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Il Malmantile racquistato 04-1

Post n°1744 pubblicato il 13 Giugno 2015 da valerio.sampieri
 

QUARTO CANTARE

Argomento

I guerrier di Baldon son mal disposti,
Perchè la fame in campo gli travaglia.
Il Fendesi, e Perlon lasciano i posti,
Non vedendo arrivar la vettovaglia.
Psiche non tiene i suoi pensieri ascosti
A Calagrillo, cavalier di vaglia,
Che promette aiutar la damigella,
E poscia ascolta una gentil novella.


1
Omnia vincit Amor, dice un testo;
E un altro disse, e diede più nel segno:
Fames Amorem superat; e questo
È certo, e approva ognun c'ha un po' d'ingegno;
Perchè, quantunque Amor sia sì molesto,
Che tutt'i martorelli (429) del suo regno
Dicano ognora: ahi lasso! io moro, io pèro;
E' non si trova mai che ciò sia vero.

2
Non ha che far nïente colla Fame,
Che fa da vero, purch'ella ci arrivi;
Posson gli amanti star senza le dame
I mesi e gli anni, e mantenersi vivi;
Ma se due dì del consueto strame
I poveracci mai rimangon privi,
E' basta; chè de fatto andar gli vedi
A porre il capo dove il nonno ha i piedi.

3
Talchè si vien da questi effetti in chiaro,
Che d'Amore la Fame è più potente;
Ond'è che ognun di lui più questa ha caro,
E quando alle sue ore ei non la sente,
Lamentasi, e gli pare ostico e amaro.
Perciò riceve torto dalla gente,
Mentre ciascun la cerca e la desia,
E s'ella viene, vuol mandarla via.

4
Anzi la scaccia, come un animale (430)
Sul buon del desinare e della cena:
Per questo ella talor, che l'ha per male,
Più non gli torna; ovver per maggior pena
In corpo gli entra in modo e nel canale,
Che non l'empierebb'Arno colla piena;
Come vedremo che a Perlone (431) ha fatto,
Che a questo conto (432) grida come un matto.

5
Desta l'Aurora omai dal letto scappa,
E cava fuor le pezze di bucato;
Poi batte il fuoco, e cuocer fa la pappa
Pel suo giorno bambin ch'allora è nato.
E Febo, ch'è il compar, già colla cappa
E con un bel vestito di broccato,
Che a nolo (433) egli ha pigliato dall'Ebreo,
Tutto splendente viensene al corteo.

6
Nè per ancora le Ugnanesi genti
Hanno veduto comparire in scena
La materia che dà il portante (434) a' denti,
E rende al corpo nutrimento e lena;
Perciò molti ne stanno malcontenti,
Che son usi a tener la pancia piena:
E ben si scorge a una mestizia tale,
Che la mastican tutti più che male.

7
È tra costoro un certo girellaio (435),
Che per l'asciutto (436) va su i fuscellini (437),
Male in arnese, e indosso porta un saio
Che fu sin del Romito de' Pulcini (438).
Ci è chi vuol dir ch'ei dorma in un granaio,
Perc'ha il mazzocchio (439) pien di farfallini:
È matto in somma; pur potrebbe ancora
Un dì guarirne, perchè il mal dà in fuora (440).

8
E perch'ei non avea tutt'i suoi mesi (441),
Fu il primo ad esclamare e far marina (442),
Forte gridando: oimè! ch'io vado a Scesi (443)
Pel mal che viene in bocca alla gallina (444).
Onde Eravano e don Andrea Fendesi,
Che abbruciavano insieme una fascina,
E per cibare i lor ventri di struzzoli (445)
Cercavan per le tasche de' minuzzoli,

9
Mentre di gagnolar giammai non resta
Costui ch'è senza numero ne' rulli (446),
Anzi rinforza col gridare a testa (447),
Lasciano il fuoco e i vani lor trastulli:
E per vedere il fin di questa festa,
Se ne van discorrendo grulli grulli
Del bisogno ch'essi han che 'l vitto giunga,
Perchè sentono omai sonar la lunga (448).

