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Il Malmantile racquistato 03-1

Post n°1580 pubblicato il 05 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

TERZO CANTARE

Argomento

Vengon d'Arno a seconda i legni Sardi:
Sbarcan le genti, e vanno a Malmantile;
Ma per vari accidenti i più gagliardi
Non fan quel tanto, che di guerra è stile.
Arma i suoi Bertinella, alza stendardi,
E mostra in debol corpo alma virile,
Nascon grandi scompigli in quella piazza,
E ognun si fugge in veder Martinazza.


1
Un che sia avvezzo a starsene a sedere
Senza far nulla colle mani in mano,
E lautamente può mangiare e bere
E in festa e 'n giuoco viver lieto e sano;
Se gli son rotte l'uova nel paniere,
Considerate se gli pare strano:
Ed io lo credo, chè a un affronto tale
Al certo ognun la 'ntenderebbe male.

2
E pur chi vive, sta sempre soggetto
A ber qualche sciroppo che dispiace;
Perchè al mondo non v'è nulla di netto,
E non si può mangiar boccone in pace.
Or ne vedremo in Malmantil l'effetto;
Che immerso ne' piacer vivendo a brace (299),
Non pensa che patir ne dee la pena,
E che fra poco s'ha a mutare scena.

3
Era in quei tempi là quando i Geloni (300)
Tornano a chiuder l'osterie de' cani (301),
E talun che si spaccia i milïoni,
Manda al presto (302) il tabì (303) pe' panni lani;
Ed era appunto l'ora che i crocchioni (304)
Si calano all'assedio de' caldani (305),
Ed escon colle canne e co' randelli
I ragazzi a pigliare i pipistrelli.

4
Quando in terra l'armata colla scorta
Del gran Baldone a Malmantil s'invia;
Onde un famiglio, nel serrar la porta,
Sentì romoreggiar tanta genìa.
Un vecchio era quest'uom di vista corta,
Che l'erre ognor perdeva all'osteria;
Talchè tra il bere e l'esser ben d'età,
Non ci vedeva più da terza in là.

5
Per questo mette mano alla scarsella,
Ov'ha più ciarpe assai d'un rigattiere;
Perchè vi tiene infin la faverella (306)
Che la mattina mette sul brachiere.
Come suol far chi giuoca a cruscherella (307),
Due ore andò alla cerca intere intere:
E poi ne trasse in mezzo a due fagotti
Un par d'occhiali affumicati e rotti.

6
I quali sopra il naso a petronciano (308)
Colla sua flemma pose a cavalcioni;
Talchè meglio scoperse di lontano
Esser di gente armata più squadroni.
Spaürito di ciò, cala pian piano,
Per non dar nella scala i pedignoni:
E giunto a basso, lagrima e singozza,
Gridando quanto mai n'ha nella strozza.

7
Dicendo forte, perchè ognun l'intenda:
All'armi all'armi, suonisi a martello:
Si lasci il giuoco, il ballo e la merenda,
E serrinsi le porte a chiavistello;
Perchè quaggiù nel piano è la tregenda,
Che ne viene alla volta del castello;
E se non ci serriamo o facciam testa,
Mentre balliamo, vuol sonare (309) a festa.

8
In quel che costui fa questa stampita (310),
E che ne' gusti ognun pur si balocca,
L'armata finalmente è comparita
Già presso a tiro all'alta biccicocca.
Quivi si vede una progenie ardita
Che si confida nelle sante nocca (311):
E se ne viene all'erta lemme lemme
Col Batti e 'l Tessi e tutto Biliemme. (312)

9
Tra questi guitti ancora sono assai
(Oltre a marchesi, principi e signori)
Uomin di conto (313), e grossi bottegai,
Banchieri, setaiuoli e battilori;
V'è lanaiuoli, orefici e merciai,
Notai, legisti, medici e dottori:
In somma quivi son gente e brigate
D'ogni sorta, chiedete e domandate.

10
Sul colle compartisce questa gente
Amostante con tutti gli ufiziali:
Tra' quali un grasso v'è convalescente,
Ch'aveva preso il dì tre serviziali,
E appunto al corpo far allor si sente
L'operazione e dar dolor bestiali;
Talchè gridando senz'alcun conforto,
In terra si buttò come per morto.

11
Il nome di costui, dice Turpino,
Fu Paride Garani; e il legno prese,
Perch'ei voleva darne un rivellino
A un suo nimico traditor francese,
Che per condurlo a seguitar Calvino
Lo tira pe' capelli al suo paese,
E per fuggirne a' passi la gabella,
Lo bolla, marchia, e tutto lo suggella (314).

