mare,
Padre, fia sempre chi tue laudi conti.

Tu non hai l’onde tue rapide e avare
Come il Rodano e ’l Po, l’Adige e ’l Reno,
Che a gli vicini suoi son spesso amare,

Ma versi il vaso tuo chiaro ed ameno,
Che passi del suo umor le piante e l’erbe
Che t’empion spesso di bei fiori il seno.

Tu, qual Tebro con torte onde e superbe,
Non tiri teco i sacri altari e tempi,
Oprando anco ne’ dei sue forze acerbe.

Tu non vedi gli strazii orrendi ed empi
Com’egli vedut’ha de l’alma Roma,
Vermiglio e pingue d’i suoi crudi scempi.

Ahi, lasso me, colei che ’l mondo noma
Imperatrice di tutte le genti,
Sì poco e sì vil stuolo spoglia e doma.

Tu, come Arno, non hai gli alti lamenti
De’ cittadini tuoi miseri udito
E lor raccolti in te di vita spenti.

Tu, qual Tesin, del Re di Francia ardito
Non rivolgesti i forti corpi e i scudi,
Né in Po sì altero con sue spoglie gito.

Tu i Svizzeri non hai com’Ambro ignudi
Tratti per pasto di affamati pesci
O di rapaci e fieri augelli e crudi.

Tu, come il Bachiglion, giamai non cresci
De l’uman sangue, né per gli sommersi
Cavalli e cavalier del tuo letto esci.

Tu, come l’Istro, tanti e sì diversi
Non affondi destrieri, uomini e navi
D’Ungheri, di Tedeschi, Turchi e Persi.

Ma con le lucide onde tue soavi
Incontri il sol quando n’adduce il giorno
E queto le tue verdi sponde lavi.

Son tanti fiori ed erbe e frutti intorno
Le rive tue, che non vide Acheloo
Giamai il ricco corno suo sì adorno;

E allo spuntar veloce di Piroo
Odi i concenti di più lieti augelli
Che Meandro, Caistro o l’Indo eoo.

Sono i conforti suoi talor men belli
Gonfiati per le pioggie o per le nevi,
Onde a’ propinqui suoi si fan rubelli.

Ma tu nel chiaro grembo sol ricevi
Gli dolci Melma, Botenica e Storga,
Fonti a’ vicini suoi soavi e lievi.

Deh perché Apollo non fa ch’in me sorga
In tue lode un tal stil, come a quel saggio
Che cantò Laura apo Druenza e Sorga ?

O spiri in me di tanta grazia un raggio
Ch’io sia qual lungo a l’Ebro un nuovo Orfeo,
O Titiro sul Minzio o sotto un faggio.

Che forse non udì Pindo o Peneo
Ne le famose rive di Permesso
Più di me dolce cantar ninfa o deo.

Ma poiché tanto don non mi è concesso,
Pur non cesserò ancor con l’umil canto
Aver l’effetto del mio cor espresso.

Che se Pattolo e ’l Tago e l’Ermo il vanto
Hanno di preziose arene d’oro,
Che son spesso cagion di morte e pianto,

Tu di ricchezze non invidi loro,
Che fiorite di gemme ambe hai le sponde,
Sicuro di ciascun dolce tesoro.

E se pur loda alcun le torbide onde
E l’origine incerta del gran Nilo
Che ’l verde Egitto veste d’erbe e fronde,

Potrà ancor dir, ma con più duro stilo,
Ch’in sé nudrisca orrendi e crudi mostri,
L’ippopotamo fero e ’l cocodrilo.

Tu scopri il capo tuo ne’ campi nostri,
E gli umil pesci tuoi di puro argento
Pasci nel fondo di tuo’ erbosi chiostri.

Te, partendo da noi lieto e contento,
L’adriatica Dori e le sorelle
Colgon nel seno suo soave e lento.

Non guarda in mar il ciel con tante stelle
Quante nel letto tuo ninfe leggiadre
Scherzano ognor vaghe, amorose e belle.

Felice fiume, aventuroso padre,
Poiché de gli altri tuoi sacri consorti
Le lode apo le tue son scure ed adre.

Tu le palme idumee a Trevigi porti,
M’al tuo gran merto restan le parole
E la voce e ’l pensier e i versi morti,

E si nasconde per invidia el sole.

[cfr. scheda biografica J. A. Benalio]

Giovanni Muzzarelli
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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