10
Così domandan chi sia quei ch'esclama,
E mette grida ed urli sì bestiali.
Gli è detto: questo è un tale che si chiama
Perlone, dipintor de' miei stivali;
Un uom, che al mondo acquistasi gran fama
Nel far de' ceffautti (449) pe' boccali:
E con gl'industri e dotti suoi pennelli
Suo nome eterno fa negli sgabelli (450).

11
Si trova in basso stato, anzi meschino;
Ma benchè il furbo ne maneggi pochi,
Giuocherebbe in su' pettini da lino,
Chè un'ora non può viver ch'ei non giuochi.
Ma s'ei vincesse un dì pur un quattrino,
In vero si potrebbon fare i fuochi;
Perchè, giuocando sempre giorno e notte,
Farebbe a perder colle tasche rotte.

12
Giuocossi un suo fratel già la sua parte,
Suo padre fu del giuco anch'egli amico;
Però natura qui n'incaca (451) l'arte,
Avendo ereditato il genio antico.
Costui teneva in man prima le carte,
Che legato gli fosse anche il bellico;
E pria che mamma, babbo, pappa e poppe,
Chiamò spade, baston, danari e coppe (452).

13
Ma perchè voi sappiate il personaggio
Che ciò (453) racconta, è il Franco Vicerosa (454),
Cavaliero, del qual non è il più saggio,
Scrittor sublime in verso quanto in prosa;
Dipinge, nè può farsi da vantaggio,
Generalmente in qualsivoglia cosa;
Vince nel canto i musici più rari,
E nel portare occhiali non ha pari.

14
È suo amico, ed è pur seco adesso,
Salvo Rosata (455), un uom della sua tacca;
Perocchè anch'ei si abbevera in Permesso,
E pittor, passa chiunque tele imbiacca;
Tratta d'ogni scienza ut ex professo,
E in palco fa sì ben Coviel Patacca (456),
Che, sempre ch'ei si muove o ch'ei favella,
Fa proprio sgangherarti le mascella.

15
Or perchè Franco ed egli ogni maniera
Proccuran sempre di piacere altrui,
Di Perlone dan conto, e dove egli era
Di conserva n'andâr con gli altri due;
Là dove minchionando un po' la fiera (457),
Il Franco disse lor: questo è colui
Che in zucca non ha punto (458); anzi ragionasi
D'appiccargli alla testa un appigionasi (459).

16
Spiacque il suo male ad ambi tanto tanto:
E mentre ei piange ch'e' si getta via (460),
Il pietoso Eravan pianse al suo pianto,
Verbigrazia, per fargli compagnia.
Poi tutto lieto postosegli accanto,
Per cavarlo di quella frenesia,
Di quelle strida e pianto sì dirotto,
Che fa per nulla il bietolon mal cotto (461),

17
Se forse, dice, tu sei stato offeso,
Che fai tu della spada, il mio piloto (462)?
A che tenere al fianco questo peso,
Per startene a man giunte come un boto (463)?
Se al corpo alcun dolor t'avesse preso,
Gli è qua chi vende l'olio dello Scoto:
Se t'hai bisogno d'oro, io ti fo fede
Che qualsivoglia banca te lo crede.

18
Dopo Eravano poi nessun fu muto;
Chè ognun gli volle fare il suo discorso,
Offerendo di dargli ancora aiuto,
Mentre dicesse quanto gli era occorso;
Ond'ei, che avrebbe caro esser tenuto
D'aver piuttosto col cervello scorso (464),
Alzando il viso, in loro gli occhi affisa,
E sospirando parla in questa guisa:

19
Non v'è rimedio, amici, alla mia sorte:
Il tutto è vano, giacchè la sentenza
È stabilita in ciel della mia morte,
Che vuol ch'io muoia, e muoia in mia presenza.
Già l'alma stivalata (465) in sulle porte
Omai dimostra d'esser di partenza;
E già col corpo tutt'i sentimenti
Le cirimonie fanno e i complimenti.