12
Disse Amostante, visto il caso strano,
A Noferi di casa Scaccianoce:
Per ser Lion Magin da Ravignano,
Che il venga a medicar, corri veloce;
Io dico lui, perchè ce n'è una mano,
Che infilza le ricette a occhio e croce (315),
O fa sopr'all'infermo una bottega (316),
E poi il più delle volte lo ripiega (317).

13
Gloria cerca Lion più che moneta;
Perocch'ei bada al giuoco (318) e fa progresso:
Per l'acqua in Pindo va come poeta;
Onde a' malati dà le pappe a lesso.
Gli è quel che attende a predicar dïeta,
E farebbe a mangiar coll'interesso (319);
Ma perchè già tu n'hai più d'uno indizio,
Va' via, perchè l'indugio piglia vizio.

14
Noferi vanne, e sente dir ch'egli era
Con un compagno entrato in un fattoio (320),
Ov'egli ha per lanterna, essendo sera,
L'orinal fitto sopra a un schizzatoio (321),
E di fogli distesa una gran fiera,
Ha bello e ritto quivi il suo scrittoio;
Sicchè presto lo trova, e in sull'entrata
Dell'unto studio gli fa l'ambasciata.

15
Ei, che alla cura esser chiamato intende,
Risponde, avere allora altro che fare;
Perchè una sua commedia ivi distende,
Intitolata Il Console di Mare (322):
E che se l'opra sua colà s'attende,
Un buon suggetto è quivi suo scolare,
Di già sperimentato; ed in sua fece
Avría mandato lui: e così fece.

16
Era quest'uomo un certo medicastro,
Che al dottorato (323) suo fe piover fieno:
E perch'ei vi patì spesa e disastro,
È stato sempre grosso con Galeno.
E giunto là: vo' far, disse, un impiastro;
Onde, se il mal venisse da veleno,
Presto vedremo: intanto egli si spogli,
E siami dato calamaio e fogli.

17
Mentre è spogliato, per la pestilenza
Ch'egli esala, si vede ognun fuggire:
Pervenne una zaffata (324) a Sua Eccellenza,
Che fu per farlo quasichè svenire:
Confermata però la sua credenza,
Rivolto a' circostanti prese a dire:
Questo è veleno, e ben di quel profondo:
Sentite voi ch'egli avvelena il mondo?

18
Rispose il General commosso a sdegno:
Come veleno? oh corpo di mia vita!
E dove è il vostro naso e il vostro ingegno?
Lo vedrebbe il mio bue ch'egli ha l'uscita (325).
A ciò soggiunse il medico: buon segno:
Segno, che la natura invigorita,
A' morbi repugnante, adesso questo (326)
A' nostri nasi manda sì molesto.

19
Vedendo poi, che il flusso raccappella (327),
Come quello che ha in zucca poco sale,
Comincia a gridar: guardia, la padella,
E (quasi fosse quivi uno spedale)
Chiama gli astanti, gl'infermieri appella,
Il cerusico chiede e lo speziale:
E venuto l'inchiostro, al fin si mette
A scrivere una risma di ricette.

20
Dove diceva (dopo milïoni
Di scropoli, di dramme e libbre tante)
Che, giacchè questo mal par che cagioni
Stemperamento forte, umor piccante,
Per temperarlo, Recipe in bocconi
Colla, gomma, mèl, chiara e diagrante (328).
Quindici libbre in una volta sola
Di sangue se gli tragga dalla gola.

21
Acciocchè tiri per canal diverso
L'umor, che tende al centro, ut omne grave;
Chè se durasse troppo a far tal verso,
Dir potrebbe l'infermo: addio, fave (329).
Poi tengasi due dì capo riverso,
Legato ben pe' piedi ad una trave:
Se questo non facesse giovamento,
Composto gli faremo un argomento (330).

22
Però presto bollir farete a sodo
Un agnello, o capretto, in un pignatto:
'N un altro vaso, nello stesso modo,
Un lupo, per insin che sia disfatto;
Poi fate un servizial col primo brodo,
E col secondo un altro ne sia fatto:
Farà questa ricetta operazione
Senz'alcun dubbio, ed ecco la ragione:

23
Questi animali essendo per natura
Nimici come i ladri del bargello,
Ritrovandosi quivi per ventura,
Il lupo correrà dietro all'agnello;
L'agnello, che del lupo avrà paura,
Ritirando s'andrà su pel budello:
Così va in su la roba e si rassoda,
E i due contrari fan che 'l terzo goda.(331)

24
Ciò detto, rivoltossi al mormorío
Di quelle ambrette, ove a mestar si pose;
E, perch'elle sapean di stantío,
Teneva al naso un mazzolin di rose.
Soggiunse poi: costui vuol dirci addio;
Chè queste flemme putride e viscose
Mostran, che benaffetto agli ortolani
Ei vuol ire a 'ngrassare i petronciani (332).