20
Mutar devo mestier, se avvien ch'io muoia,
Di soldato cioè nel ciabattino;
Perocchè mi convien tirar le cuoia (466),
Per gir con esse a rincalzare il pino.
Un'altra cosa ancor mi dà gran noia:
Ed è, che sotto son come un cammino;
E che innanzi a Minòs e agli altri giudici
Rappresentar mi debba co' piè sudici.

21
Ma ecco omai l'ora fatale è giunta,
Ch'io lasci il mio terrestre cordovano (467);
Già già la Morte corre, che par unta,
Verso di me colla gran falce in mano;
Spinge ella il ferro nel bel sen di punta (468),
Ond'io mancar mi sento a mano a mano;
Però lo spirto e il corpo in un fardello
Tiro fuor della vita e vo all'avello.

22
Ormai di vita son uscito, e pure
Non trovo al mio penar quiete e conforto.
O cielo, o mondo, o Giove, o creature,
Dite, se udiste mai così gran torto?
Se Morte è fin di tutte le sciagure,
Come allupar(469) mi sento, ancorchè morto?
E come, dove ognuno esce di guai,
Mi s'aguzza il mulino piucchè mai (470)?

23
Va' a dir(471) che qua si trovi pane o vino
O altro da insegnar ballare al mento:
Se non si fa la cena di Salvino (472),
Quanto a mangiare, e' non c'è assegnamento.
O ser Isac(473), o Abramo, o Iacodino,
Quando v'avete a ire al monumento,
Voi l'intendete, che nel cataletto
Con voi portate il pane ed il fiaschetto.

24
Orbè, compagni (474), olà dal cimitero,
Se 'l ciel(475) danari e sanità vi dia,
Empiete il buzzo (476) a un morto forestiero,
O insegnategli almeno un'osteria.
Sebben voi fate qui sempre di nero (477),
Perchè di carne avete carestia,
È tale l'appetito che mi scanna,
Che un diavol cotto ancor mi parrà manna.

25
Sebben non c'è da far cantare un cieco,
Di questa spada all'oste fo un presente,
Che ad ogni mo', da poi ch'ella sta meco,
Mai battè colpo o volle far nïente.
Per una zuppa (478) dolla ancor di greco.
Ma che gracch'io? qui nessun mi sente.
Che fo? se i morti son di pietà privi,
Meglio sarà ch'io torni a star tra' vivi.

26
Qui tacque, e per fuggir la via si prese,
Facendo sempre il Nanni (479) ed il corrivo;
Perch'egli è un di que' matti alla sanese,
C'han sempre mescolato del cattivo.
Per aver campo a scorrere il paese,
Ne fece poi di quelle coll'ulivo (480),
Mostrando ognor più dar nelle girelle;
E tutto fece per salvar la pelle.

27
Perch'uno, che il soldato a far s'è messo,
Mentre dal campo fugge e si travia,
Sendo trovato, vien senza processo
Caldo caldo mandato in Piccardia.
Però s'ei parte, non vuol far lo stesso,
Ma che lo scusi e salvi la pazzia;
Onde minchion minchion, facendo il matto,
Se ne scantona che non par suo fatto.

Note:
(429) MARTORELLO. Dimin. di martire.
(430) ANZI ecc. Anzi come bestia ch'egIi è, la scaccia.
(431) PERLONE è l'autore.
(432) A QUESTO CONTO. Per questa cagione.
(433) A NOLO, perchè la sera Febo se ne spoglia ed è costretto di renderlo.
(434) PORTANTE è un certo andare dei cavalli. Qui, moto.
(435) GIRELLAIO. Stravagante, a cui gira molto il cervello.
(436) ASCIUTTO. Magrezza.
(437) FUSCELLINI. Sottilissime gambe.
(438) ROMITO DE' PULCINI. Un romito così detto dai molti pulcini che allevava. Essendo egli morto da un pezzo, quel saio che gli era appartenuto, doveva essere assai logoro.
(439) MAZZOCCHIO. Parte del cappuccio; qui, capo. Il senso ascoso di questi due versi è spiegato dal seguente emistichio.
(440) DÀ 'N FUORA Viene alla cute; si fa
(441) I SUOI MESI. Le sue lune, i suoi venerdì: frasi usate per dire che uno ha poco giudizio. con pazzie di nuovo genere.
(442) FAR MARINA. Brontolare, strepitare.
(443) SCESI. Assisi (Scendere, morire).
(444) MAL DELLA GALLINA. Pipita (appitito, appetito).
(445) STRUZZOLI. È nota la voracità i questi animali.
(446) RULLI. Nel giuoco dei rulli, ciascun rullo o rocchetto ha un numero, eccetto uno, che dicesi il Matto.
(447) A TESTA Con quanto n'ha in gola.
(448) LA LUNGA È un certo suono prolungato di campana. Qui forse si vuol fare il bisticcio con  l'altro modo: Far allungare il collo, che dicesi di chi ci fa aspettare per andare a pranzo all'ora stabilita.
(449) CEFFAUTTI, Brutti ceffi.
(450) SGABELLI. Di pittore dappoco sogliamo dire: Pittore da boccali, Pittore da sgabelli.
(451) INCACA. Disgrada, ha in tasca.
(452) SPADE, BASTON ecc. Semi di carte da, giuoco, corrispondenti a Fiori, Picche, Cuori, e Quadri.
(453) CIÒ. Queste notizie intorno a Perlone.
(454) FRANCO VICEROSA. Francesco Rovai ebbe veramente le virtù che qui gli si danno.
(455) SALVO ROSATA. Salvator Rosa, amicissimo del Lippi, è pittore e poeta più celebre del Rovai.
(456) COVIEL PATACCA. Con questo nome il Rosa recitava da Napoletano.
(457) MINCHIONAN LA FIERA o la Mattea,vale semplicemente minchionare, canzonare.
(458) PUNTO di sale.
(459) L'APPIGIONASI, come a casa vuota di abitatori.
(460) SI GETTA VIA. Si dispera.
(461) BIETOLON MAL COTTO. Uomo Sciocco.
(462) PILOTO. Poltrone.
(463) BOTO. Voti. Immaginette che si mettono intorno ad altre immagini di Santi e Madonne, per grazie ricevute.
(464) AVER SCORSO ecc. Aver data la volta al cervello.
(465) STIVALATA. In procinto, pronta alla partenza.
(466) TIRAR LE CUOIA ecc. Morire, ed esser sotterrato sotto a un pino; per un albero qualunque.
(467) CORDOVANO è una sorta di pelle.
(468) SPINGE ecc. Questo e il primo verso della Stanza sono del Tasso, là dove ci descrive la pietosa morte di Clorinda.
(469) ALLUPARE. Avere una fame da lupi.
(470) MI S'AGUZZA ecc. Mi cresce la fame, quasi mi si aguzzassero le macini del cibo, i denti.
(471) VA' A DIR. Ben s'inganna chi crede che ecc.
(472) SALVINO andava a letto senza cenare.
(473) OH SER ISAC ecc. Era opinione volgare che gli Ebrei nel seppellire ì morti mettesser loro accanto del cibo.
(474) COMPAGNI. Parla a' morti.
(475) SE IL CIEL. Così il ciel vi dia ecc.
(476) BUZZO. Ventre.
(477) FAR DI NERO. Mangiar di magro.
(478) ZUPPA o suppa. Pane intriso nel vino.
(479) IL NANNI ecc. Il buffone e il semplice, il goffo.
(480) CON L' ULIVO. Pazzie solenni. Rami d'ulivo si portano nelle grandi solennità.

Lorenzo Lippi
Da: "Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

(segue)

 
 
 
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