25
In quel che questo capo d'assiuolo
Ne dice ognor dell'altra una più bella,
Tosello Gianni, il quale è un buon figliuolo,
Mosso a pietà, con una sua coltella
Tagliate avea le rame d'un querciuolo;
Sopr'alle quali a foggia di barella
Fu Paride da certi contadini
Portato a' suoi poder quivi vicini.

Note:

(299) A BRACE. senza regola. Vedi c. II, 10
(300) GELONI. Popoli di Scizia. Qui gelo.
(301) L' OSTERIA DE' CANI. Le pozze d' acqua che son per le vie e che gelate non offron più il bere a' cani.
(302) PRESTO. Monte di pietà.
(303) TABÌ. Drappo leggieri di seta.
(304) CROCCHIONI. Cicaloni che volentieri stanno a crocchio.
(305) CALDANI. Bracieri, intorno a cui mettonsi i crocchioni, e vi vanno, vi si calano come ad assedio.
(306) FAVERELLA. Una specie di tórta che mettevasi tra il cinto erniario (brachiere) e l'ernia, come rimedio di quel male.
(307) CRUSCHERELLA è un giuoco che si fa mescolando molte piccole monete in un mucchio di crusca, del quale fannosi poi tanti mucchietti quanti sono i giocatori. Ognuno fruga nel suo mucchietto, e le monete che trova, son le sue.
(308) A PETRONCIANO. Grosso e paonazzo, come un petronciano o petonciano, che dicesi anche marignano e melanzano: è un frutto di forma ovale; la pianta è del genere dei solani.
(309) SONARE. Opposto a ballare qui sta per bastonare, percuotere.
(310) STAMPITA. Romore, chíasso, bordello, quasi stimpanata.
(311) SANTE NOCCA. Solenni pugni.
(312) COL BATTI ecc. La plebe fiorentína dividevasi già in tante compagnie che chiamavano Potenze; e ciascuna aveva un capo e un' insegna. Quella del Batti era dei battilani, quella del Tessi e Biliemme era dei tessitori di lana.
(313) UOMIN DI CONTO. Più che persone ragguardevoli, qui si è voluto dire computisti
(314) In tutta questa stanza si descrive assai piacevolmente un malato di sifilide. Il legno è il decotto di Legno Santo; il nemico francese a cui si vuol dare una buona quantità (rivellino) di busse con quel legno, s'intende bene chi è, e come faccia calvinisti i suoi prigionieri.
(315) A OCCHIO E CROCE. Termine meccanico, e vale senza le dovute regole d'arte.
(316) FARE UNA BOTTEGA. Allungare, qui, il male.
(317) RIPIEGARE. Far morire, quasi assettargli i panni addosso per soppellirlo.
(318) AL GIUOCO. Alla professione.
(319) L'INTERESSO L' usura mangia, consuma i capitali dì e notte.
(320) FATTOIO. Frantoio, mulino da olio.
(321) SCHIZZATOIO, Canna da clisteri.
(322) Il Console ecc. Il vero titolo di questa commedia del Maniglia (Lion Magin) è La Serva nobile.
(323) AL DOTTORATO. Nell'addottorarsi.
(324) ZAFFATA. Liquore ovvero odore in quantità, che improvvisamente ci percuote il senso.
(325) USCITA. Soccorrenza, diarrea.
(326) QUESTO morbo, puzzo. Si osservi il parlare spropositato ma dottorale di costui.
(327) RACCAPPELLA. Reitera.
(328) DIAGRANTE è una specie di gomma.
(329) ADDIO, FAVE. Così disse un tale che scommesse e perdò un campo di fave: onde il detto vale Tutto è perduto.
(330) ARGOMENTO. Serviziale.
(331) Questa stanza, per esser delle più belle nel suo genere, è divenuta popolarissima.
(332) INGRASSARE ecc. Vuol morire. Nomina i petronciani per qualsiasi altra pianta. Vedi st. 6.

 
 
 
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